domenica 19 gennaio 2020

Giani Stuparich, "L'isola", Quodlibet


 Questo romanzo breve di uno degli esponenti letterari di punta della stagione più felice della cultura triestina fu pubblicato per la prima volta nel 1942, e viene riproposto ora da Quodlibet (in un volume che include anche il racconto Il ritorno del padre) nell'ambito di un progetto di riscoperta delle opere migliori di Stuparich.
 L'isola è un testo di eccezionale nitore: lo scenario in cui la storia raccontata si svolge, l'asciuttezza del dettato, la chiarezza con cui vengono disegnati i personaggi rimandano a misure classiche, mentre le inquietudini di cui la vicenda è tramata, i sottintesi psicanalitici, l'articolazione narrativa e il gioco dei punti di vista sono inequivocabilmente novecenteschi.
 Il libro parla di un giovane uomo che interrompe le vacanze fra le amate montagne per rispondere all'invito del padre, che gli ha chiesto di accompagnarlo durante il viaggio e il breve soggiorno presso la piccola isola lungo la costa dalmata in cui è nato. Il viaggio ha il sapore di un congedo: al padre - un capitano di lungo corso, che ha passato la vita solcando i mari di tutto il mondo - è stato infatti diagnosticato un cancro all'esofago in fase ormai avanzata.
 Così, per il figlio, la traversata in motonave del braccio di mare che separa Trieste dall'isola (in cui i biografi di Stuparich riconoscono Lussino) e la settimana passata in Dalmazia sono caratterizzate dall'alternanza di angoscia e speranza, in un corpo a corpo con l'immagine ideale del padre come incorruttibile modello di autorevolezza maschile, punto di riferimento etico ancora necessario; fino al maturare della consapevolezza che la morte del genitore è prossima, che nulla può invertire la freccia del tempo e che quel passaggio porterà con sé una perdita irreparabile.
 Tutte le tappe del viaggio e del soggiorno costituiscono una ricapitolazione lirica e simbolica del rapporto tra padre e figlio nella sua evoluzione nel tempo: il viaggio, innanzitutto, ne richiama alla memoria un altro, compiuto molti anni prima - quando il figlio aveva 10 anni -, che aveva segnato per il ragazzo il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, con l'acquisizione di una nuova sicurezza e consapevolezza di sé; inoltre, i luoghi visitati e le persone incontrate nei pochi giorni di permanenza sull'isola permettono al giovane uomo di richiamare alla mente e di rendersi conto di quali sono le radici di suo padre, le ragioni profonde della sua scelta di prendere il mare, le esperienze che hanno forgiato il suo carattere, il valore dei suoi insegnamenti.

Giani Stuparich

 Il rilievo emblematico assunto da molti episodi è poi evidentissimo: il primo bagno del figlio nel mare tempestoso della parte più deserta dell'isola rappresenta la condivisione con il padre della capacità di affrontare a viso aperto la vita e le sue avversità: la lezione appresa dal genitore, che è stata il viatico più importante ricevuto nel cammino verso l'età adulta. Il secondo bagno, compiuto invece nella verde baia affollata dai villeggianti, a cui il padre ormai infermo quasi costringe il figlio riluttante, simboleggia con chiarezza il distacco: la necessità di andare avanti, facendosi carico di ciò che il genitore non può più fare. In un caso e nell'altro l'acqua del mare assume una funzione quasi lustrale nel suo rimandare tanto all'elemento amniotico originario quanto al richiamo del vasto mondo a cui il padre ha saputo dare ascolto e in cui tocca ora al figlio avventurarsi da solo.
 L'aspetto dominante dello sviluppo narrativo del libro è però senz'altro il crescere progressivo dello sbigottimento del figlio di fronte alla prospettiva della separazione definitiva dal padre: il contrasto tra la luce abbagliante del sole e la "visione spettrale" della morte - che appare al figlio mentre scorge i segni del declino del padre, durante la loro gita nella baia verdeggiante affollata di bagnanti - ne è il compendio, ed è descritto in pagine di rara efficacia. 
 L'isola stessa - che a sua volta assomma su di sé una serie di caratteristiche dal chiaro rilievo simbolico - diventa la traduzione letteraria dell'esclusività del rapporto tra padre e figlio, a cui la morte è destinata a mettere fine e, insieme, dell'impossibilità di sfuggire al dolore cui il previsto esito infausto della malattia costringe l'uomo a fare fronte: quando i due personaggi principali abbandonano il porto per fare ritorno a Trieste, e sottoporre il padre a un ricovero ormai inevitabile, si vede l'isola rimpicciolire e poi svanire "nel vasto bagliore del mare"; ed è a questo punto che il narratore così commenta la scena osservata con gli occhi del figlio: "Fu quello il primo momento ch'egli ebbe precisa e semplice la coscienza di che cosa perdeva perdendo suo padre". 
 Del resto, non è questo l'unico passo in cui la lettera del testo riesce così incisiva; anzi, il controllo della scrittura esibito dall'autore nel libro è assoluto. Le descrizioni del padre nel suo tentativo di resistere alla malattia e poi nel suo costernato piegarsi ad essa sono semplicemente esemplari; gli scorci del paesaggio marino che dominano talune scene sono memorabili, prese in sé e per sé e nel loro problematico dialogare con lo stato d'animo dei personaggi. Il livello di integrazione che si raggiunge fra stile e contenuto, piano letterale e piano simbolico, ciò che viene esplicitato verbalmente e ciò che viene solo suggerito, per lunghi tratti, è elevatissimo. 
 Non è un caso, insomma, che critici autorevoli abbiano - forse iperbolicamente - considerato nel suo insieme il testo de L'isola addirittura fra le 100 pagine più belle espresse dalla letteratura italiana nell'ultimo secolo.

Voto: 7,5   

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