sabato 27 aprile 2019

Lawrence Osborne, "La ballata di un piccolo giocatore", Adelphi


 L'attrazione che provo per il mondo del gioco d'azzardo - con i suoi isterismi, le sue meschinità, la vena demoniaca da quattro soldi che lo percorre, e la tragica ottusità dei suoi protagonisti - è sempre stata molto scarsa, prossima allo zero direi.
 Eppure ho trovato questo libro degno di interesse, non solo per la capacità di analisi della psicologia del giocatore al centro della vicenda raccontata, ma anche per la potenza icastica delle situazioni rappresentate e per l'originale sviluppo della trama.
 La ballata di un piccolo giocatore è la storia di un ex avvocato inglese rifugiatosi nel porto franco di Macao dopo la scoperta della truffa da lui operata ai danni dell'anziana, ricchissima vedova di un grosso imprenditore senza scrupoli, il cui patrimonio era gestito dallo studio legale per il quale l'uomo lavorava.
 Di fatto, a Macao, il protagonista vive come un prigioniero: può spostarsi con il traghetto fino a Hong Kong ma, inoltrandosi nel territorio cinese, rischierebbe di essere catturato ed estradato per via delle accuse che pendono su di lui. Grazie alla notevole quantità di denaro che ha rubato e trasferito tempo prima nel paradiso fiscale che è diventato il suo rifugio, però, può dedicarsi quasi da professionista alla passione per il gioco d'azzardo che ha sviluppato.
 I giorni - e le notti - dell'uomo trascorrono fra un casinò e l'altro di Macao, ai tavoli dove si pratica il Baccarat, la disciplina nella quale il vantaggio del banco è statisticamente meno significativo; la sua distinzione e i guanti di tela che indossa quando gioca hanno fatto sì che si diffondesse la voce che egli sia un misterioso nobile inglese conosciuto nelle bische di mezzo mondo: di conseguenza, per tutti, è diventato Lord Doyle.
 L'atmosfera che regna nei grandi casinò di Macao è terribilmente opprimente: sullo sfondo di scenari posticci basati su temi storici o pseudostorici (l'antichità classica, l'Egitto dei faraoni, l'Italia rinascimentale, un futuro fantascientifico sul modello di Guerre Stellari) sviluppati in maniera indescrivibilmente kitsch, si muovono personaggi spesso caratterizzati da una volgarità impressionante (proprietari di fabbriche che producono graffette, bamboline o piccoli oggetti in plastica), arricchitisi da un giorno all'altro, e capaci di rovinarsi in una sera per inseguire ingenue chimere, soggiogati dalla propria stessa irrazionale avidità; ludopatici che passano da un tavolo all'altro in uno stato di perenne catatonia, blanditi da croupiers e camerieri che esibiscono il lusso più sfacciato e specioso.
 In questo ambiente particolarissimo, Lord Doyle riconosce la realizzazione di uno dei peggiori incubi elaborati dalla tradizione cinese, quella specie di girone infernale che è il "mondo degli spiriti affamati": una bolgia in cui la punizione dei dannati è determinata dal loro stesso insaziabile anelito nei confronti del denaro - o dall'insopprimibile ricerca del brivido del gioco che li consuma dentro. A questa seconda categoria di "affamati" sa di appartenere Lord Doyle che, nonostante le sue sostanze non siano così consistenti da permettergli di giocare all'infinito, come ogni vero giocatore, trova nella perdita di quanto ha puntato una soddisfazione pari, se non maggiore, di quella che gli dona una vincita. 

Lawrence Osborne

 La narrazione condotta in prima persona e la totale pervasività della focalizzazione interna trasmettono al lettore in maniera violenta l'ardore della febbre di cui soffre il protagonista, e una sensazione soffocante di chiusura in un labirinto fatto di condizionamenti mentali da cui è difficilissimo sfuggire.
 L'epilogo inevitabile a cui sembra destinato Lord Doyle è la rovina totale: la perdita del patrimonio, l'espulsione da Macao, lo spettro del rimpatrio in Inghilterra, il carcere o, in alternativa, il suicidio. L'uomo arriva vicinissimo al disastro quando, in una serata più sfortunata delle altre, in un accesso di follia, si gioca tutto quello che possiede contro una vecchia, spietata, agiatissima signora, ben nota - e odiata - ai tavoli dei casinò di Macao, soprannominata "la Nonna". Gioca, e perde.
 Ridotto sul lastrico, Lord Doyle si imbarca su un traghetto per Hong Kong con l'intenzione di buttarsi in mare durante il tragitto; non trovando il coraggio o la determinazione necessaria per compiere il gesto estremo, giunto a terra, si chiude in uno sfarzoso ristorante, ben sapendo di non essere in grado di pagare il conto salatissimo che risulterà dalle sue ordinazioni.
 A questo punto, però, del tutto inopinatamente e quasi per incanto, viene in suo soccorso Dao-Ming, una giovane prostituta cinese incontrata per la prima volta qualche giorno prima. La ragazza, con la quale l'uomo aveva trovato nel corso dell'unica notte passata insieme una singolare sintonia, intuisce le sue difficoltà quando gli viene chiesto di saldare il totale per le sue consumazioni; paga dunque il conto per lui, e lo porta stremato e febbricitante a casa sua, per curarlo, accudirlo, e fantasticare sullo sviluppo di un impossibile idillio.
  Ma alla prima occasione, tradendo tutti i propri buoni propositi e l'affetto - e la compassione - che ha cominciato a nutrire per Dao-Ming, Lord Doyle sottrae di nascosto alla ragazza i suoi risparmi per tornare al tavolo da gioco, schiavo del suo demone. L'uomo ripete a se stesso che si tratta solo di un prestito, pur sapendo perfettamente che non restituirà mai il denaro a Dao-Ming, e che perderà tutto con poche mani di Baccarat.
 La cosa incredibile è che, da quel giorno, pur facendo puntate assolutamente spregiudicate, comincia a vincere senza fermarsi più: inanella infatti una serie impressionante di "naturali" (cioè di 9, il massimo punteggio totalizzabile nel Baccarat), accumula una fortuna di milioni e diventa, in tutti i casinò di Macao, un vero mito, rispettato e temuto, circonfuso da un'aura quasi soprannaturale, accresciuta dall'inclinazione di tutti i cinesi per quel tipo particolare di pensiero magico che tende a rifiutare l'occorrenza di pure e semplici coincidenze nel determinare la fortuna di un individuo.
 E tuttavia, l'epilogo della vicenda del fuoriuscito inglese è ugualmente tragica: nel momento in cui Lord Doyle - placato finalmente l'istinto del giocatore - torna a cercare Dao-Ming con l'intenzione di restituirle tutto quello che le ha sottratto, e con la vaga idea di abbandonare il gioco d'azzardo per costruirsi una vita nuova con la ragazza, scopre che la giovane prostituta si è impiccata alcuni giorni prima. Che il motivo del suicidio sia il furto subito? Il libro si conclude lasciando aperto questo angoscioso interrogativo, mentre per Lord Doyle tutto l'orizzonte intorno si affusola in un pozzo di cupezza infinita.
 Nella sua tossica negatività, nel suo sinuoso sviluppo, nel suo disperato epilogo, il romanzo è un perfetto esempio di magistrale resa letteraria di una realtà complessa, poco conosciuta e difficile da descrivere: qualcosa tra Buzzati, Landolfi e Nabokov.

Voto: 6,5

venerdì 12 aprile 2019

Romain Gary, "La vita davanti a sé", Neri Pozza


 Poche settimane fa, mi è capitata fra le mani una nuova edizione di La vita davanti a sé (La vie devant soi) di Romain Gary, illustrata da Manuele Fior. 
 La scelta di presentare il celebre romanzo dello scrittore francese di origine lituana in una versione corredata da disegni che riproducono personaggi e scene specifiche della vicenda narrata mi ha incuriosito moltissimo: è da molto tempo, infatti, che fantastico sulla possibilità di proporre questo libro in una collana di narrativa scolastica che non contempli solo testi di tenore "educativo" (secondo l'accezione tradizionale di questo termine), ma anche autori più coraggiosamente trasgressivi, capaci di incarnare un'idea apertamente libertaria e anticonformista della letteratura. 
 Considero infatti deleterio il neopuritanesimo che spesso affligge oggi gli indirizzi didattici comunemente seguiti nelle nostre scuole, e ritengo che la lettura (ahimé, sovente non coltivata come sarebbe opportuno fare) sia l'arma perfetta per combattere culturalmente questa tendenza.
 Ora, le illustrazioni di Manuele Fior che accompagnano il testo pubblicato da Neri Pozza (nella traduzione di Giovanni Bogliolo), con il tratto espressionistico che le caratterizza, non sono esclusivamente rivolte a un pubblico di lettori in età scolare; di certo, però, possono aiutare ad avvicinare i ragazzi e i giovani - che dal linguaggio delle immagini sono ispirati - a un romanzo capace di sprigionare una carica di umanità che raramente è dato trovare in un'opera narrativa.
 La vita davanti a sé è la vicenda, raccontata in prima persona, del piccolo Momo, un ragazzino arabo cresciuto a Belleville, nella periferia multietnica parigina, in una "famiglia" molto particolare, quella costituita da Madame Rosa e dai bambini a lei affidati - dietro adeguato compenso - da madri che non possono occuparsi di loro.
 Madame Rosa è una ex prostituta ebrea di origine polacca sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz che, divenuta troppo vecchia per esercitare la sua originaria professione, ha deciso di aprire un vero e proprio "asilo per figli di puttana": un ricovero per i bambini che le autorità o i servizi sociali sottrarrebbero alle loro madri, abituate a procurarsi da mangiare vendendo il proprio corpo, se esse non trovassero una soluzione per nasconderli allontanandoli temporaneamente da sé.
 La condizione di Momo, in realtà, è abbastanza particolare anche fra i ragazzi di Belleville. Sua madre Aisha, infatti, è stata uccisa anni prima dal suo "protettore" (che forse era anche il padre del ragazzo); normalmente, Madame Rosa sarebbe portata a "vendere" a famiglie borghesi senza figli i bambini con una storia simile a questa, facendoli adottare dopo aver procurato loro documenti falsi. Ma la vecchia signora si è affezionata oltremisura a Momo, e ha finito per tenerlo con sé anche in assenza di congiunti in grado di pagare per lui la "retta" mensile.
 Così il ragazzo, nonostante i suoi rapporti difficili con la scuola, e nonostante la miseria e la precarietà costituzionalmente legate all'ambiente in cui vive, ha trovato una sua stabilità, individuando intorno a sé personaggi capaci di farlo sentire in qualche modo amato, di aiutarlo e di trasmettergli qualcosa di importante: oltre alla stessa Madame Rosa, il dottor Katz, un anziano medico ebreo - anch'egli reduce da Auschwitz - a cui la donna si affida per qualsiasi problema di salute dei suoi figliocci; il signor Hamil, un vecchio venditore ambulante di tappeti di origine algerina, ammiratore di Victor Hugo, che ha insegnato a Momo a leggere, a scrivere e a recitare le sure del Corano; Madame Lola, un transessuale di origine senegalese - ex pugile - che aiuta economicamente Madame Rosa quando è a corto di quattrini. E anche in tutti gli spacciatori, i prosseneti, gli sbandati e i coloriti personaggi che popolano il quartiere, Momo ha imparato a vedere semplicemente degli amici. 

Romain Gary

 Certo, nulla può colmare nel suo cuore il vuoto dovuto all'assenza di una mamma e di un papà, di fratelli in grado di stargli vicino nei momenti brutti, e niente può cancellare la malinconia creata dall'impossibilità di vivere un'infanzia "vera". E allora, nei frangenti in cui la tristezza si impadronisce di lui, il ragazzino cerca di consolarsi come può con la sua vivissima fantasia, immaginando una leonessa che lo viene a trovare di notte leccandogli la faccia, o un pagliaccio azzurro che lo consola mettendogli un braccio intorno alle spalle, o trasformando il suo ombrello in un curioso pupazzo, il coloratissimo Arthur.
 I problemi più grossi per il ragazzino sorgono quando la salute di Madame Rosa comincia a declinare: la donna soffre spesso di amnesie, preludio alla totale demenza che, a detta del dottor Katz, presto si impadronirà di lei, tanto che non sarà più in grado di occuparsi di Momo. Rendendosi conto di quello che sta succedendo, la donna - che ha sempre voluto preservare la propria indipendenza e la propria libertà, e non ha mai potuto sopportare quelle forme di assistenza attraverso le quali la società sottopone gli individui ai propri vincoli - si fa promettere da Momo che mai sarà rinchiusa in un ospedale, nonostante le insistenze dei medici.
 Così, dopo aver fatto credere a tutti che Madame Rosa sia partita per Israele insieme ad alcuni lontani parenti con cui aveva ripreso contatto, Momo conduce la donna nel suo "cantuccio ebraico", un cantinino nei sotterranei del palazzo arredato con dei vecchi mobili, capace di far sentire Madame Rosa perfettamente al sicuro; e lì continua a vegliarla anche oltre la morte, cospargendone il corpo con il suo profumo preferito, truccandole il viso per nascondere i segni dell'incipiente corruzione delle carni. Solo quando il cadavere in decomposizione, con sommo orrore, viene scoperto dagli altri condomini del palazzo, Momo si stacca dalla persona che in assoluto più ha contato nella sua esistenza, forse l'unica con cui è riuscito a stabilire un legame davvero speciale, la sola capace di incarnare in qualche modo la madre che il ragazzo non ha mai avuto.
 Il libro, nonostante qualche eccesso caricaturale, è davvero memorabile: una storia d'amore di assoluta originalità.
 Il personaggio di Momo è qualcosa di inedito nella storia della letteratura, con il suo linguaggio sgrammaticato, la sua vivida intelligenza, la sua assoluta dedizione alla "madre adottiva": un fiore cresciuto nel letame, il simbolo del valore assoluto della vita anche nelle sue più misere propaggini. E la stessa Madame Rosa, con il suo cinismo e il suo buon cuore, il suo candore e il suo sguardo disincantato sul mondo, la sua forza di volontà e la sua fragilità, rappresenta qualcosa che va oltre tutti i luoghi comuni, persino quelli della più trita controcultura.
 La corona dei personaggi "minori" - Madame Lola, il signor Hamil, Moise, Banania, il dottor Katz, le passeggiatrici, i facchini, gli artisti di strada, Nadine, ecc. -, dal canto loro, riescono a offrire uno spaccato della banlieu parigina insieme di straordinario realismo e di profondo lirismo.
 Le pagine finali - quelle in cui si racconta della lunga "veglia funebre" del ragazzo al corpo di Madame Rosa -, poi, sono in assoluto fra le più emozionanti che io ricordi di avere letto.   
 L'operazione compiuta da Neri Pozza, dunque, mi sembra davvero degna di nota, per un testo che meriterebbe più vasta diffusione e una più alta considerazione anche fra le giovani generazioni di lettori.

Voto: 8