domenica 27 febbraio 2022

Andrej Longo, "Solo la pioggia", Sellerio



  Breve romanzo di grande compattezza narrativa, Solo la pioggia mostra nel suo sviluppo un'efficacia quasi teatrale. Ci troviamo nell'hinterland napoletano, dove i tre fratelli Corona, noti imprenditori nel campo del cemento, si riuniscono ogni anno nell'anniversario della morte del padre, per commemorarlo e per ribadire l'unità familiare.
 Per la verità, di fatto, la loro è una dinastia criminale: il padre, infatti, ha accumulato una fortuna con lo sfruttamento della prostituzione, l'estorsione, il traffico di stupefacenti, e solo in un secondo momento si è dato all'edilizia; i tre figli, a loro volta, portano avanti la loro attività con logica mafiosa, impaurendo o eliminando i possibili concorrenti, corrompensdo i politici locali, imponendo con la forza la propria legge sul territorio.
 In particolare, Carmine, il fratello maggiore, è il volto pubblico della famiglia Corona, si presenta come un moderno uomo d'affari e medita anche si candidarsi in prima persona alle prossime elezioni amministrative, per cominciare a manovrare la macchina politica comunale dall'interno. Papele, invece, di un anno più giovane di Carmine, con il suo culto della forma fisica e della forza muscolare, è un personaggio decisamente truce: suo è il compito di intimidire chi cerca di ostacolare gli affari dei Corona o di sfidarli apertamente; la sua azione deterrente si spinge, all'occorrenza, fino alla tortura e all'omicidio dei rivali (in città si sussurrano racconti raccapriccianti su uomini fatti a pezzi in un capannone di èproprietà della famiglia nella zona del porto). Infine Ivano, di dieci anni più giovane dei due fratelli maggiori, ha una personalità assai più sfaccettata e complessa della loro: essendo l'unico che ha studiato, si occupa con abilità della parte contabile dell'impresa di famiglia.
 Tutto, però, improvvisamente cambia quando, durante l'ennesima cena fra fratelli in ricordo del padre a casa di Ivano, rompendo l'armonia che regna a tavola, il fratello minore confessa agli altri due tutto il suo disagio per la vita che conduce: non solo egli non si sente portato per la violenza, ma non si riconosce per nulla nel machismo che sembra quasi un marchio di fabbrica della famiglia Corona; per dirla tutta, a lui le donne non piacciono neppure: è omosessuale, "ricchione" come direbbero i fratelli.
 Carmine e Papele restano letteralmente sconvolti di fronte a questa confessione: se si venisse a sapere delle predilezioni sessuali non proprio ortodosse - in relazione a quella che essi pensano essere la mentalità dominante - di Ivano, il prestigio e la rispettabilità della famiglia potrebbero esserne compromesse; i Corona non farebbero più paura a nessuno, e per continuare a esercitare il loro potere i Corona devono fare paura. Perciò, se Ivano vuole divertirsi con gli uomini faccia pure; ma lasci la città e non si faccia più vedere.
 
Andrej Longo
 
 Il problema è che Ivano rifiuta di nascondersi; pensa che non ci sia nulla di sbagliato o di vergognoso nel suo modo di essere, ha dissimulato le sue preferenze per tutta la vita e non intende continuare a farlo.
 L'impuntatura di Ivano, la rabbia cieca di Papele, l'incapacità di Carmine di immaginare un modo di vivere diverso da quello per cui è stato educato e che ha sempre adottato, e forse anche il troppo vino bevuto volgeranno in tragedia l'allegra cordialità di poco prima. La pioggia che sommerge la città, simile a quella di un Diluvio universale, sottolineerà il carattere fatale degli avvenimenti riportati.
 Due sono gli espedienti tecnici che rendono particolarmente tesa la narrazione: uno è l'adozione esclusiva del punto di vista di Carmine, che sebbene non conduca il racconto in prima persona, di fatto lo domina grazie all'utilizzo insistito del discorso indiretto libero. Il secondo è la scelta di aprire il romanzo appena un passo prima dell'epilogo della vicenda narrata, per poi ricostruire tutto quanto è avvenuto in precedenza attraverso un lungo flashback, e infine arrivare rapidamente alla chiusa perentoria e sorprendente.
 Il libro ha indubitabilmente una sua forza; se se ne vuole dare un giudizio di valore, però, non possono non pesare in senso limitativo la costruzione un po' manierata  dei personaggi (quanti se ne sono visti di camorristi di questo tipo nei libri e nelle fiction televisive degli ultimi anni!) e il finale che vuole essere ad effetto, ma risulta quasi inverosimile (è pensabile che un malavitoso consapevole fino in fondo del proprio ruolo come Carmine perda completamente la testa di punto in bianco, tanto da decidere improvvisamente di cancellare tutto quello che lui e i fratelli sono stati fino a quel momento?).
 
In poche parole: breve romanzo di grande compattezza narrativa e assai efficace nel suo sviluppo quasi teatrale, Solo la pioggia racconta l'ultima tragica cena dei tre fratelli Corona - Carmine, Papele e Ivano - imprenditori del cemento ed eredi di una feroce famiglia criminale. Le complesse dinamiche affettive che li legano e la dissonante diversità del fratello minore sapranno, in una sola sera, sommersa da una interminabile pioggia simile a quella di un Diluvio universale, erodere le logiche malavitose sulle quali le loro vite si sono rette fino a quel momento.   
 
Voto : 6 -

domenica 20 febbraio 2022

Daniele Mencarelli, "Sempre tornare", Mondadori

 


 Un paio di anni fa, il secondo capitolo della trilogia autobiografica di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza, mi era parso un romanzo straordinariamente potente e ben riuscito, equilibrato in ogni sua parte, capace di una affabilità stilistica che conquistava. 
 Purtroppo non si può dire che Sempre tornare ripeta quell'exploit: ogni cosa appare qui più faticosa e ripetitiva, meno originale, soprattutto aliena da quella felice contaminazione tra "alto" e "basso" che era uno dei punti di forza di quella prova narrativa. Eppure, forse, anche in Sempre tornare non tutto è da buttare via.
 Al centro della narrazione c'è una singolare avventura giovanile del protagonista narratore che, nel 1991, a diciassette anni, nel bel mezzo di una vacanza con gli amici sulla riviera adriatica, dopo un'umiliante brutta figura rimediata una sera nella discoteca Cocoricò di Riccione, decide di salutare il resto della compagnia e di tornare a casa da solo in autostop. 
 Tornare a casa non è uno scherzo: vuol dire percorrere con mezzi di fortuna il lungo tragitto che separe Misano Adriatico dai Castelli Romani.
 Fra l'altro, sventuratamente, Daniele dimentica sull'auto degli amici il portafoglio con documenti e denaro; tutto ciò, in un'epoca che precede l'avvento della telefonia mobile, vuol dire mettersi davvero on the road affidandosi alla buona sorte e - con fiducia - al buon cuore del prossimo.
 Il viaggio durerà in tutto due settimane ed esporrà Daniele ad ogni sorta di emozione, trasformandosi in una vera e propria parabola formativa. Il ragazzo si imbatterà in personaggi di tutti i tipi: come Enrico, un uomo facoltoso e annoiato, tristemente incapace di passioni autentiche, ma disposto ad aiutare e a ospitare nella sua sontuosa villa il bizzarro viandante in cui si imbatte; come Veleno, un burbero, coriaceo pastore, reso ancora più schivo dalla morte recente dell'amata moglie, ma in realtà pieno di altruismo nei confronti di uomini e animali; come Emilio, un solitario tappezziere che ha perso la famiglia per le calunnie seguite a un gesto di generosità gratuita mal interpretato; come Gianni, un ex pilota motociclista che non è mai riuscito a rassegnarsi alla fine dei giorni di gloria sui circuiti, e rende la vita impossibile alla moglie Cécile; come l'insopportabile Agata, ricca e viziata ereditiera che raccoglie Daniele dalla strada un po' per curiosità un po' per noia; come il tristissimo Manlio, prigioniero di un lavoro che non sopporta, di genitori che non riesce a contraddire, di un appartamento cupo e anonimo in cui egli prova a sottrarsi alla disperazione cercando sfogo nel consumo compulsivo di cibo e pornografia. 
 
Daniele Mencarelli
 
 Nei giorni del vagabondaggio, Daniele avrà la possibilità di innamorarsi della graziosa Emma, una ragazza dai corti capelli rossi orfana di madre, che sogna la libertà assoluta, e forse non si rende conto dei rischi a cui questo sogno la espone. A Emma il protagonista dedicherà una poesia che gli terrà compagnia durante tutto il viaggio, alla fine sola vera reliquia della sua eccezionale esperienza.
 Vedrà con orrore un ragazzo di ventiquattro anni morire fra le lamiere contorte della propria auto, in un terribile incidente stradale, e lo shock provocato da quella scena gli farà quasi perdere la ragione.
 Sarà seviziato e rapinato da Walter e Tommy, due giovani tossici in crisi di astinenza, disposti a qualunque cosa pur di rastrellare il necessario per la prossima dose, e questo nuovo trauma minerà alle fondamenta la sua fiducia incondizionata nel prossimo.
 Dormirà dietro un cespuglio, in una stazione, sotto un ponte e - per diciotto ore di seguito, stremato e febbricitante - dentro una spoglia casetta in muratura presso una discarica. Giudicherà tutti quelli che incontrerà e ne sarà giudicato; imparerà a sentirsi addosso gli occhi degli altri e a badarvi il giusto; si accorgerà di quanto è difficile chiedere aiuto, di quanto può essere miserabile e di quanto può dimostrasi grande un uomo, e di come è facile diventare invisibile agli occhi dei propri simili.
 La morale di questa straordinaria esperienza, esplicitata nelle pagine finali del libro, è che "ogni viaggio deve prevedere un ritorno, altrimenti non è viaggio, è randagismo". Tale morale fa nascere la tentazione di accostare il viaggio verso casa di Daniele al poema del ritorno per eccellenza, l'Odissea. In realtà, il domestico provincialismo, il minimalismo, la disordinata casualità e una certa ripetitività delle avventure che il protagonista vive rendono più pertinente il paragone fra lo schema narrativo di cui si giova Sempre tornare e la letteratura picaresca.
 Da un altro punto di vista, quello di Daniele Mencarelli può essere presentato come un vero e proprio romanzo di formazione. Eppure viene da chiedersi: c'è davvero formazione, alla fine, nella sgangherata e quasi autodistruttiva avventura in cui il protagonista si getta con ben poca consapevolezza?
 Forse Daniele non impara molto che possa servirgli in una normale, regolare vita associata, che si sviluppa in un contesto borghese; e tuttavia moltissimo apprende sulla capacità di mettersi nei panni degli altri, sulla precarietà degli aspetti materiali della nostra esistenza, sulla fragilità della nostra pretesa identità individuale, sul valore della generosità istintiva e sulla tenacia che può caratterizzare la cieca volontà di vita in cui più propriamente si esprime il nostro essere uomini. 
 In questo, più che in altro, il libro trova la propria ragione di essere letto.
 
In poche parole: ultimo capitolo della trilogia autobiografica di Daniele Mencarelli, Sempre tornare racconta la singolare avventura vissuta dall'autore quando, nel 1991, a 17 anni, dopo un'umiliante brutta figura rimediata in discoteca durante una vacanza sulla riviera adriatica, decide di abbandonare la compagnia e di tornare a casa - nei Castelli romani - in autostop, senza soldi e senza documenti. Si sarebbe tentati di accostare il viaggio, durato due settimane, pieno di eventi drammatici e trasformatosi presto in un pittoresco vagabondaggio attraverso l'Italia centrale, al poema del ritorno per eccellenza, l'Odissea omerica; in realtà, il domestico provincialismo, la disordinata casualità e una certa ripetitività delle vicende che il protagonista vive rendono più pertinente il paragone fra lo schema narrativo di cui si giova il romanzo e la letteratura picaresca.

Voto: 6 -