sabato 31 agosto 2019

Fernando Aramburu, "Dopo le fiamme", Guanda


 Costituito da dieci racconti, il libro insiste sui temi già trattati nei romanzi pubblicati da Aramburu negli ultimi anni: la controversa stagione dell'indipendentismo e del terrorismo basco con tutti i suoi strascichi, le crudeltà e le ingiustizie insite nella logica della lotta armata, le giustificazioni e i vizi del nazionalismo, la vischiosità dei pregiudizi, le diverse declinazioni del conformismo, l'inadeguatezza della complessità della coscienza al cospetto di una dialettica politica manichea, il valore e il dolore del dubbio, la pena per le vittime innocenti di un meccanismo spietato - quale quello della guerra civile - che trascina nei propri ingranaggi e stritola anche coloro che ad essa sono estranei.
 In particolare, la viva partecipazione alle sofferenze di coloro che restano coinvolti proprio malgrado in vicende che soverchiano e sfregiano la specificità dei destini individuali diventa una sorta di criterio unificante di tutte le storie narrate.
 I pesci dell'amarezza mette in scena un padre che vede la sua unica figlia restare invalida a seguito di un attentato compiuto a San Sebastian dagli indipendentisti nei pressi dello sportello bancario a cui ella si era recata per prelevare. La ragazza, uscita dall'ospedale dopo sei mesi di degenza, si chiude sempre più in se stessa, fino a perdere il fidanzato Andoni, che era in procinto di sposare, mentre Jesus, il padre-narratore, non può far altro che assistere malinconico e impotente al dilagare della mestizia all'interno della sua famiglia.
 Madri parla della moglie di un vigile urbano - mamma di tre figli ancora bambini - che viene assassinato dagli indipendentisti, in quanto rappresentante dell'autorità spagnola, come ritorsione in seguito all'accidentale uccisione di un ragazzo basco da parte della Guardia Civil. La donna, oltre ad aver perso il marito, è costretta a lasciare insieme ai figli la sua casa e la sua città per via dell'ostilità manifesta di tutti coloro che le sono intorno, in particolare dell'anziana madre del ragazzo ucciso, sua antica conoscente, fanatica nazionalista incattivita dalla propria sorte. 
 Maritxu è la storia della madre di un giovanissimo terrorista, rinchiuso in carcere e destinato a restarci a lungo, che vede tutti coloro che lo hanno spinto alla lotta armata e assecondato nel percorso che ha scelto - e per cui sta pagando - vivere tranquillamente la propria vita, del tutto dimentichi del ragazzo che marcisce in prigione.
 In La cosa più bella erano gli uccelli, una madre racconta al figlio l'episodio dell'assassinio di suo padre - nonno del bambino - avvenuto molti anni prima, quando ella era solo una ragazzina; e la specificità del racconto sta proprio nel prevalere del punto di vista della disorientata fanciulla di allora, rimasta improvvisamente orfana.
 La trapunta bruciata narra di una famiglia tanto concentrata sulla propria quotidianità borghese da faticare a rendersi conto del dramma dei propri vicini, presi di mira dall'ETA che, più che meritevoli di solidarietà, ai loro occhi, vengono percepiti come un fastidio.

 Fernando Aramburu 

 Relazione da Creta è uno dei racconti più lunghi: una giovane sposa, durante un momento di riposo nella sua meravigliosa luna di miele, scrive alla psicologa che ha aiutato suo marito a venire a capo del blocco dovuto al ricordo dell'assassinio di suo padre - un giudice -, avvenuto davanti ai suoi occhi quando egli era un solo bambino.
 Nemico del popolo è un pezzo particolarmente drammatico, essendo focalizzato sull'ostracismo sociale che viene decretato ai danni di Zubillaga, un falegname basco che la gente del suo villaggio, forse a torto, considera un delatore. Il disprezzo di cui Zubillaga viene circondato finisce per ricadere anche su sua moglie e sui suoi figli, a loro volta emarginati da ex amici e conoscenti. L'uomo, disperato, non troverà altra soluzione per uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato che il suicidio, messo in atto lanciandosi da un ponte.
 Colpi sulla porta è la storia dell'incubo vissuto da un giovanissimo detenuto, accusato di essere un terrorista e sottoposto al regime di carcere duro varato dal Governo spagnolo all'inizio degli anni novanta per cercare di infliggere all'ETA un colpo mortale. Il fatto è che tutto quello che accade - i colpi dei manganelli degli agenti di custodia sulle sbarre, la luce accesa a più riprese in piena notte per non lasciar riposare i carcerati, la spogliazione dei detenuti di tutti i loro averi, le pressioni psicologiche, l'isolamento, l'allontanamento dei prigionieri dai loro cari - viene descritto con gli occhi di quello che non sembra un assassino sanguinario, ma solo un ragazzo spaurito.
 Il figlio di tutti i morti parla del figlio adolescente di una vittima dell'ETA che scopre che la ragazzina da cui ha ricevuto delle avances è la sorella della militante indipendentista responsabile, quattordici anni prima, dell'assassinio di suo padre, e ora - una volta uscita dal carcere - riaccolta in seno alla cittadinanza con tutti gli onori in nome del suo patriottismo. Per il giovane Inigo, allontanare la ragazza, che pure lo attraeva, diventa una scelta inevitabile.
 L'eponimo Dopo le fiamme racconta invece di uomo di nome Eusebio che, di ritorno a casa dopo essere stato tranquillamente a pescare, viene per caso ferito alle gambe mentre passa per il luogo teatro di un attentato incendiario degli indipendentisti baschi. Durante la degenza in ospedale, Eusebio si ritrova a condividere la stanza con un vecchio piuttosto scorbutico che - come avrà modo di scoprire chiacchierando con lui - è il padre di un terrorista in carcere da molti anni. Eusebio e il vecchio si renderanno presto conto di essere entrambi, ciascuno a suo modo, vittime di un'epoca tragica delle conseguenze della quale non possono essere ritenuti in alcun modo responsabili.
 Lo stile di Aramburu, mimeticamente proteiforme, si dimostra ancora una volta uno strumento perfetto per dare voce ai protagonisti di una stagione assai dolorosa e sovente dimenticata della storia recente d'Europa, in particolare alle vittime innocenti, a coloro che furono travolti dalla marea montante dell'intolleranza e della violenza senza avere nessuna specifica colpa.
 E mettere in scena letterariamente costoro, oggi, significa senza dubbio - fatta salva la complessità delle vicende narrate - lanciare un monito a tutti i lettori contro le incontrollabili conseguenze del fanatismo nazionalista.

Voto: 6,5

sabato 24 agosto 2019

Francesco Longo, "Molto mossi gli altri mari", Bollati Boringhieri


 Tramato di richiami simbolici e di riferimenti letterari, Molto mossi gli altri mari si muove sul crinale tra il libro di memorie e il Bildungsroman
 La storia è ambientata nella baia di Santa Virginia, immaginaria località balneare non troppo lontana da Roma (città in cui vivono molti dei personaggi del romanzo, abituati a passare l'estate al mare, e che risulta facilmente raggiungibile in giornata prendendo il treno), descritta però come se si trovasse in un altrove remotissimo, quasi isolata in una mitica California (nei mesi freddi la Capitale sembra galleggiare in un'altra dimensione, e grandi mareggiate sferzano il litorale dove gruppi di appassionati praticano il surf su onde altissime).
 Protagonista e narratore della vicenda è Michele, che della compagnia di ragazzi abituati a riunirsi ogni estate a Santa Virginia è l'unico a risiedere stabilmente lungo la costa. 
 Il tempo del racconto vede un Michele già adulto - ormai intorno alla trentina - che, in un'epoca a noi molto prossima, nei giorni che segnano il termine della stagione della villeggiatura, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre, rievoca le estati di molti anni prima, quelle che vanno dalla preadolescenza alla prima giovinezza della maggior parte dei personaggi, abbracciando il periodo della scuola superiore e dell'Università: le estati del suo amore a lungo cullato e mai pienamente sbocciato per Micol, un'incantevole coetanea di origine ebraica e dall'aria lievemente esotica, la cui famiglia è proprietaria di una delle ville che sorgono dietro la spiaggia. 
 Mentre Michele racconta, si creano le condizioni affinché la grande compagnia di un tempo - composta da giovani diventati quasi tutti abili praticanti del surf - si possa ritrovare per un'ultima volta a Santa Virginia, in occasione di una mareggiata che si annuncia irripetibile: incontriamo così Silvia, la più bella, bionda ed elegante, forse un po' ammaccata per le delusioni patite crescendo; Guido, il leader carismatico del gruppo, avvenente e volitivo, storico fidanzato di Silvia (poi lasciata per una bella spagnola), sempre brillante e sempre alla ricerca di nuove esperienze, protagonista dell'introduzione del surf nella baia dopo alcuni mesi passati all'età di diciott'anni a San Diego; il Cicogna, il più colto e studioso di tutti, spalla ideale di Guido all'ombra del quale ha sempre vissuto; Margherita, svagata e sognante, diventata famosa con il cinema e la pubblicità; e poi Valentina, e Cristiano Bodoni, e Luca Pacchetti, e Gabriele, e molti altri. Ma, soprattutto, è attesa Micol, eclissatasi da tanto tempo, e ora, a quanto sostiene Silvia, in procinto di sposarsi e di trasferirsi a Tel Aviv. 

Francesco Longo

 Il progressivo aumento dell'altezza delle onde e il crescere della tensione, mano a mano che si avvicina il climax della mareggiata e del racconto, scandiscono la narrazione delle annate che nel passato si sono succedute a Santa Virginia, comunque sempre dominate dall'attrazione di Michele per Micol, spesso così vicina, forse a tratti persino innamorata, eppure sempre inafferrabile, perché impegnata con altri, perché persa in sogni indecifrabili, perché immersa in una vita diversa, perché affascinata da qualcosa di ulteriore, di impersonale, di grande, di vago, di irriducibile all'amore che Michele prova per lei.
 Il finale inopinatamente tragico coinciderà con la caduta dell'ultima illusione, quella che Micol possa, quasi fuori tempo massimo, decidere di legare le proprie chimere alla domesticità dell'universo del protagonista.
 A Francesco Longo riesce una fusione che, a tutta prima, parrebbe molto difficile: quella fra Big Wednesday e Il giardino dei Finzi-Contini: il mito della prova suprema, che compendia e chiude la giovinezza, con le sue meravigliose aspirazioni e le sue utopie destinate a cadere, coniugato alla storia di un amore profondo che le circostanze, la storia, il destino, la propria inadeguatezza e l'umore stravagante e l'estrosa astrattezza delle fantasticherie dell'amata rendono impossibile.
 La Micol di Longo non presenta certo la complessità di quella di Bassani, ma con la sua eccentrica svagatezza ha fascino da vendere; il cimento finale dei personaggi di questo romanzo non possiede la grandiosità leggendaria di quello messo in scena da John Milius, ma riesce comunque a fungere da potentissimo centro di gravità narrativo, proiettando in una dimensione in qualche modo epica le piccole vicende personali dei personaggi di Molto mossi gli altri mari.
 Lo stile fluido ed efficace, governato dall'autore con grande consapevolezza, inoltre, rende la lettura sicuramente piacevole e a tratti anche appassionante, grazie al richiamo irresistibile che l'invito all'immedesimazione in una giovinezza inventata riesce a esercitare sulla maggior parte di noi.

Voto: 6,5 

sabato 17 agosto 2019

Paolo Rumiz, "Il filo infinito", Feltrinelli


 I libri di viaggio di Paolo Rumiz scaturiscono talvolta da uno scrupolo identitario, o da un intimo bisogno di ricostruire una verità storica dimenticata, talaltra, semplicemente, dall'ebbrezza della scoperta alimentata dall'immaginazione.
 Ma qui è tutto diverso, perché il progetto del viaggio e il libro che ne è il resoconto nascono dal disagio, dalla preoccupazione profonda, dalla paura suscitata dalla constatazione del degrado della coscienza civile dell'Italia e dell'Europa che scivolano verso la xenofobia e il razzismo.
 Quali sono le cause di questa incresciosa situazione? I sentimenti miserabili che furono all'origine delle peggiori tragedie del nostro passato recente ritornano a galla più facilmente per via degli scompensi e del disorientamento provocati in larghi strati della popolazione dalle ondate migratorie che caratterizzano la nostra epoca, ma soprattutto sono la conseguenza dei deliri indotti dalla politica deteriore imperniata sulla più ottusa e degenere delle ideologie: il nazionalismo.
 Il nazionalismo è il primo responsabile della legittimazione dell'odio verso il "diverso" e lo straniero e, contemporaneamente, del tentativo di destrutturazione del patrimonio comune europeo che oggi potremmo finalmente ereditare dalla virtuosa interpretazione della nostra storia plurimillenaria. 
 Rumiz si chiede se proprio nella nostra identità culturale italiana ed europea non esista un antidoto efficace ai rigurgiti nazionalisti, e crede di poterlo trovare nella lezione dell'uomo che forse per primo, partendo dalla sostanza solidaristica del messaggio evangelico, in un'epoca di invasioni vere, di scontri violentissimi e di latitanza dello Stato di diritto quale quella che seguì alla dissoluzione dell'Impero romano d'Occidente, gettò le fondamenta di una comune coscienza europea: San Benedetto da Norcia, figlio dell'Appennino, capace di coniugare, ordinandole su un medesimo piano, la potenza ctonia delle Sibille dell'età classica con la forza irresistibile del messaggio di Cristo.
 Benedetto - se davvero un personaggio con questo nome e di questo calibro esistette (alcuni studiosi ne dubitano) - concepì intorno ai principi essenziali della preghiera e del lavoro una Regola in 63 capitoli sulla quale basare la convivenza di gruppi di monaci in comunità nel contempo chiuse a protezione dei propri valori fondanti e capaci di aprirsi al mondo circostante per civilizzarlo e al territorio di pertinenza per fertilizzarlo.
 Stanzialità e diffusione geografica (stabilitas in cogregatione). Disciplina ed esercizio della democrazia (l'abate è eletto dalla comunità monastica e periodicamente la sua carica viene rimessa in discussione). Importanza dello studio e impegno nel lavoro manuale. Esercizio del silenzio e sublimazione della preghiera attraverso la musica e il canto. Senso di appartenenza e capacità di accoglienza. Radicamento della fede nella materialità dell'esistere e tensione costante verso l'elevazione spirituale. 

Paolo Rumiz

 Tutto questo furono le comunità di monaci benedettini sparse per l'Europa, da nord a sud, da est a ovest; e ancora, centro di attrazione e principio di creazione di benessere per i territori di pertinenza, fortilizio su cui potevano fare affidamento i contadini in caso di pericolo e irresistibile richiamo per la cristianizzazione dei barbari invasori. 
 Ai benedettini si deve persino la diffusione della birra, la più europea delle bevande, sbarcata in Calabria grazie ai monaci copti d'Egitto, codificata nella sua ricetta attuale presso l'abbazia di San Francesco di Paola, capace di risalire la Penisola fino alla Padania lungo la dorsale appenninica per poi valicare le Alpi per diffondersi a Est e a Nord, presso i tedeschi e poi i belgi.
 Sulla base di queste osservazioni, di queste constatazioni e di queste suggestioni viene impostato il viaggio di Rumiz, in 14 tappe, alla ricerca della trama capace di tenere insieme, legandole alle medesime istanze, la cultura e la mentalità europee: quel filo infinito di cui si parla nel titolo del libro.
 I 14 presidi che vengono toccati in angoli diversi d'Europa, a ciascuno dei quali viene dedicato un capitolo (Praglia, in Veneto; Sankt Ottilien, in Baviera; Viboldone, in Lombardia; Muri Gries, in Sud Tirolo; Marienberg, di nuovo in Sud Tirolo; San Gallo, in Svizzera; Saint-Wandrille, in Francia; Orval, in Belgio; Altotting, in Germania; Niederalteich, in Germania; Pannonhalma, in Ungheria; Camerino, nelle Marche; San Giorgio Maggiore, di nuovo in Veneto) costituiscono, in maniera diversa, altrettanti esempi di come la fedeltà alla Regola benedettina - declinata di volta in volta attraverso il cibo, la luce, la musica, la parola, la preghiera, il silenzio, la libertà, la generosità, la solidarietà - funga da argine al dilagare della grettezza particolaristica e dell'egoismo xenofobo. 
 Addirittura, in Ungheria, dove gran parte del clero, sovvenzionato dallo Stato, si piega ai blasfemi dettami della propaganda nazionalistica di Viktor Orban, i monasteri - grazie alla loro indipendenza - contro tutto e tutti riescono a mentenere vivo il valore dell'accoglienza dei profughi stranieri.
 Seguire Rumiz nelle sue peregrinazioni, così, finisce per avere un effetto corroborante e salutare; anche perché la sensazione è che il bandolo della matassa di quel filo che costituisce la trama culturale dell'Europa civile venga davvero recuperato, e fornisca tutti gli argomenti razionali, emotivi, storici - addirittura mistici - "per smuovere il potere e abbattere le ruspe dell'intolleranza".

Voto : 8

lunedì 5 agosto 2019

Marion Messina, "Falsa partenza", La nave di Teseo


 Falsa partenza è un romanzo che sviluppa narrativamente il tema precarietà esistenziale: i due giovani protagonisti, Alejandro e Aurelie, infatti, vivono ciascuno a suo modo quell'esperienza di totale spaesamento professionale, politico, sociale e - di conseguenza - identitario in cui ormai da diversi anni, nel mondo occidentale, si impantanano folle di ragazzi con un livello di istruzione medio alto e con grandi aspettative nei confronti del futuro, ma privi della determinazione, della maturità e di una visione del mondo sufficientemente profonda per affrontare le difficoltà, le battute d'arresto e le brutte sorprese che la nostra disarticolata realtà può riservare.
 Alejandro è uno studente universitario colombiano di buona famiglia, trasferitosi in Francia, a Grenoble, per completare il proprio percorso formativo con quell'esperienza all'estero che non può mancare nel bagaglio di ogni rampollo della buona borghesia di un Paese sudamericano. In realtà, egli si è trovato catapultato in un contesto assai diverso da quello che si aspettava, emigrante fra emigranti, costretto a fare i conti con il poco denaro a disposizione, disgustato dalle peculiarità della propria patria e dei propri compatrioti - che vorrebbe lasciarsi definitivamente alle spalle - eppure indotto a socializzare principalmente con i suoi connazionali. 
 Privo di sogni e obiettivi chiari, in una città molto più fredda del previsto, il giovane finisce per vivere alla giornata, fra letture disordinate, serate alcoliche con gli amici, massicce dosi di pornografia e fugaci esperienze erotiche con tutte le donne che può portarsi a letto senza subire conseguenze.
 Aurelie, invece, è una ragazza di appena vent'anni di famiglia proletaria, nata a Grenoble (la prima della sua schiatta ad aver centrato brillantemente il traguardo della maturità e a essersi iscritta all'Università), che per tutta la sua adolescenza si è illusa di potersi elevare al di sopra della condizione dei suoi genitori semplicemente con le sue doti e con il duro lavoro, ma che ora si rende conto - sulla scorta dei titoli di studio generici ottenuti in una scuola di provincia e di una preparazione più che buona, ma difficilmente spendibile nel mondo del lavoro e non sufficiente a garantirle il successo negli atenei più prestigiosi - di non avere grandi prospettive, di non poter ambire davvero a niente di importante, e di faticare persino a ottenere le modeste sicurezze sulle quali hanno sempre potuto contare i suoi genitori.
 Desolati e scoraggiati, i due giovani - conosciutisi durante i turni di lavoro part time presso la stessa azienda di pulizie - potrebbero forse trarre nuovo slancio dall'attrazione e dal sentimento amoroso (acerbo, ma appassionato, tenero e non banale) che nasce fra loro; eppure, soprattutto per via dell'ignavia e dell'appannamento di Alejandro, quando entrambi decidono di prendere la via di Parigi per tentare la fortuna, il loro legame si scioglie.   

 Marion Messina

 Il fatto è che per tutti e due, a Parigi, le stesse difficoltà incontrate a Grenoble si ripresenteranno ingigantite e divenute ancora più amare e scoraggianti. 
 Aurelie - entrata in una fase di stallo con i suoi studi - si troverà impigliata nel ruolo di "addetta all'accoglienza" presso un'agenzia al servizio di diverse istituzioni pubbliche e private: un mestiere che consiste semplicemente nel sorridere e nell'apparire in qualche modo indaffarata, un lavoro malpagato e umiliante (nonostante le qualifiche assurdamente alte richieste per poterlo svolgere) per chi ha studiato al fine di poter fare qualcosa di meno meccanico ed elementare.
 Alejandro dal canto suo, continuerà a trascinare un'esistenza abbastanza scioperata fra le bevute con gli amici, il sesso occasionale e corsi universitari più o meno inconcludenti.
 Per caso, a un certo punto, i due ragazzi si ritroveranno: Aurelie, ora davvero innamorata di Alejandro, proverà a costruire insieme a lui una relazione solida e duratura; ma il progetto fallirà miseramente.
 Nella maniera più dolorosa, Aurelie prenderà atto del fallimento proprio nel momento in cui si scoprirà incinta del fidanzato; la scelta di abortire - compiuta a malincuore - sancirà la chiusura di una fase della sua vita piena solo di speranze deluse, e archiviabile in via definitiva sotto l'etichetta "false partenze".
 Gli argomenti trattati non sono nuovi, anche se il libro è ben scritto e la narrazione è senz'altro coinvolgente, grazie soprattutto alla gestione "a elastico" del punto di vista, che con continui rilanci passa senza preavviso dall'uno all'altro dei due protagonisti, ciascuno dei quali lo detiene per lunghi tratti (anche se infine a diventare preponderante è la prospettiva di Aurelie).
 A me, però, sulla sostanza del testo e sulla tesi che ne emerge (quella per cui il sistema socio-economico in cui viviamo è in tutto e per tutto deprecabile, in quanto incompatibile con uno sviluppo armonico delle potenzialità insite in ciascun individuo) resta più di un dubbio.
 Che il nostro non sia il migliore degli assetti economici possibili è senz'altro vero; ma lamentazioni, denunce o contestazioni che fanno discendere da esso, in astratto, ogni male partono da un presupposto sbagliato perché prescindono dal fatto che, troppe volte, gli esponenti delle ultime generazioni (e ci metto anche la mia, per quanto cominci a essere piuttosto stagionata) hanno guardato alla vita e al proprio futuro con una superficialità e una mancanza di fantasia disarmanti, adottando pedissequamente la prospettiva, i paradigmi, l'intero sistema di valori dei propri genitori, senza l'elasticità, la consapevolezza e la voglia di fare sacrifici delle generazioni precedenti.
 Di fatto, molti giovani pretendono di percorrere comodamente una strada già spianata anziché sforzarsi di tracciare il proprio sentiero.
 Nella fluidità degli equilibri di un panorama dominato dall'economia di mercato, ma non privo di tensioni dialettiche che possono determinare gradi diversi di regolazione dei meccanismi di produzione e di distribuzione, l'incapacità di mettersi in gioco - rischiando in prima persona - per migliorare la propria vita e quella degli altri è sintomo di mancanza di coraggio, dell'assenza di una acuta visione del mondo e anche della scarsità di quello spirito gregario che è indispensabile per qualsiasi seria azione politica e per ogni valida iniziativa sociale.
 Ma la logica del racconto elude tutti questi problemi, preferendo adagiarsi nel solco delle doglianze tipiche della vulgata ormai incorporate dal senso comune.

Voto: 6 -