domenica 26 gennaio 2020

Denis Johnson, "La generosità della sirena", Einaudi


 Spesso - forse condizionati da una specie di sudditanza psicologica nei confronti della popolarità della vulgata culturale neoavanguardistica - tendiamo a considerare originali o capaci di squarciare il velo del conformismo solo quelle forme di espressione letteraria che hanno come loro principale caratteristica un'ostentata volontà di provocare. 
 Denis Johnson è uno di quegli autori che riescono puntualmente a smentire questo luogo comune: nelle sue opere narrative si esplora senza esibizionismi la stranezza che alberga intorno a noi e dentro di noi, praticamente invisibile a uno sguardo convenzionale, ma capace talvolta di racchiudere il carattere peculiare e profondo e il segno autentico di una personalità, di informare di sé il modo di essere di un uomo, o di dare sapore a un'intera esistenza.
 Questo avviene anche ne La generosità della sirena (The Largesse of the Sea Maiden), la raccolta di cinque racconti che costituisce la fatica estrema dello scrittore americano, morto nel 2017 prima che il libro vedesse la luce. I protagonisti dei cinque racconti, pur nella loro patente diversità, sono accomunati dalla propensione a considerare senza pregiudizi le situazioni - inconsuete e talora assai bizzarre - con le quali si trovano ad avere a che fare, e a trarre dalla loro osservazione o dalla riflessione su di esse le debite conseguenze: un insegnamento o, addirittura, una rivelazione.
 Il primo racconto, l'eponimo La generosità della sirena, consta di una narrazione a episodi in cui il protagonista - un pubblicitario ideatore di uno degli spot televisivi di maggiore successo degli anni ottanta, ma in seguito incapace di ritrovare la straordinaria efficacia con cui allora era riuscito a promuovere una banca parlando d'altro - vive una serie di singolari esperienze di spaesamento (da una telefonata con una delle sue due ex mogli, che gli annuncia di essere in fin di vita, bruscamente interrotta senza che egli abbia avuto modo di stabilire inequivocabilmente di quale delle sue vecchie consorti si tratti, alla spiazzante amicizia con un solitario pittore primitivista incontrato per caso in un museo), fino a una magica passeggiata newyorkese, nelle strade deserte e imbiancate della metropoli bloccata da una nevicata, che lo conduce dentro un caffè che sembra fuori dal tempo, e in cui si respira un'atmosfera degna di una canzone di Paolo Conte ("Davanti al piano, un grande sax tenore poggiava ritto sul supporto. Senza nessuno che lo suonasse, sembrava un altro dei personaggi del bar: il pianista invisibile, il vecchio barista disincantato, la biondona fascinosa, il solitario sax naufragato... E l'uomo arrivato dalla neve [...]. La scena aveva un'atmosfera lunare, in bianco e nero. Seduta al tavolo a tre metri da me, la bionda aspettava, con le spalle dritte e la testa eretta").
 Il secondo racconto, Lo Starlight sulla Idaho, è costruito sul delirio di un alcolizzato che, ricoverato in un centro di recupero contro le dipendenze - situato dove una volta sorgeva un motel frequentato dalle prostitute e dai loro clienti -, comincia a scrivere lettere apparentemente assurde a persone vicine e lontane: la sorella, la madre, l'ex bambina di cui era innamorato alle elementari, papa Giovanni Paolo II... Da questa follia viene fuori la straordinaria figura di un sopravvissuto, più vicino di chiunque altro alla lucida constatazione della spietatezza della vita umana e dell'aridità di fondo delle umane relazioni.
 Il terzo racconto, Bob lo strangolatore, nasce dalla rievocazione di una profezia formulata al protagonista, molti anni prima, da un suo compagno di cella nel padiglione di un carcere di provincia, secondo la quale l'uomo sarebbe suo malgrado diventato un assassino; profezia realizzatasi in un presente in cui l'ex galeotto, sieropositivo e alcolizzato, scopre di avere inconsapevolmente infettato una grande quantità di persone vendendo il proprio sangue per comprarsi del vino.

Denis Johnson

 Sono gli ultimi due racconti, però, ad essere degli autentici capolavori. Trionfo sulla morte è intriso di un lirismo straordinario, ed esemplifica con una pacatezza e una serenità quasi surreali la fine che attende tutti noi attraverso la storia della morte di due scrittori, accompagnati all'estremo passo da chi era loro più vicino. L'accudimento, presentato implicitamente come la più alta espressione dell'amore, diventa un modo di dare un senso al nostro destino comune, di non arrendersi passivamente all'ineluttabile, di esaltare e di continuare a far vivere il ricordo dei momenti migliori passati con chi sta per andarsene (memorabile la figura di Liz, la donna malata di Alzheimer che non ricorda più nulla e nessuno - tanto da accogliere il suo attuale marito con un allegro "ciao sconosciuto!" tutte le volte che egli le si para davanti - tranne il suo ex marito Link, al cui letto si accosta per un ultimo saluto prima della morte di lui). Curiosa è poi la conclusione del racconto, che sembra prefigurare la morte dell'autore, effettivamente avvenuta di lì a poco: "Per voi è ovvio che, mentre scrivo queste parole, non sono morto. Ma forse lo sarò quando le leggerete".
 Doppelganger, poltergeist, invece, è la strana storia dello sviluppo del rapporto fra il narratore e un suo vecchio allievo a un laboratorio di poesia tenuto alla Columbia University nel 1984. L'allievo, Marcus Ahearn, allora giovane di belle speranze e in seguito poeta affermato e accademico a sua volta, si trascina dietro lungo i decenni un'ossessione superstiziosa nei confronti di Elvis Presley, del quale cerca addirittura di trafugare il cadavere, convinto che il vero Elvis sia stato in realtà assassinato già nel 1958 e sostituito con il suo gemello Jesse Garon Presley, dichiarato morto subito dopo la nascita, ma forse - nella fantasia malata di Marcus - rapito e poi cresciuto dall'ostetrica che l'aveva aiutato a venire al mondo, per prendere in seguito proditoriamente il posto del fratello, su macchinazione del "colonnello" Tom Parker, manager di Elvis, al quale avrebbe voluto imporre una svolta commerciale che il suo pupillo non gradiva. 
 Nello svolgersi del racconto, si scopre poi che quella di Ahearn è addirittura un'ossessione al quadrato: anch'egli aveva un fratello, Lance, tragicamente morto nel fiore degli anni, e a sua volta, come Elvis, "gemello solitario": un ragazzo brillante, divertente, inarrestabile, mai abbastanza rimpianto. Il fatto interessante è che per Marcus, come Elvis è stato segretamente sostituito dal suo bolso gemello Jesse, suo fratello Lance è stato in qualche modo indegnamente rimpiazzato dal narratore stesso, come se egli fosse una reincarnazione del gemello nato morto di Lance medesimo.  L'assurda storia lascia sospeso per ciascuno di noi un interrogativo: e se tutti fossimo - platonicamente - doppioni deboli e sfibrati di fratelli che avrebbero saputo vivere la vita con ben altro piglio del nostro? La vertigine esistenziale che deriva da questo interrogativo è assoluta.
 Il libro presenta a mio parere alcune delle pagine più belle scritte da Denis Johnson: passi di un livello letterario tale da rendere ancora più dolorosa la prematura scomparsa dello scrittore.
 In conclusione, vale la pena di sottolineare la felice scelta dell'editore di concedere alla brava traduttrice di Johnson, Silvia Pareschi, la dignità della presentazione nel risvolto di copertina. Una cura a cui si dovrebbe pensare più spesso, visto il buon livello medio delle traduzioni che arrivano nelle librerie italiane.

Voto: 7,5 

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