venerdì 23 novembre 2018

Anthony Hecht, "Le ore dure", Donzelli


 Raramente un poeta è in grado di suscitare in me un turbamento come quello provocato dai versi di seta di Anthony Hecht.
 Sotto le ampie volute classiche del pentametro giambico sono in agguato sentimenti archetipici, che contemplano una tale varietà e vastità di stati d'animo da tollerare anche la contraddizione: dall'angoscia alla pietà, dalla paura alla malinconia, dall'ammirazione al disprezzo, dalla gioia alla disperazione, dalla volontà di riscatto al morboso compiacimento sadico.
 Il perfetto controllo della sintassi, il lessico ricercato e persino prezioso, la cesellata precisione delle immagini non fanno altro che esasperare le emozioni violente che deflagrano come un'esplosione nucleare al termine della reazione a catena innescata dall'inesorabile congegno di questi calibratissimi metri.
 Tali emozioni sono perlopiù di segno negativo, perché il sostrato filosofico della poesia di Hecht è senza dubbio intriso di pessimismo: la cultura, le convenzioni sociali, l'etica stessa appaiono come semplici maschere atte a nascondere una barbarie cieca, crudele, quasi inarginabile, che è sempre pronta a prendere il sopravvento su qualsiasi pretesa di civiltà e che, forse, costituisce la vera natura dell'essere umano.
 Una visione di questo tipo è frutto non solo dell'esperienza biografica di Anthony Hecht - che, come è noto, durante la Seconda guerra mondiale, soldato americano in Europa, ebbe modo di interrogare i reduci dai campi di sterminio, e assorbì tutto l'irriducibile orrore dei loro racconti -, ma anche della rivisitazione dell'intera storia dell'uomo e della rilettura dei rapporti tra le forze che normalmente regolano l'agire umano alla luce del buco nero delle atrocità del XX secolo.
 L'antologia pubblicata da Donzelli prende il titolo dalla più famosa e forse più bella raccolta di poesie di Hecht, The Hard Hours, che gli valse il premio Pulitzer nel 1968, ma comprende anche molti dei componimenti più significativi delle raccolte successive: Millions of Strange Shadows, The Venetian Vespers, The Transparent Man, Flight Among the Tombs e The Darkness and the Light.
 Temi ricorrenti lungo i diversi decenni che abbracciano queste raccolte sono la straordinaria capacità di fascinazione dello spettacolo del mondo ("Alberi e massi capovolti fremono lungo la sponda / in tenebra levigata. Bagliori d'argento si frangono / tra il fogliame liquido, e subito svaniscono // tutto è coperto e indiamantato di bagnato" da Still Life) e della proteiforme ambiguità dei comportamenti umani ("Credo che su quell'altezza io fossi davvero felice. / Anche se con il passare del tempo ne so sempre meno / di cosa sia la felicità, a meno che non sia / ciò che la saggezza popolare celebra come ignoranza. / Dante afferma che il peggiore dei tormenti / è ricordare la felicità una volta che è passata. / Sono troppo inebetito per sapere se ha ragione" da See Naples and Die), e l'angoscia che pervade il destino dell'uomo, ineluttabilmente votato alla violenza ("Quante volte hai pensato a quel campo, / come se in modo arcano ti spingessero a quel posto, / e ai bambini, a come furono costretti al cammino, / Yolek che era debole di polmoni, e nemmeno un giorno / oltre i conque anni, cui si impose di lasciare il pasto / e trascinarsi tra guardie armate a quella lunga casa" da The Book of Yolek).
 Negli ultimi anni, pur conservando questa impostazione di fondo, le poesie di Hecht si fanno però più raffinatamente metaforiche, meno narrativamente complesse, composte piuttosto in quadri segnati da immagini icasticamente perfette, anche se meno esplicite di un tempo. Penso ad esempio ai versi di Death the Whore, "Morte Puttana", in Volo tra le tombe ("E adesso quando ti torno in mente, la voce / che senti non è la voce di ciò che ero, / giovane e sexy e forse innamorata, / ma la voce stanca modellata nella tua mente / attempata / da un minuscolo sedimento di fatto e diceria, / una voce senza volto, una voce priva di corpo. // E quanto alla scena invernale che più su / riassumo - / il fumo, mio caro, il fumo. Io sono il fumo").  

Anthony Hecht

  Tra tutte le poesie di Hecht, la più bella, a mio parere, è Behold the Lilies of The Field (Guardate i gigli del campo), in cui un paziente, durante una seduta di psicoterapia, passa dal racconto della totale perdita di fiducia in sua madre, che durante una telefonata a un'amica ha rivelato di saper essere insincera, alla narrazione di un'altra traumatica esperienza che non è riuscito a superare: solo che questa seconda, terribile esperienza è la visione dello scuoiamento dell'imperatore romano Valeriano da parte del re barbaro che lo aveva fatto prigioniero. Il paziente si rivela così essere - con straordinario cortocircuito temporale - un legionario romano, condannato ad assistere al dissolversi dell'onore di Roma, il pilastro che sosteneva l'intera impalcatura della sua visione del mondo. Riporto qui sotto i versi più significativi di questa lunga poesia, l'originale inglese e la traduzione italiana:

Oh yes. I remember now what it was.
It was what I saw them to do the emperor.
They captured him, you know. Eagles and all.
They stripped him, and made an iron collar for his neck,
And they made a cage out of our captured spears,
And they put him inside, naked and collared,
And exposed to the view of the whole enemy camp.
and I was tied to a post and made to watch
When he was taken out and flogged by one of their generals
And then forced to offer his ripped back
As a mounting block for the barbarian king
To get on his horse;
And one time to get down on all fours to be the royal throne
When the king received our ambassadors
To discuss the question of ransom.
Of course, he didn't want ransom.
and I was tied to a post and made to watch.
[...]
And then suddenly
There were no more floggings or humiliations,
The king's personal doctor saw to his back,
He was given decent clothing, and the collar was taken off,
And they treated us all with a special courtesy.
[...]
Then later that month, it was a warm afternoon in May,
The rest of us were marched out to the central square.
The crowds were there already, and the posts were set up,
To which we were tied in the old watching positions.
And he was brought out in the old way, and stripped,
And then tied flat on a big rectangular table
So that only his head could move.
Then the king made a short speech to the crowds,
To which they responded with gasps of wild excitement,
and which was then translated for the rest of us.
It was the sentence. He was to be flayed alive,
As slowly as possible, to drag out the pain.
And we were made to watch. The king's personal doctor,
The one who had tended his back
Came forward with a tray of surgical knives.
They began at the feet.
And we were not allowed to close our eyes
Or to look away. When they were done, hours later,
The skin was turned over to one of their saddle-makers
To be tanned and stuffed and sewn. And for what?
A hideous life-sized doll, filled out with straw,
In the skin of Roman Emperor, Valerian,
With blanks of mother-of-pearl under the eyelids,
And painted shells that had been prepared beforehand
For the fingernails and toenails,
Roughly cross-stitched on the inseam of the legs
And up the back to the center of the head,
Swung in the wind on a rope from the palace flag-pole;
And young girls were brought there by their mothers
To be told about the male anatomy.
His death had taken hours.
They were very patient.
And with him passed away the honor of Rome.

In the end, I was ransomed. Mother paid for me.

(Oh, sì, adesso ricordo. / Era quello che vidi fare all'imperatore. / Lo catturarono, sa, aquile e tutto il resto. / Lo denudarono, e gli misero un collare di ferro, / e fecero una gabbia con le lance che ci avevano preso, / e ce lo rinchiusero, nudo e con il collare, / esposto al ludibrio di tutto il campo nemico. / E io fui legato a un palo e obbligato a guardare / quando venne tirato fuori e flagellato da uno dei loro generali / e poi costretto a offrire la schiena squarciata / come sgabello al re barbaro / per montare a cavallo; / e una volta anche a mettersi carponi e fare da trono regale / quando il re ricevette i nostri ambasciatori / per discutere il riscatto. / Ovviamente non voleva alcun riscatto. / E io fui legato a un palo e obbligato a guardare. / [...] E poi d'un tratto / non ci furono più flagellazioni né umiliazioni, / il medico personale del re gli curò la schiena, / gli vennero dati abiti dignitosi, il collare venne tolto, / e ci trattarono con particolare cortesia. / [...] Poi, più tardi quel mese, era un caldo pomeriggio di maggio, / ci fecero marciare fino alla piazza principale. / La folla già vi si assiepava, e i pali erano eretti, / ai quali venimmo legati nella solita posa d'osservazione. / E lui venne portato nel solito modo, e denudato, / e poi legato piatto su una grande tavola rettangolare / in modo che solo la testa si potesse muovere. / Poi il re rivolse un breve discorso alla folla, / che suscitò rantoli di eccitazione bestiale, / e che poi venne tradotto per noialtri. / Era la sentenza. Doveva essere scoiato vivo, / il più lentamente possibile, per protrarre il dolore. / E noi fummo obbligati a guardare. Il medico personale del re, / quello che gli aveva curato la schiena, / si fece avanti con un vassoio di ferri chirurgici. / Cominciarono dai piedi. / E non ci fu concesso di chiudere gli occhi / né di distogliere lo sguardo. Quando ebbero finito, ore dopo, / la pelle venne affidata a uno dei loro sellai / che la doveva conciare, imbottire e cucire. A che scopo? / Un'abominevole bambola a grandezza naturale stipata di paglia, / nella pelle dell'imperatore romano, Valeriano, / con occhi sbarrati di madreperla sotto le palpebre, / e conchiglie dipinde preparate da tempo / per le unghie delle mani e dei piedi, / cucita rozzamente all'interno delle gambe / e lungo la schiena fino al centro della testa, / oscillava al vento da una corda appesa al pennone del palazzo; / e le faciulle venivano lì condotte dalle madri / per essere erudite sull'anatomia del maschio. / La sua morte era durata ore. / Erano stati molto pazienti. / E con lui si era spento l'onore di Roma. // Alla fine venni riscattato. Mia madre pagò per me.)

Voto: 8