sabato 29 settembre 2018

Su Tong, "Vite di donne", Einaudi


 Su Tong, scrittore appartenente a quell’avanguardia che alcuni anni fa, in Cina, contestò e sovvertì i rigidi canoni della letteratura improntata al realismo socialista, mette in scena con stile raffinato e notevole capacità di sintesi una serie di drammi al femminile.
 Il libro è composto da due lunghi racconti: l’eponimo Vita di donne narra i sogni e l’infelicità di Xian, Zhi e Xiao, rispettivamente madre figlia e nipote, le cui vicende private attraversano tutte le fasi della storia della Cina moderna, dal 1938 alla fine degli anni ottanta del Novecento. Le tre donne, frustrate in tutte le loro aspirazioni, perdono la capacità di donare affetto persino alle persone più care.
 Altre vite di donne, invece, parla di due sorelle che, prigioniere fin dall’infanzia di un rapporto di reciproca dipendenza che non ammette la presenza di intrusi, vivono da recluse nella propria casa. L’irruzione nella loro quotidianità di una delle chiassose commesse del negozio di soia che si trova sotto il loro appartamento romperà l’isolamento che si sono inflitte, decreterà la fine del delicato equilibrio su cui si reggeva il loro sodalizio e porterà con sé tragiche conseguenze.

Su Tong

 Entrambi i racconti lasciano una strana impressione: pare che il malessere di tutte le protagoniste sia legato a motivi che non vengono mai chiariti fino in fondo; si tratta forse di una velata accusa alla Cina comunista di sprofondare le esistenze dei cittadini in un deprimente grigiore?
 Questa indeterminatezza contribuisce senza dubbio a far correre una leggera tensione lungo tutto il profilo narrativo, e ad ammantare di mistero le vicende raccontate; il lettore fatica tuttavia ad entusiasmarsi, dato che l'abilità compositiva del narratore non basta a scongiurare un persistente senso di freddezza.

Voto: 6

domenica 23 settembre 2018

Jesmyn Ward, "Salvare le ossa", NN Editore


 Bois Sauvage, delta del Mississippi, anno 2005. In una regione che da sempre costituisce una delle zone economicamente più depresse degli Stati Uniti, i Batiste rappresentano un paradigma esemplificativo quasi perfetto della tipica famiglia povera del sud del Paese: afroamericani, vivono da ormai tre generazioni nella zona boschiva del Bayou, in una depressione naturale del terreno chiamata "la Fossa", dentro una sgangherata casa di legno sospesa sopra una piattaforma di cemento non lontano dalle misere abitazioni di molte altre famiglie di neri e dalle fattorie appena più confortevoli di alcuni bianchi, determinati a difendere le loro proprietà e il loro relativo benessere anche con le armi, se necessario.
 Claude, il padre, mantiene la famiglia con umili lavori saltuari e piccoli espedienti, è spesso dedito al bere, ma soprattutto è impegnato costantemente nei preparativi necessari per affrontare un catastrofico uragano che potrebbe investire la regione, come già accaduto molti anni prima; soltanto che quasi tutti gli uragani annunciati negli ultimi tempi dai mass media o arrivano sul delta del Mississippi ormai depotenziati o, all'ultimo momento, deviano verso la Florida, tanto da far apparire la ricorrente preoccupazione di Claude qualcosa di assai simile a una nevrosi. 
 La moglie dell'uomo è morta sette anni prima nel dare alla luce il suo quarto figlio Junior; così, i tre figli più grandi - nati in precedenza a un anno di distanza l'uno dall'altro - sono cresciuti senza mamma e con l'incombenza di accudire il fratellino. 
 Ora Randall, che ha diciassette anni, pensa per lo più a giocare a basket - sport in cui eccelle - insieme agli amici big Henry, Manny e Marquise, si allena in maniera scrupolosa e spera di ottenere dalla high school che frequenta una borsa di studio per partecipare al Summer Camp che rappresenta un'occasione per mettersi in luce agli occhi degli osservatori delle principali squadre universitarie.
 Skeetah, invece, ha sedici anni, muscoli perfettamente disegnati, un carattere introverso e difficile, e un cane da combattimento che pare essere la sua principale ragione di vita: si tratta di China, una feroce femmina di pitbull che ha appena avuto dei cuccioli, e che Skeet accudisce come se fosse una fidanzata o una figlia. Presto China sarà di nuovo in grado di combattere, e Skeet conta, grazie alla forza e all'abilità del suo cane, di guadagnare i soldi necessari a iscrivere Randall al Summer Camp anche qualora non ottenesse la borsa di studio.
 Di appena un anno più piccola di Skeet e a lui legatissima è Esch, che con i suoi quindici anni cresce nel ricordo dolce e doloroso della madre, a cui assomiglia moltissimo, e sperimenta con crescente consapevolezza tutte le implicazioni della sua fiorente femminilità: fra i miti greci che studia a scuola, a impressionarla è principalmente quello di Medea, con tutti i contraddittori aspetti della sua multiforme identità, che la vede figlia, sorella, moglie, madre, femmina pazza per amore, donna tradita e traditrice, strega, assassina, amante abbandonata e disperata, causa del suo male, vittima inconsolabile e irredimibile della sua stessa vendetta.

Jesmyn Ward

 Esch, in preda al risveglio dei sensi che accompagna l'adolescenza, si è concessa con estrema naturalezza e senza pensarci troppo a diversi amici dei fratelli, cucendosi addosso la fama di ragazza leggera; si è però infine innamorata di Manny, bellissimo col suo sorriso luminoso, il suo corpo scolpito, la sua pelle di mulatto la cui lucentezza sembra esaltarsi ai riflessi del sole. L'amore per Manny brucia dentro le viscere di Esch, incurante del fatto che il giovane condivida una roulotte con un'altra ragazza, incapace di riconoscere come l'oggetto del suo desiderio sia interessato solo al sesso, e tenda impunemente ad approfittarsi di lei. Tanto che la ragazza, sventuratamente, di Manny finisce per restare incinta.
 Esch, con le sue insicurezze, il suo dramma silenzioso e tutta la poesia e il candore del suo sguardo, è anche la voce narrante attraverso la quale la storia ci viene raccontata. Ognuno dei dodici capitoli di cui si compone il romanzo corrisponde a una giornata di quella seconda metà del mese di agosto del 2005 che culminerà con l'abbattersi sulle coste della Louisiana del terribile uragano Katrina: la catastrofe - quasi una nemesi - tanto attesa da Claude, e finalmente giunta per sconvolgere ogni cosa e non lasciare più nulla come prima.
 L'alluvione portata da Katrina, infatti, distruggerà buona parte delle abitazioni seminate nel Bayou, compresa la casa dei Batiste, che riusciranno fortunosamente a salvarsi dal disastro, ma perderanno China, trascinata via dalla corrente; Skeet non saprà rassegnarsi alla sua scomparsa, e la cercherà per giorni nel bosco, fra gli alberi abbattuti, i rottami, le macerie. 
 Esch, dal canto suo, si renderà finalmente conto del carattere autodistruttivo della sua passione per Manny e, pur portando in grembo suo figlio, lo lascerà andare per la sua strada; si accorgerà invece delle attenzioni delicate prestate a lei e alla sua famiglia da big Henry, il più gentile, massiccio, riservato fra gli amici di Randall, l'unico che non l'abbia mai ridotta a un pretesto per sfogare i propri appetiti erotici.
 Il libro è decisamente bello: sul palpitante cuore selvaggio costituito dal complesso dei temi trattati viene costruita una narrazione a suo modo sofisticata, dove lo sviluppo della vicenda si sposa con l'affiorare di un sostrato simbolico a cui il punto di vista interno di Esch - al contempo ingenuo e disincantato - sa donare una assoluta concretezza.
 Alcuni dei personaggi che agiscono nel romanzo appaiono memorabili: al di là della protagonista-narratrice Esch, vale la pena di citare big Henry, i due fratelli Randall e (soprattutto) Skeet, Manny - bello e inarrivabile come un dio greco agli occhi di Esch -, e anche la cagna China, volitiva, spietata, fiera come l'eroina di un poema epico.  
 La scrittura stessa di Salvage the Bones (primo capitolo di una trilogia), le cui varie sfumature, via via popolaresche e colte, sono rese molto bene dalla traduzione di Monica Pareschi, è tutt'altro che banale: una prova meritevole della massima attenzione nel panorama della prosa americana contemporanea. 

Voto: 7

sabato 8 settembre 2018

Fernando Aramburu, "Anni lenti", Guanda


 Spagna franchista, anni sessanta: la madre del piccolo Txiki, abbandonata dal marito e incapace di mantenere la famiglia, è costretta a sradicare il figlio dalla natia Pamplona per mandarlo a vivere presso gli zii a San Sebastian. Del resto un destino più triste tocca ai due fratelli maggiori del bambino, rinchiusi in un orfanotrofio.
 Eppure Txiki fatica non poco ad ambientarsi nella sua nuova casa: il cugino Julen, con cui condivide la camera da letto, all'inizio è spesso brusco e quasi prepotente con lui, lo chiama "il navarro", e ammorba l'aria con l'insopportabile puzza dei suoi piedi; lo zio Vicente, silenzioso, remissivo e quasi rassegnato, divide tutto il suo tempo tra il lavoro in fabbrica, il bar e le partite a toka con gli amici, ed è quasi come se non ci fosse; la cugina Mari Nieves, ossessionata dal sesso, si butta via concedendosi a tutti i ragazzi del quartiere; e la zia Maripuy, la sorella di sua madre, sebbene sia una massaia perfetta, è sempre in lotta col mondo, e risulta troppo volitiva e autoritaria per costituire il punto di riferimento affettivo di cui Txiki - che ha solo otto anni - avrebbe bisogno.
 A poco a poco, però, ci si abitua ad ogni cosa, e anche Txiki inizia presto a sentirsi a suo agio nella sua nuova famiglia e nella sua nuova città. Così, comincia ogni giorno ad aiutare la zia a incartare le saponette da mettere in vendita per arrotondare il magro stipendio del marito; comincia a preoccuparsi per Mari Nieves, che si fa mettere incinta non si sa da chi e, per non gettare discredito su di sé e sui suoi, è costretta ad accettare un matrimonio riparatore con il figlio mite e giudizioso ma un poco ritardato di un vicino di casa; comincia a compatire zio Vicente, che con la sua innata bontà sembra fatto per subire passivamente ogni affronto da chiunque.
 Ma è soprattutto Julen che, al di là della sua indole un poco scontrosa, si palesa come una sorta di fratello maggiore per Txiki, tanto da arrivare a confidargli le proprie aspirazioni e i propri pensieri, e a metterlo a parte dei suoi sogni e dei suoi segreti. 
 Siamo nel pieno del periodo storico in cui il nazionalismo basco, saldandosi con l'antifranchismo, cresce fino a dare vita alla lotta armata e a inaugurare l'epopea terroristica dell'ETA. Julen, attraverso il magistero di don Victoriano - parroco del quartiere e militante indipendentista - entra in contatto con gli ambienti più fieramente anticastigliani della città: su invito del prete, si mette a studiare attivamente la lingua basca, partecipa alle gite domenicali in montagna insieme ad altri ragazzi che coltivano il credo nazionalista e aspirano a costituire una vera e propria cellula dormiente di guerriglieri, tiene sotto il materasso l'ikurrina, la bandiera basca vietata dal regime di Franco e custodita a turno dai militanti dell'organizzazione, comincia infine addirittura a fantasticare di uccidere un giorno il caudillo durante una delle sue visite annuali in città.

Fernando Aramburu

 Presto l'impegno politico di Julen diventa qualcosa di molto serio: sospettato di essere coinvolto in un'azione eversiva contro alcuni gendarmi della Guardia civil, il ragazzo viene dapprima fermato per alcuni giorni dalla polizia e subito rilasciato; poi, messo nuovamente nel mirino dalle forze dell'ordine, per evitare guai peggiori è costretto a fuggire in Francia insieme a un amico. 
 Purtroppo l'esilio si rivela deleterio per Julen: meno maturo emotivamente, meno dotato economicamente e meno attrezzato culturalmente di altri compagni di sventura per affrontare i disagi di una vita comunque difficile in terra straniera, il giovane entra in contrasto con alcuni rappresentanti dell'indipendentismo che godono di maggiore autorevolezza rispetto a lui nel gruppo di cui fanno parte, e reagiscono facendogli fare il vuoto intorno. 
 Isolato dai suoi connazionali all'estero, a Julen resta solo il ricordo dell'affetto della sua famiglia lontana. E così, pur di rientrare in Spagna e di rivedere la madre, il padre, la sorella e Txiki, il ragazzo accetta di rinnegare la sua fede e di vendere alcune informazioni sensibili alla polizia spagnola in cambio di un implicito "lasciapassare" per San Sebastian.
 Il problema è che, a San Sebastian, a questo punto, lo attende la riprovazione e l'ostilità di tutti coloro che ormai vedono in lui solo uno sporco traditore. Anche i suoi famigliari, scansati e osteggiati dai "patrioti" baschi, ne subiscono le conseguenze, vengono isolati dalla loro comunità, e a volte reagiscono rabbiosamente di fronte agli antichi conoscenti che li trattano in maniera insolente: Maripuy giunge a schiaffeggiare sulla pubblica via, con grande scandalo, don Victoriano che l'aveva ostentatamente ignorata davanti a tutti. 
 Per porre fine a questa incresciosa situazione, Julen è costretto ad abbandonare tutto per imbarcarsi su una nave diretta in Brasile, dove si sposerà e si rifarà una vita; conservando sempre nel cuore, però, l'affetto per i suoi famigliari e, in particolare, per il suo fratellino acquisito Txiki.
 Il romanzo - pubblicato in Spagna nel 2012, ma uscito in Italia solo quest'anno - è assai interessante dal punto di vista del tema trattato e del contenuto, e raffinatamente concepito dal punto di vista tecnico. Aramburu scava all'interno degli ambienti e del tessuto sociale dei Paesi Baschi negli anni sessanta per mettere a fuoco la mentalità e il clima politico che favorirono la nascita del terrorismo indipendentista; nel contempo cerca di mostrare come certe rigidezze e certe ottusità che sempre accompagnano l'estremismo ideologico (di qualsiasi segno esso sia) finiscono per cozzare con la proteiforme vitalità dei bisogni e delle aspirazioni individuali, e con l'imprevedibilità delle vicissitudini affettive e personali degli stessi uomini che da quell'estremismo si sentono attratti e nel suo sviluppo sono coinvolti.
 Così, Julen crede nel valore della lotta per l'indipendenza di Euskadi, e a quella lotta è disposto a sacrificare tutto, persino la vita; quando però si sente ferito nella sua umana dignità e nei suoi affetti più autentici dal comportamento dei compagni di militanza, finisce per mettere in secondo piano quegli astratti ideali che i suoi compagni incarnano in modo così imperfetto e impuro, e che in precedenza pensava potessero costituire l'imperturbabile filo conduttore della sua esistenza.
 La tecnica narrativa adottata rappresenta uno degli aspetti più interessanti del libro. La voce narrante è per lo più quella di Txiki adulto, che racconta la sua esperienza di tanti anni prima non a noi lettori direttamente, bensì allo scrittore Fernando Aramburu, in procinto di scrivere un libro sull'esperienza autentica di una famiglia proletaria vicina al nazionalismo basco nella San Sebastian degli anni sessanta. 
 Nella finzione narrativa, i capitoli con il racconto di Txiki si alternano con quelli in cui vengono riportati gli appunti del personaggio-Aramburu, che cerca di perseguire non solo e non tanto la fedeltà del resoconto documentario, quanto piuttosto la freschezza della resa letteraria, a costo di modificare il dato realtà. Questo, paradossalmente, nella logica diegetica, accresce la credibilità della testimonianza di Txiki, e nel contempo induce il lettore a compiere uno sforzo immaginativo per colmare la distanza esistente tra il punto di vista dell'uomo adulto che racconta e quello del bambino che è stato un tempo, per cercare di correggere le inevitabili sfocature create da questo iato, e per colmare le lacune che rimangono nel flusso narrativo. Il risultato è straordinario.
 Insomma, siamo di fronte a un'opera nel complesso davvero notevole.  

Voto: 7,5