domenica 29 settembre 2019

Cees Nooteboom, "L'occhio del monaco", Einaudi


 Sebbene in apparenza le 33 poesie di cui è composta questa raccolta, nella loro perfetta struttura metrica, siano costruite su immagini, sensazioni, ricordi e proiezioni oniriche, l'ispirazione da cui nasce l'ultimo libro di uno dei più grandi scrittori olandesi va oltre l'osservazione, va oltre la percezione, va oltre la biografia, va oltre il sogno: è pura teoresi.
 Il pensiero fondamentale da cui si genera il movimento lirico è questo: la realtà intorno a noi è assai più ricca di quanto ci possa sembrare, ma noi non possediamo gli strumenti né per coglierla in tutte le sue sfumature, né per interpretarne correttamente i particolari che, se non riusciamo davvero a mettere a fuoco, possiamo almeno intuire (esemplari versi come questi: "La cornacchia, sopra le betulle, gli chiese chi era, / ma lui non seppe rispondere"; "Imparo i segni / a memoria, e li trascrivo // nella sabbia"; "La scala è sulla / bilancia, non sul mondo, la domanda / si moltiplica. Ognuno è se stesso / prima di pensare").
 Però, a rompere l'incanto che deriva dalla convinzione di essere immersi in un universo sì sfuggente, ma immenso e fatato - laddove cose, animali, uomini, viventi e non più viventi condividono un medesimo piano esistenziale - interviene il dubbio che tutta complessità che abbiamo di fronte non abbia una logica ("C'è in questo miraggio un senso, / una logica? O sono parole / che si nutrono della lingua come movimento, / parlando a se stesse?"), o che l'incombere su ogni cosa della morte renda vana qualsiasi indagine o speculazione ("Non rispondere è sempre una risposta, / la carpa diventa poi una balena, / il piccolo diventa grande / e accudisce il piccolo // finché morte non sopravviene").
 Nonostante questo pare che l'uomo in generale e il poeta in particolare non possano fare a meno di immaginare ("cento metri più avanti / ha inizio il limite del mondo, attenzione, sognatore // cadrai giù come un sasso") e di sentire poeticamente il mondo ("senti il ritmo / dei tuoi passi, la poesia del dubbio / se esista la coscienza, e quando poi // semplicemente muoia" ; "linguaggio come tela di ragno / ma intessuta col ferro"), trovando infine il modo, bene o male, di entrare in armonia con esso ("un verso giunge a noi da un nulla / che vuole altro, ma cosa? / Domandalo e lo otterrai, qualsiasi cosa tu voglia.").

Cees Nooteboom

 Alla luce di una simile constatazione, problemi come l'anima, o la salvaguardia dell'identità individuale diventano irrilevanti: noi siamo, e tanto basta ("Nessuno ci ha inventato, eravamo nella polvere / già nel primo istante"). Così, partendo da questo presupposto, ogni poesia diventa possibile - quella puramente contemplativa, quella filosoficamente ragionativa, quella più cupamente pessimistica -, ciascuna legittimata dal'onestà dell'approccio conoscitivo adottato.
 Il più bello dei componimenti della raccolta? Per me, questo:

Sul sentiero tra le dune ho incontrato mia madre, 
lei però non mi ha visto. Parlava con un'altra 
signora e ho sentito che diceva: tutti
qui mi trovano simpatica.

Sapevo che era vera per il rumore
delle conchiglie sbriciolate sotto i suoi piedi.
Poi ho visto anche mio fratello e il mio fratellastro
in cammino con il mio stesso passato,

caos e inquietudine. Il Mare del Nord schiumava selvaggio,
la spiaggia era deserta. I miei fratelli erano trasparenti.
Attraverso di loro vedevo il sentiero. Vorrei trovare ora un tesoro,
un dente di narvalo portato a riva, o dell'oro,

e tutto tornerebbe a posto.

Voto: 7

  

domenica 22 settembre 2019

Luigi Guarnieri, "Forsennatamente Mr. Foscolo", La nave di Teseo


  Il libro è una originale biografia romanzata di uno dei nostri classici dell'Ottocento ultimamente meno letti e considerati, nonostante quella riconosciuta certificazione di valore costituita dal posto abitualmente occupato nel canone degli autori letterari che fanno parte dei programmi scolastici: Ugo Foscolo.
 Di Foscolo, in particolare, si ricostruisce l'ultima parte della vita, quella corrispondente agli undici anni - dal 1816 al 1827 - di esilio volontario a Londra, non senza puntuali incursioni nei periodi precedenti: quello dell'infanzia e della prima giovinezza a Zante; quello del trasferimento a Venezia, degli esordi letterari, dell'ingresso nei salotti aristocratici più in vista e degli amori tempestosi con alcune delle nobildonne più belle, brillanti e "convenientemente puttane" del bel mondo di fine Settecento; quello della tormentata redazione dell'Ortis, che a Foscolo diede fama e successo, ma non denaro; quello della stesura delle Odi e dei Sonetti, che consolidarono la sua notorietà; quello del servizio militare nella Grande Armata napoleonica; quello della composizione dei Sepolcri, suo capolavoro; quello dei contrasti prima con il regime di Napoleone (che gli costarono la cattedra di Eloquenza all'Università di Pavia), poi - dopo la sconfitta di Bonaparte a Lipsia e l'inizio della Restaurazione - con gli austriaci, che lo costrinsero a espatriare in Svizzera e più tardi addirittura oltremanica.
 In Inghilterra Foscolo venne accolto come una delle personalità più notevoli del proprio tempo, e gli furono aperte le porte delle case gentilizie più prestigiose; e tuttavia, la tendenza a vivere costantemente al di sopra delle proprie possibilità, l'esagerata considerazione di sé, la pretesa di guadagnare con la letteratura sfruttando un circuito editoriale del quale non solo non conosceva bene i meccanismi, ma non padroneggiava nemmeno alla perfezione la lingua d'elezione, e - infine - il temperamento tutt'altro che accomodante gli alienarono le simpatie di molti, lo isolarono sempre più, e lo sprofondarono in difficoltà economiche a tratti perfino drammatiche.

Luigi Guarnieri

 Costretto a cambiare spesso residenza e a nascondersi sotto falso nome per sfuggire ai creditori (che, a un certo punto, riuscirono anche a farlo incarcerare), tormentato dalle liti perpetue con i suoi editori, i suoi traduttori, i suoi finanziatori, restio a digerire il fatto che l'editoria è un'industria - e alle leggi della produzione industriale si deve piegare se vuole sopravvivere alle difficoltà del moderno mercato librario -, incapace di riconoscere i suoi lettori potenziali e di scrivere in maniera specifica per loro, fiaccato da una salute sempre più cagionevole, inviso a causa delle sue intemperanze anche a parecchi suoi connazionali (nonostante la gloria passata e la persistente notorietà), Ugo Foscolo condurrà a Londra e nei suoi sobborghi un'esistenza assai precaria e spesso oscura, allietata soltanto dalla presenza accanto a sé di Miss Floriana, la sua misteriosa figlia naturale destinata, dopo il decesso del poeta, a spegnersi a sua volta giovane, probabilmente di tisi. 
 Se al momento della morte la sua stella risultava vagamente appannata, Foscolo vedrà la propria popolarità crescere nuovamente nei decenni successivi alla scomparsa in virtù soprattutto della sua capacità di rappresentare lo "spirito italiano" in un'epoca, quale quella risorgimentale, affamata di glorie letterarie nazionali. 
 Così, nonostante la biografia a lui dedicata da Giuseppe Pecchio non gli rendesse certo onore (e anzi lo calunniasse in più punti), e nonostante un altro esule celebre, Giuseppe Mazzini, avesse disatteso il proposito - manifestato a più riprese a Quirina Mocenni Magiotti, la "donna gentile" con cui Silvio Pellico intrattenne una assidua corrispondenza, e che fu la più affezionata a Ugo tra le numerose nobildonne che Foscolo amò - di occuparsi in prima persona della ricostruzione dell'avventura umana del poeta, l'autore di A Zacinto entrò di diritto, in nome della vita e della letteratura, nel Pantheon degli indomiti eroi della nuova Italia. 
 Qualche anno dopo l'Unità, nel 1871, le sue spoglie mortali saranno finalmente trasferite dal piccolo cimitero di Chiswick, in cui erano state inizialmente tumulate, alla basilica di Santa Croce a Firenze.
 Il libro è pieno di curiosità e per molti versi anche godibile, ma non mi convince fino in fondo. Il tono che Guarnieri utilizza - certo per evitare i rischi, sempre in agguato per i biografi, dell'agiografia e della pedanteria - vuole essere palesemente leggero, magari anche scanzonato, ma finisce per essere invece inutilmente, forzatamente dissacrante. 
 Diciamo che il narratore applica alla trattazione del personaggio letterario di cui parla gli stessi criteri che un sito come - poniamo - Dagospia applica alla trattazione della politica: tutto tende ad essere messo in ridicolo o ridotto a pettegolezzo, quasi si avesse timore di essere presi per degli sprovveduti o dei bacchettoni nel momento in cui si discutesse di qualcosa con un minimo di serietà. 
 Questo gioco, protratto oltremisura e portato alle sue estreme conseguenze (per cui nulla sembra degno di essere sottratto al registro farsesco), oltre a risultare alla fine un po' stucchevole, induce il lettore a ricavare l'impressione che l'autore non creda davvero fino in fondo in quello che sta facendo.

Voto: 5,5 

domenica 15 settembre 2019

Giorgio Bassani, "Il giardino dei Finzi-Contini", Feltrinelli


 In occasione dell'ottantesimo anniversario dell'inizio della Seconda guerra mondiale, ho deciso di riprendere in mano Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, uno dei testi che meglio riescono a rappresentare la traumatica cesura storica che segnò lo scoppio del conflitto, e a mostrare la sostanza criminale - insieme tragica e ridicola - dei fascismi europei che prepararono e innescarono quella sconvolgente catena di eventi bellici.
 A parlare qui del libro mi spinge anche il fatto che oggi, nelle scuole, questo classico del Novecento pare sia molto poco frequentato; non so se per via dell'eccessiva rigidità di tanti insegnanti nell'interpretazione di programmi comunque assai cospicui, se per l'imbarazzante ignoranza riguardo a buona parte della letteratura - italiana e non italiana - degli ultimi 150 anni che affligge molti di coloro che hanno alle spalle una formazione umanistica, o se per il peso che tuttora conserva il giudizio ottuso e sprezzante sull'autore del Giardino di alcuni esponenti della neoavanguardia del Gruppo 63 (per i quali, lo ricordiamo, Bassani e Cassola erano "le Liale degli anni sessanta").
 Eppure il testo, oltre a essere stilisticamente finissimo e letterariamente assai gustoso, appare molto moderno, leggibile, capace di appassionare senza fatica anche un giovane lettore contemporaneo, con personaggi accuratamente cesellati e perfettamente credibili, un tono che sa tenersi ugualmente lontano dalle paludi del patetismo e dalle secche della tetraggine - nonostante la "serietà" degli argomenti trattati -, e uno sviluppo narrativo equilibrato e studiato per coinvolgere tanto dal punto di vista emotivo quanto dal punto di vista intellettuale.
 Ricordo che, quando lessi il libro per la prima volta molti anni fa, lo trovai memorabile perché riusciva a declinare con estrema efficacia il concetto di ineluttabilità del destino, spogliandolo di ogni vaghezza romantica e trasformandolo nell'esemplificazione dell'impotenza dell'uomo di fronte all'inesorabile ferocia dei meccanismi storici determinati insieme dalla politica, dalla società e dal caso. 
 Rileggendolo ora, resto ammirato di fronte alla dolcezza di certe descrizioni, all'eccezionale sottigliezza di alcuni dialoghi, alla capacità di Bassani di saldare il piano diegetico e quello simbolico, di narrare e di alludere insieme, di esaminare la Storia (con la S maiuscola) parlando di amore e di amicizia. Il giardino dei Finzi-Contini è uno di quei rari romanzi che spesso chi si occupa di letteratura finisce per apprezzare al punto tale da rammaricarsi di non avere scritto nulla di simile. 

Giorgio Bassani

 Fra i passi che preferisco voglio qui metterne a fuoco tre: il primo, quasi all'inizio del romanzo, è il racconto - condotto dal protagonista narratore, che però riporta le parole e i giudizi del padre - dell'acquisto del "Barchetto del Duca" e dell'edificazione della "Magna Domus" e dell'orrenda tomba di famiglia da parte del patriarca Moisè Finzi-Contini (detto al gatt): la perfetta costruzione del mito familiare.
 Il secondo è il lungo resoconto dei dialoghi telefonici tra il protagonista e Micol Finzi-Contini, intrisi di dolcezza e di una dissimulata malinconia per ciò che - già si intuisce - fra loro avrebbe potuto essere e non è stato: la costruzione del mito dell'amore mancato, spesso, nel ricordo, più forte di un amore vissuto.
 Il terzo è il lungo brano in cui vengono descritte le uscite serali e i discorsi del protagonista e di "Giampi" Malnate, il giovane chimico milanese, amico di Alberto Finzi-Contini, che con lui frequenta il giardino, e che forse è diventato l'amante segreto di Micol; il ragazzo che con la sua incrollabile fede politica crede in un futuro "lombardo e socialista", ma che è destinato a soccombere nelle steppe russe al seguito della spedizione italiana del 1941: la costruzione del mito di un'amicizia chimerica.
 E del mito, della storia appartenente a un passato irrecuperabile eppure imbevuta dell'essenza dell'eternità ha il sapore l'intero romanzo, che, come tutti i capolavori, riesce sempre, ogni volta che ci si sprofonda in esso, a insegnare qualcosa di nuovo, a regalare qualcosa di prezioso.

Voto: 9

domenica 8 settembre 2019

Cristina Marconi, "Città irreale", Ponte alle Grazie


 Città irreale è la storia di una ragazza e di una metropoli. Alina, giovane romana appartenente alla media borghesia (il padre è proprietario di un negozio di abbigliamento ben avviato), nel 2008, nonostante una laurea e un posto di lavoro di buon livello presso un'agenzia di comunicazione nella sua città, decide di lasciare l'Italia e di trasferirsi a Londra.
 Alina sa benissimo che rischia di andare ad occupare una posizione inferiore a quella che ricopre a Roma, magari addirittura di finire a fare un lavoro da segretaria, ma semplicemente non ne può più dell'inerzia e della rigidità del sistema italiano: del vieto meccanismo per cui ogni passo avanti dal punto di vista professionale, sociale e persino sentimentale avviene sempre e solo - con esasperante lentezza - per anzianità o cooptazione, e mai in virtù del merito, dell'impegno, dello slancio volontaristico, dell'estro, della fiducia.
 Da questo punto di vista, Londra, con le sue aperture, il suo dinamismo, la sua multiformità, la sua disponibilità sembra davvero un altro mondo: uno vi si può anche smarrire, vi si può sentire disancorato dalla propria storia, ma riuscirà comunque a trovarvi qualche appiglio per cercare di reinventare il proprio futuro senza sentirsi imprigionato in uno schema fisso che non offre via di scampo.
 E a Londra, Alina, superate le ovvie difficoltà iniziali, riesce davvero a trovare una sua dimensione: nel lavoro ingrana con grande facilità, e scala velocemente posizioni dentro l'agenzia che l'ha assunta; presto, abbandonata la stanza che temporaneamente occupa a casa di Ilaria - una vecchia conoscente che ha messo su famiglia nella capitale britannica -, prende in affitto un grazioso appartamento bianco come una bomboniera insieme a Katie, la sorella-avvocato della sua collega Sally; e, frequentando gli amici inglesi di Katie, incontra Iain, un giovane medico serio e generoso, che conosce e ama l'Italia, e che presto diventa il suo fidanzato.
 Nella nuova vita della ragazza italiana, i fattori predominanti sono il desiderio di una continua evoluzione, la proiezione verso un futuro ancora indeterminato, l'assenza di pastoie e di impegni troppo vincolanti. Così, quando Iain, in procinto di trasferirsi a Bristol nel cui ospedale è stato richiamato, chiede alla fidanzata di sposarlo e di seguirlo nella provincia inglese, Alina - pur innamorata - preferisce rinunciare a lui e, inevitabilmente, al gruppo di amici che gli sono legati piuttosto che lasciare Londra e il vasto spazio di infinite possibilità che il suo territorio urbano ai suoi occhi configura.
 Dal momento del distacco da Iain, però, la continua crescita professionale della protagonista non viene accompagnata da una analoga maturazione dal punto di vista emotivo: le sue nuove frequentazioni sono imperniate su un gruppo di espatriati italiani la cui anarchia post-studentesca e la cui consapevole e compiaciuta ricerca della provvisorietà permettono ad Alina di specchiarsi nelle sue paure e nella sua indeterminatezza; le brevi storie erotico-sentimentali che punteggiano il suo nubilato sono sempre all'insegna di un disimpegno talvolta divertente, ma talaltra francamente stucchevole; il fascino che Londra e i suoi ambienti continuano a esercitare su di lei trova un limite evidente nella convenzionale patina di piacevolezza internazionale che, in molti quartieri, ha insensibilmente ricoperto le tracce residue della storia della città.

Cristina Marconi

 E così, l'inattesa e improvvisa perdita del lavoro che, a seguito di una ristrutturazione dell'organigramma della sua azienda, Alina deve affrontare costringe la ragazza a fare i conti con ciò che in precedenza ella tendeva a eludere: il fatto che non ha mai dimenticato Iain (rispetto al quale si sente in colpa anche per non aver saputo approfondire il buco nero che grava sul passato del giovane, vale a dire il suicidio della sua storica fidanzata Vicky), il fatto di sentire un nuovo bisogno di stabilità, il fatto di cominciare ad accorgersi dei limiti che comporta il modello di sviluppo urbano e sociale scelto da Londra (che pure ella continua ad amare alla follia).
 La riconciliazione voluta, cercata, conquistata con Iain - infine disposto a chiedere il trasferimento dall'ospedale di Bristol a un nosocomio londinese - regalerà infine ad Alina una nuova vita e un nuovo equilibrio, coronato dalla gravidanza e dalla nascita di Emma, oltre che da una diversa visione del mondo, che la porterà addirittura a mettere in discussione, proprio alla vigilia del voto britannico a favore della Brexit, la bontà della scelta di trasformare Londra nella città multietnica per eccellenza, culturalmente senza confini e aperta a tutti per vocazione; pena, però, la perdita della sua anima tradizionale.
 Il libro è tutto giocato sull'intreccio di due linee narrative: ci sono capitoli di impostazione diaristica, in cui è la stessa Alina a raccontare di sé, a riflettere, a rivelarci i suoi pensieri e a dichiarare le sue opinioni; e poi ci sono capitoli in cui un narratore esterno ci racconta in terza persona le vicende di Iain, di Vicky e del loro amico Macca.
 La prima linea narrativa è senz'altro quella predominante (se non altro per lo spazio che occupa all'interno del romanzo), mentre la seconda, segnata da un distacco temporale rispetto all'altra che si va progressivamente assottigliando con lo sviluppo del testo (configurandosi di fatto in una serie di flashback diversamente dislocati dal punto di vista cronologico) ha una funzione soprattutto strumentale, e pare anche un po' più anonima dal punto di vista stilistico.
 Per la verità le due linee narrative non si sposano benissimo: nel lettore persiste una sensazione di sfasamento, come se qualcosa nell'architettura diegetica del romanzo non fosse pienamente risolto.
 Allo stesso modo, non del tutto compiuta mi sembra la riflessione che, attraverso il punto di vista di Alina, viene svolta su Londra, sulla sua immagine, sul suo ruolo nell'Europa contemporanea.
 Mi spiego: Alina seguendo un'ispirazione che risale addirittura all'infanzia, quando ormai si avvicina ai trent'anni, decide di lasciare l'Italia e Roma, e di trasferirsi a Londra alla ricerca di più tolleranza, di maggiore elasticità e apertura mentale, di più possibilità di scelta, di maggiore attenzione alle aspirazioni dell'individuo e alla sua libertà. La sua adesione a tutto ciò che Londra incarna è tale da sacrificare ad essa ogni cosa, a un certo punto anche i sentimenti che ella nutre nei confronti di Iain.
 Poi, quando ritrova Iain e si rende conto di quanto sia stata dolorosa la loro separazione, la ragazza pare rinnegare la propria scelta e, nel precipitare verso un lieto fine coerente con lo sviluppo narrativo ma lievemente melenso, arriva a riconoscere la legittimità delle opinioni di Macca e di sua moglie Lucy, che dichiarano di essere intenzionati a votare affinché il Regno Unito abbandoni l'Unione Europea proprio in virtù dell'eccessiva "apertura" alla quale Londra avrebbe sacrificato la sua specificità britannica.
 In sostanza, è come se la protagonista scivolasse frettolosamente da un'analisi "ragionata" della realtà che tanta parte ha avuto nel determinare l'assetto che ha assunto nel tempo la sua esistenza, a una considerazione superficialmente emotiva - basata su osservazioni estemporanee - dell'ambiente a cui ormai appartiene e che per tanti versi dovrebbe sentire indissolubilmente legato al suo essere; il tutto senza che a questo slittamento venga dedicato un approfondimento vero.
 Il lettore, in verità, ne resta un poco sconcertato.

Voto: 6 -