domenica 2 febbraio 2020

John M.Hull, "Il dono oscuro", Adelphi


 Il dono oscuro è una traduzione libera, e forse arbitrariamente romantica, del titolo originale del libro di John M.Hull, Notes on Blindness. 
 Il testo, in sé e per sé, si presenta come un "diario della cecità", tenuto dall'autore fra il 1983 e il 1986, quando la perdita della vista - avvenuta per Hull a 45 anni di età, nel 1980, a seguito di una lunga malattia agli occhi e di una serie di inefficaci interventi chirurgici - si era ormai palesata una condizione irreversibile. E tuttavia, per la straordinaria lucidità e precisione nella descrizione dell'esperienza quotidianamente vissuta, per la felicità della vena narrativa che lo percorre, per le riflessioni che innesca e per le questioni che pone, questo scritto va ben oltre il piano della pura testimonianza personale e diventa un viaggio oltre i confini del senso comune, problematico e affascinante in modo assai originale.
 Hull, australiano d'origine e inglese d'adozione, era professore universitario di teologia e scienze religiose a Birmingham, marito di una giovane donna e padre di due bambini (Imogen, nata nel 1973 dalla relazione con la prima moglie, e Thomas, nato nel 1980) quando la cecità gli piombò addosso; la seconda moglie Marilyn gli avrebbe dato in seguito altri tre figli. 
 Le sue osservazioni insistono via via sulle difficoltà concrete che egli incontra nella vita di tutti giorni (per esempio su come orientarsi per recarsi da solo al lavoro), sul rapporto con la moglie, con i figli e con gli amici, sulle modificazioni che subisce la sua percezione del mondo, sui sogni che lo visitano mentre dorme e sulla persistenza in essi di elementi vivacemente visivi, sull'evoluzione nel tempo della propria cecità, sul significato della propria condizione dal punto di vista pratico, affettivo, identitario, psicologico, antropologico, filosofico, religioso.
 Le sue riflessioni sono sempre acute e oneste. Da uomo attivo, Hull ci parla dei limiti della propria indipendenza, delle tecniche sviluppate per orientarsi quando si muove da solo nelle strade della propria città, dell'imbarazzo che provano alcune persone nell'avere a che fare con un cieco e della loro totale incapacità di capire quale tipo di aiuto possa servirgli e in quali circostanze: dell'incapacità, in sostanza, di mettersi nei suoi panni. 
 Da marito innamorato, si sofferma sui cambiamenti che subisce il proprio rapporto con la moglie, dal punto di vista della condivisione della quotidianità domestica, della coltivazione della complicità reciproca e della gestione della sessualità che, basandosi non più sulla vista ma sul tatto e sull'olfatto, diventa nello stesso tempo più tenera e più primitiva.
 Da padre amorevole, cerca di capire come reimpostare il proprio rapporto con i figli: si rende conto con grande rammarico di non poterne apprezzare il mutamento di aspetto durante la crescita, di non riuscire a sorvegliarli come vorrebbe, di non avere i mezzi per giocare sempre con loro come desidererebbero, e prova a inventarsi nuovi modi di interazione. Nel contempo si sforza di comprendere come essi percepiscono la sua cecità (si sorprende, ad esempio, quando il piccolo Tom gli rivela di avere capito come egli non possa "sorridere con lui", dimostrando così di cogliere alla perfezione la valenza sociale e affettiva di un sorriso) per sviluppare su questa base le virtù del suo ruolo paterno.

John M.Hull al tempo della stesura di Notes on Blindness

 Da accademico, studia e classifica le tappe successive del suo "viaggio" nella cecità e le loro implicazioni antropologiche, neurologiche ed estetiche: diventare ciechi è come addentrarsi in un tunnel senza uscita e senza ritorno; mano a mano che ci si allontana dall'ingresso, il concetto stesso della luce e della "visibilità" degli oggetti tende a sbiadire, finché è come se il tunnel curvasse, e a quel punto svanissero persino il ricordo dei volti delle persone e la memoria delle forme del paesaggio. 
 Solo nei sogni forme e colori si ripresentano in una veste particolarmente vivida. A poco a poco, il mondo del cieco si riplasma così sulla base di nuove immagini non più visive, ma uditive, olfattive e tattili. I parametri a tutti noti su cui si basa il senso comune perdono di senso, si sgretolano e lasciano il posto a criteri totalmente nuovi di definizione della realtà: per il cieco, ad esempio, una bella giornata non è una giornata di sole, bensì una giornata di vento o di pioggia, quando il mondo vibra e risuona, e l'esperienza del paesaggio si arricchisce di mille particolari altrimenti impercepibili. 
 Il risarcimento per lo smarrimento provato dal cieco verso ciò che un tempo gli era ben noto (uno smarrimento che talvolta può essere drammatico, come quello provato da John Hull durante la vacanza che lo vede tornare dopo anni di assenza nella natia Australia conosciuta solo da vedente) è infine una nuova capacità di "vedere" con tutto il proprio corpo, di entrare in contatto con il carattere fondamentale di ciò che è sensibile superando i limiti della propria disabilità.
 Da credente e da teologo, infine, Hull deve fare i conti con il senso religioso della propria cecità. Scartate le interpretazioni più rozze, retrive e oscurantiste, che vedono nella disabilità la punizione per qualche oscura colpa, l'autore rifiuta anche di accettare passivamente la propria condizione come l'esito della misteriosa volontà di Dio, o di una onnipotente e onniveggente Provvidenza. 
 Al contrario, con spirito positivamente scientifico, Hull riconosce semplicemente nella cecità la conseguenza di una serie di malanni, di trascuratezze e di errori medici che il caso ha voluto che si sommassero determinando per lui la perdita della vista: perché molto di ciò che avviene in questo mondo è determinato dal caso e non direttamente dalla volontà divina. Dio e la Provvidenza, piuttosto, sono riconoscibili in noi e nel modo in cui siamo chiamati a dare un senso alla nostra vita reagendo di fronte a ciò che la sorte ci apparecchia. 
 La conclusione è che in sé e per sé la cecità non è un dono, sebbene possa essere suggestiva l'idea di considerarla come tale; sta a noi, semmai, trasformarla in un dono, vale a dire volgerla nell'occasione di conoscere il mondo in un modo in cui altri non lo potranno mai comprendere, cogliendo alcuni dei suoi caratteri basilari.
 Il libro, oltre ad essere assai interessante per la peculiarità della sua scrittura, assume una valenza conoscitiva unica secondo la prospettiva di parecchie discipline diverse (come sottolinea Oliver Sacks nella prefazione all'edizione italiana): costituisce insomma un esempio perfetto di "realtà aumentata", capace di esporre pienamente ed efficacemente il lettore a un'esperienza altrimenti per lui inattingibile. Che, in fondo, è ciò in cui risiede il cuore pulsante stesso della letteratura.

Voto: 7   

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