giovedì 30 giugno 2016

Peter Firstbrook, "Scomparsi sull'Everest. Il mistero della spedizione Mallory-Irvine", Il Saggiatore tascabili


  Il libro ricostruisce minuziosamente la tragica vicenda di Mallory e Irvine, che tentarono di conquistare l’Everest nel 1924 e morirono nel corso della scalata (secondo alcuni dopo aver toccato il tetto del mondo ben 29 anni prima della conquista ufficiale compiuta a nome di Sua Maestà britannica dal neozelandese Edmund Hillary e dallo sherpa Tenzing Norkay); il racconto viene condotto anche sulla scorta degli indizi raccolti a seguito del ritrovamento del corpo di George Mallory nel corso di una spedizione del 1999 promossa dalla BBC alla quale Firstbrook partecipò.
 Mallory, tipico rappresentante della middle class inglese dei primi anni del Novecento scoprì l’alpinismo grazie all’influenza di alcuni suoi insegnanti, mostrandosi presto estremamente dotato per la disciplina e straordinariamente coraggioso. Per tutta la vita lottò per riuscire a conciliare la famiglia (si sposò poco prima della Grande Guerra ed ebbe tre figli) e la professione da insegnante (che non fu mai in grado di garantirgli una vera tranquillità economica) con la sua grande passione per la montagna. Nel 1922 fu incluso nel novero dei partecipanti a una prima spedizione all’Everest, che pur non riuscendo a insidiare la vetta raggiunse risultati sorprendenti, visti l’abbigliamento e l’attrezzatura dell’epoca (guardando le foto ci si chiede come quei pionieri potessero sopportare con quel tipo di vestiario le terribili temperature dei ghiacciai himalayani).
 La nuova, fatale spedizione del ’24 sancì la promozione di Mallory a punta di diamante della squadra di scalatori che doveva tentare la salita; come compagno scelse a sorpresa il giovane ingegnere Andrew Irvine (che aveva solo 22 anni, mentre Mallory ne aveva 38), in parte per il suo eccellente stato di forma, in parte per l’amicizia che era nata fra i due nella fase preparatoria dell’attacco alla vetta, in parte per l’abilità mostrata da Irvine nel riparare eventuali guasti alle bombole dell’ossigeno.
 Mallory e Irvine furono avvistati per l’ultima volta su un crinale a circa 8600 metri, dopo di che scomparvero nella nebbia e a non se ne seppe più nulla.
 Particolare commovente, l’ultimo messaggio di Mallory giunse alla moglie in Inghilterra dopo la notizia della sua morte.

 Una foto che indica il punto dal quale Mallory è presumibilmente scivolato sul crinale dell'Everest

 L’analisi del percorso compiuto dai due scalatori (condotta anche grazie all’esperienza di coloro che in seguito raggiunsero la vetta per la medesima via) porta a dubitare fortemente che possano essere arrivati in cima: non sono conciliabili con l’ipotesi di un successo né l’accertamento dei tempi di salita, né la durata dell’ossigeno delle bombole, né le elevate difficoltà tecniche previste da alcuni passaggi. Più probabile è che, sorpresi dal maltempo e dall’oscurità a una quota già considerevole, con l’ossigeno praticamente terminato (vale a dire – sopra gli ottomila metri – in stato di ipossia) abbiano tentato una discesa disperata, durante la quale un incidente avrebbe determinato la caduta fatale.
 Secondo l’ispezione compiuta sul cadavere di Mallory (mummificato e “marmorizzato” dal clima: impressionanti le foto), a compiere l’errore decisivo sarebbe stato proprio l’esperto alpinista, scivolando lungo un aspro declivio da una stretta crestina. Durante la caduta la corda che legava i due scalatori si sarebbe tranciata, e Mallory, ferito gravemente ma non mortalmente (aveva una gamba rotta subito sopra lo scarpone, alcune costole incrinate e altre fratture), si sarebbe fermato su un pianoro innevato, spirando in breve per il freddo, per gli stenti, per il deperimento dovuto all’altitudine. Più misteriosa la sorte di Irvine, forse caduto a sua volta, forse perdutosi sulla montagna e morto anch’egli di stenti.
 Ma tutti questi dettagli non riescono a intaccare il fascino di un'avventura che, per la sua stessa concezione, per l'ardimento dei suoi protagonisti e per la sua tragica conclusione, rappresenta veramente un mito fuori dal tempo.

Voto: 6,5

martedì 21 giugno 2016

Kent Haruf, "Crepuscolo", NNeditore


 Secondo capitolo della “Trilogia della pianura”, il terzo pubblicato in Italia (dopo Benedizione, atto conclusivo del ciclo, e Canto della pianura), Crepuscolo è un classico romanzo corale, in cui le vicende di diversi personaggi, accomunati dal fatto di vivere a Holt, immaginaria cittadina a vocazione agricolo-commerciale in Colorado, a volte si incrociano generando conseguenze inattese, altre volte si sfiorano paradossalmente senza toccarsi.
 Protagonista assoluta di tutte le storie narrate è la quotidianità, che stempera e attutisce ogni cosa – dai grandi affetti ai grandi dolori, dai comportamenti più meschini ai più sorprendenti gesti di generosità – dentro lo scorrere normale dei giorni e dei mesi, nella prospettiva limitata di una serie di esistenze individuali, per di più spesso votate alla solitudine.
 Vi sono due anziani fratelli, Harold e Raymond McPheron, che quando Victoria Roubideaux (teen mom cui avevano offerto ospitalità insieme alla sua bambina nel momento in cui non aveva più un posto dove stare) si trasferisce a Fort Collins per frequentare l’Università, si ritrovano desolatamente soli nella loro vecchia casa, nel mezzo del loro allevamento di bestiame fuori dall’abitato.
 Vi sono Luther e Betty, che vivono in una roulotte insieme ai loro figli Joy Rae e Richie, ma faticano a badare sia a loro stessi sia ai bambini, e riescono a sbarcare il lunario e a svolgere le più elementari incombenze domestiche solo grazie alle attenzioni e alle sollecitazioni dell’assistente sociale Rose Tyler (che saprà concedere la propria affettuosa amicizia anche a Raymond McPheron, quando costui perderà tragicamente il fratello).
 Vi è Hoyt Raines, lo zio di Betty, un ubriacone rissoso e violento incapace di tenersi una donna e un lavoro per più di qualche settimana, che non esita a sfogare i propri accessi di collera sui piccoli Joy Rae e Richie.
 Vi è DJ, un undicenne orfano di entrambi i genitori che vive col nonno ultrasettantenne, e si prende cura di lui come e meglio di un adulto; affrontando a viso aperto Hoyt Raines per difendere la cameriera di un pub da lui infastidita mostrerà a tutti di essere davvero più uomo di molti uomini fatti.
 Vi è Mary Wells una giovane donna abbandonata dal marito che pare sempre sul punto di lasciarsi andare, mentre la figlia maggiore Dena trova conforto dalla latitanza della madre a dall’assenza del padre nell’amicizia speciale proprio con DJ, suo coetaneo e loro vicino di casa.

Kent Haruf

 Nel seguire il racconto di tutte queste storie, tramate di gioie ordinarie e di ordinari dolori, ciò che più rimane impresso è la sobrietà della scrittura; una scrittura piana, scorrevole, ma non minimalista, anzi eminentemente descrittiva, e capace di utilizzare le descrizioni come strumento per aderire alla banalità talvolta sconcertante con cui accade quello che accade, alla semplicità con cui quello che c’è dichiara il proprio diritto a esistere.
 È ben percepibile, da parte di Haruf, lo sforzo di mantenere sempre un’assoluta onestà narrativa al cospetto del reale, forgiando uno stile che codifica letterariamente una visione del mondo perfettamente compartecipe della sofferenza degli uomini e del loro bisogno di reciproco accudimento, senza però esplicitarne mai la sostanza nella patetica proposta di chiavi di lettura preconfezionate delle vicende raccontate.
 Insomma, se nel lettore nascono sentimenti di pietà, di comprensione, di umana solidarietà per quello che avviene ai personaggi, questi stati d’animo sono già inscritti nelle cose narrate, e non artificialmente suggeriti dalle parole che li narrano.
 E questo, di solito, è indizio sicuro di essere in presenza di uno scrittore notevole.

Voto: 7+    

giovedì 16 giugno 2016

Breece D'J Pancake, "Trilobiti", Minimum Fax


 Minimum Fax ripropone in Italia l’unico libro pubblicato in vita da Breece D’J Pancake, promettentissimo scrittore americano morto suicida nel 1979, prima ancora di compiere 27 anni.
 Si tratta di una raccolta di dodici racconti, tutti ambientati in West Virginia e tutti dominati dalle medesime atmosfere e da tematiche assimilabili. I protagonisti sono in genere relativamente giovani (a volte addirittura molto giovani), ma hanno vissuto abbastanza da aver visto disattesi i sogni e le speranze cullati anni prima; appaiono così quasi dei sopravvissuti, dei residui di un passato dissolto e appena immaginabile, la cui unica testimonianza è costituita dagli incancellabili ricordi che – come relitti di un naufragio – sono conservati nella coscienza di ciascuno di loro.
 Stato d’animo prevalente in ognuna di queste narrazioni è un lucido disincanto impastato di profonda malinconia: così accade nel racconto eponimo Trilobiti, dove il giovane erede dell’unica fattoria rimasta a Company Hill, incapace di rendere produttivi i suoi terreni, passa il tempo a pensare al padre scomparso, a rievocare gli anni vissuti con lui e a cercare nei campi i resti fossili di ere geologiche lontanissime, consapevole di essere destinato a perdere sia Ginny, la ragazza che ama fin dagli anni del liceo, sia la fattoria, che sua madre vorrebbe cedere all’avido e ambiguo signor Trent.
 Così accade in La mia salvezza, dove il protagonista ha passato l’adolescenza a sognare di diventare un dj radiofonico in un’emittente di Chicago, ma ormai adulto si trova inchiodato a Rock Camp e al suo mestiere di meccanico; mentre Chester, l’amico di sempre, forse meno capace e onesto ma certo più spregiudicato di lui, ha avuto il coraggio di lasciare il paese natio al momento giusto (“prima che cominciasse a piovere merda”), è riuscito a diventare un attore piuttosto famoso, e ora fa finta di non conoscerlo.
 Così accade in Legno secco, dove Ottie, un camionista, durante uno dei suoi viaggi si ferma nel luogo dove è cresciuto e rivede Sheila, la ragazza che forse un tempo amava, e la trova intristita e invecchiata; rivede il suo amico fraterno Bus ridotto su una sedia a rotelle in seguito all’incidente avuto proprio con Ottie, un incidente volontariamente provocato da Bus, che cercava la morte probabilmente perché geloso di Ottie e di Sheila.
 Così, ancora, accade in Primo giorno d’inverno, dove Hollis, lasciato solo dai fratelli – trasferitisi altrove e impegnati con le loro famiglie –, si trova ad avere a che fare con due genitori ormai anziani e sempre meno capaci di badare a se stessi, mentre la stagione fredda incombe, e su ogni cosa si distende un’atmosfera quasi cimiteriale.
 La conclusione del racconto – che è anche la conclusione del libro – è esemplarmente elegiaca: “La neve oscurò il sole e mormorando la valle si richiuse quieta, quieta come un’ora di preghiera”.
 Altrove, spesso, la profonda inquietudine esistenziale dei personaggi incrocia problematiche legate alle dinamiche socio-economiche proprie del West Virginia, e alla riduzione per ciascuno di loro delle prospettive di riscatto individuale: si pensi a Valle (dove i protagonisti sono dei minatori alle prese con la difficoltà di far tornare i conti a fine mese); si pensi a Una stanza per sempre (in cui un marinaio in attesa di un imbarco si imbatte in una ragazzina scappata di casa che si prostituisce per vivere), o a L’attaccabrighe (storia di un pugile dilettante che sia arrangia con piccoli lavoretti per sbarcare il lunario).

 Breece D'J Pancake

 A volte l’intreccio dei racconti fa propri i meccanismi del giallo e del noir, senza però adottarne i ritmi incalzanti, rimanendo bensì ancorato alla rappresentazione di una realtà caratterizzata da quella desolazione morale e materiale che costituisce la cifra specifica di tutti i brani della raccolta: è il caso del già citato Una stanza per sempre, del notevole Cacciatori di volpi, di Quante volte (dove dietro il profilo dimesso di un piccolo allevatore di maiali si cela la sagoma spaventosa di un serial killer), di Come deve essere (che vede profilarsi l’ombra di un omicidio passionale).
 In una circostanza (in Il marchio) ci si addentra addirittura a esplorare la labirintica coscienza di una donna ingenua e disturbata, Reva, che è stata traumatizzata dalla perdita dei genitori anni prima, è segretamente innamorata del fratello e gelosa di tutte le donne che potrebbero avvicinarlo, ha un rapporto in generale morboso con tutto ciò che riguarda il sesso, e porta in grembo il figlio del marito Tyler senza riuscire a impedirsi di sentirlo terribilmente lontano. Alla fine Reva perderà il bambino e, in un accesso di follia, darà alle fiamme la casa dove un tempo era solita stare sola col fratello, e che costituisce l’unico ricordo concreto dei suoi genitori.
 Il più riuscito di questi racconti, quello che meglio riesce a contemplare e a lasciar convivere in maniera equilibrata quasi tutti gli elementi presi in considerazione, tuttavia, è per me Onore ai morti: scritto tutto in prima persona singolare, vede il protagonista, un giovane uomo con sangue pellerossa nelle vene, uscire di casa la mattina presto e percorrere a piedi la strada verso la città, mentre ricorda il suo amico Eddie, morto combattendo in Vietnam. Rievocando tanti episodi di vita quotidiana vissuti insieme, l'uomo finisce per chiedersi se Eddie non sia per caso andato a letto con Ellen, che in seguito sarebbe divenuta sua moglie, e se la loro bambina, la piccola Lundy, non sia in realtà figlia di Eddie ed Ellen.
 La tranquilla disperazione e il profondo disincanto che si respirano in tutte le pagine della raccolta, e l'aperto rimpianto per un passato irrecuperabile sono qui ipostatizzati in uno stile tanto asciutto, "onesto" e funzionale alla vicenda narrata da individuare un modo di fare letteratura che possiamo arrivare a definire "tipico di Pancake".

Voto: 7-

domenica 5 giugno 2016

Geminello Alvi, "Eccentrici", Adelphi


 Confesso di avere un debole per libri di questo tipo, in cui si isola la singolarità biografica di uno o più personaggi poco o punto conosciuti per cercare di coglierne lo “specifico umano”; se poi questi personaggi sono, come recita il titolo, degli “eccentrici” – uomini abituati a ragionare o a comportarsi in maniera affatto diversa rispetto alla maggioranza dei loro simili – l’operazione risulta ancora più curiosa e intrigante.
 Quarantatré sono le figure ritratte nel testo, da Ferdinand von Zeppelin a Henry Gauthier-Villars, meglio noto come Monsieur Willy – marito e “scopritore” di Colette −, passando fra i tanti per Cary Grant, Emilio Salgari, Giovanni Gerbi, Georg Trakl, Pancho Villa, Buster Keaton, Oliver Hardy, Greta Garbo, John Ronald Reuel Tolkien…
 L’autore fa in modo che alcuni di questi si raccontino in prima persona, altri invece vengano descritti da un narratore esterno; in un caso o nell’altro, comunque, per ogni ritratto Alvi cerca di creare uno stile originale, che rappresenti il personaggio prima ancora di narrarlo.
 Il libro, però, ha un problema di fondo: molti dei personaggi illustrati, in effetti, sono troppo poco eccentrici.

Geminello Alvi

 Al contrario, si tratta di uomini e donne per lo più di successo, perfettamente integrati nel sistema socio-economico in cui vissero; non sempre il loro anticonformismo fu particolarmente accentuato, ma tutti furono individualisti al punto tale da incarnare dei modelli perfetti per arrivare a titillare il narcisismo tipico della mentalità medio-borghese.
 Tenuto conto di queste osservazioni, i ritratti migliori sono quelli che riescono a sfuggire alla trappola di una mitizzazione di maniera, focalizzando inediti aspetti intimi della vita del personaggio raccontato.
 Io citerei quelli di Carlo Lorenzini (il Collodi), dell'avventuriero Ned Buntline, del lottatore Giovanni Raicevich, del pioniere del volo Otto Lilienthal (novello Leonardo che credeva nel volo librato, e lo sperimentava), di Pellegrino Artusi (gastronomo dalla vita avventurosa), di Raffaele Bendandi (bizzarro esperto di terremoti amato da una Rai Tv ancora in bianco e nero), del regista Mario Bava, di Hans Christian Andersen, del commissario-scrittore Antonio Pizzuto, del trasvolatore Géo Chavez, dell'aspirante alchimista Jean-Julien Champagne.

Voto: 6