mercoledì 30 giugno 2021

Lisa Ginzburg, "Cara pace", Ponte alle Grazie

 

 Dire che l'ultimo romanzo di Lisa Ginzburg, nipote di Natalia, è imperniato sul tema della famiglia è certamente suggestivo, ma a mio parere non è del tutto esatto. Cara pace, piuttosto, ha come tema centrale quello delle imprevedibili geometrie degli affetti individuali, che sono in larga parte indipendenti dalle rassicuranti ma precarie strutture dell'istituto familiare.
 La vicenda narrata ha come protagoniste due sorelle nate a un solo anno di distanza l'una dall'altra, Maddalena e Nina; alla viva voce della prima, la sorella maggiore, è affidata anche la responsabilità di raccontare dal proprio peculiare punto di vista la loro storia. 
 Venute al mondo dall'unione tra Seba Cavallari - fotografo di matrimoni di grande successo, malato di lavoro e appassionato di astrologia - e la bellissima Gloria, fascinosa donna di origine argentina, cresciute a Genzano, poco lontano da Roma, quando sono ormai delle ragazzine le due sorelle si trovano spiazzate dalla traumatica separazione dei genitori. La madre Gloria, infatti, presto logorata da un'unione imperfetta e prigioniera di una routine che avverte avvilente, improvvisamente lascia Seba per Marcos, un giovane connazionale di cui ella si innamora mentre gli fa da guida per le strade della città eterna, e che le permette di riscoprire il legame un po' impolverato ma tenace con la sua terra d'origine.
 Le ragazze vengono allora affidate al padre, che però è sempre lontano da casa per lavoro; così, a occuparsi di loro è in realtà la nonna Imma, la quale finisce per svolgere il ruolo di un vero e proprio sostituto materno. 
 Ma la nonna presto muore: Maddi e Nina - trasferitesi a Roma nello spazioso appartamento presso villa Pamphili acquistato grazie alla cospicua eredità di Imma, con la sola compagnia della bambinaia-governante francese Mylène - si trovano nella singolare situazione di dover imparare appena adolescenti a fare a meno di ogni punto di riferimento familiare.
 Le due sorelle hanno un carattere molto diverso: Maddi è posata, riservata, amante della tranquillità e precocemente saggia; Nina è più estroversa, impulsiva e dotata di una sicurezza corroborata dalla sua notevole avvenenza. Nonostante queste differenze, la complicità che si sviluppa fra di loro è assoluta, siamile a una simbiosi. Inoltre, l'importante presenza di Mylène aiuta entrambe, fatta salva la loro diversità, a maturare una perfetta autodisciplina, che passa anche attraverso la pratica dello sport: ogni giorno le ragazze vengono accompagante dalla governante al parco di villa Pamphili per svolgere gli esercizi ad esse assegnate (e Nina scopre presto di avere un grande talento per la corsa, che si aggiunge alle molte qualità che fanno sì che Maddi - sofferente di asma bronchiale - la guardi un pizzico di invidia).

Lisa Ginzburg

 Crescendo, Maddi e Nina disegnano traiettorie esistenziali, in un certo senso, specularmente divergenti, senza che il feeling tra loro venga mai meno: Nina, sempre disinvolta e decisa nei rapporti interpersonali, conosce precocemente l'amore e il sesso, resta incinta a diciotto anni di un produttore cinematografico (che intendeva scritturarla per un film) e perde il bambino per via di un aborto spontaneo; la vita la porterà poi a trasferirsi a New York, dove comincerà a occuparsi del mercato dell'arte e intreccerà una tormantata relazione con Brian, un brillante gallerista.
 Maddi, invece, lasciata Roma per la Francia grazie a una borsa di studio quando è ormai all'Università, conosce Pierre, un giovane diplomatico in impetuosa ascesa, se ne innamora, presto lo sposa e quasi subito gli regala due figli, trovando in lui la tranquillità e il senso di protezione di cui ha sempre avuto bisogno. Il titolo del libro, Cara pace - leggibile anche come un'unica parola, "carapace", con riferimento al guscio della tartaruga, l'animale preferito di Maddalena -, allude sia al desiderio di tranquillità della protagonista, sia alla sua tendenza a ricercare un rassicurante riparo.  
 Il problema è che la psicologia umana sfugge alle nostre semplificazioni, e la vita - che ha sempre più fantasia di noi - sembra fatta apposta per confondere i nostri schemi. 
 Maddi, che fino a lì ha seguito un percorso perfettamente coerente con quelle che ella stessa riconosce come le sue caratteristiche specifiche, a un certo punto, si trova sorprendentemente a contraddire l'immagine di sé che si è costruita nel tempo: tornata a Roma da sola sull'onda di una vaga nostalgia per una breve vacanza durante la quale rivedere i luoghi in cui è cresciuta insieme alla sorella, proprio nel vecchio parco di villa Pamphili, incontra Tommy, un ragazzo con quasi la metà dei suoi anni. I due si parlano, si piacciono, sentono nascere una inopinata e irresistibile attrazione reciproca. La donna, travolta dalle emozioni - a dispetto del marito e dei figli -, si abbandona istintivamente con lui a una settimana di passione profonda, viscerale, spensierata, necessaria; una cosa che ci si sarebbe aspettati piuttosto da Nina.
 Nina, invece, che sembrava sul punto di mollare Brian come aveva fatto con molti altri fidanzati prima di lui, riconosce il proprio bene nell'impegno a coltivare il suo affetto nei confronti di un uomo che ha dimostrato più volte di tenere a lei e di saperle stare vicino: come avrebbe fatto la Maddi che ha sempre conosciuto.
 In questo rovesciamento di ruoli tra le due sorelle, sembra stare il senso del libro: l'esplorazione delle possibilità sentimentali insite nell'animo umano è un insindacabile bisogno a cui le circostanze talvolta possono condurci e che travalica imprevedibilmente le rigidità della morale, del senso comune, delle istituzioni sociali, degli stessi modelli identitari sulla base dei quali tendiamo a giudicare gli altri e a percepire noi stessi. La nostra cara pace, in realtà, alberga di necessità al di fuori del rifugio in qualsiasi carapace
 Il romanzo è interessante, ben concepito e si legge tutto sommato con piacere, ma la scrittura precisa e un po' fredda di Lisa Ginzburg non riesce a evitare l'effetto-diorama: certe situazioni narrative sembrano frutto di una ricostruzione un po' troppo artificiale, in cui la restituzione dei sentimenti che dovrebbero animarle appare astratta o esangue, totalmente priva di drammaticità; tanto che a volte si ha addirittura la sensazione che la scrittrice non abbia davvero idea di ciò di cui parla quando rappresenta determinati comportamenti. 
 
In poche parole dire che l'ultimo romanzo di Lisa Ginzburg, nipote di Natalia, è imperniato sul tema della famiglia è certamente suggestivo, ma a mio parere non è del tutto esatto. Cara pace, piuttosto, ha come tema centrale quello delle imprevedibili geometrie degli affetti individuali, che sono in larga parte indipendenti dalle rassicuranti ma precarie strutture dell'istituto familiare.
Tanto che le due sorelle protagoniste della vicenda narrata, Maddi e Nina, cresciute senza privazioni materiali, ma di fatto senza poter contare sui genitori, dando vita a un rapporto saldissimo, in cui ciascuna ha caratteristiche peculiari e ricopre un ruolo ben definito, da adulte scoprono di poter uscire dai rispettivi personaggi, di essere in grado anche di scambiarsi le parti; di avere anzi il bisogno di travalicare i limiti dei modelli identitari sulla base dei quali tendono a percepirsi e a giudicare gli altri per sentirsi vive e vere. In questo modo, possono anche arrivare a meglio comprendere la scelta difficile della propria madre di abbandonare la famiglia tanti anni prima.
Il libro si legge con piacere, ma la scrittura precisa e un po' fredda di Lisa Ginzburg non riesce a evitare l'effetto-diorama: certe situazioni narrative sembrano frutto di una ricostruzione un po' troppo artificiale, in cui la restituzione dei sentimenti che dovrebbero animarle appare astratta o esangue, totalmente priva di drammaticità; tanto che a volte si ha addirittura la sensazione che la scrittrice non abbia davvero idea di ciò di cui parla quando rappresenta determinati comportamenti.

Voto: 6

domenica 13 giugno 2021

Giulia Caminito, "L'acqua del lago non è mai dolce", Bompiani

 
 Sebbene L'acqua del lago non è mai dolce sia un titolo degno di una fiction televisiva di serie B, il libro che lo porta è opera seria e concreta. La storia, tutta raccontata in prima persona con piglio emotivamente assertivo, è quella di Gaia, una ragazza dai lunghi capelli rossi che cresce all'ombra e a volte a dispetto di una famiglia estremamente problematica.
 Tre sono i nodi principali di questo romanzo di formazione: il primo è la figura della madre Antonia, vero capofamiglia, amata e odiata dalla figlia che la sente terribilmente simile a sé e, nel contempo, subisce la sua tirannica inflessibilità; il secondo è la lotta continua con la rabbia che Gaia sente di serbare nel fondo della sua coscienza, e che non sempre riesce a contenere; il terzo è il rapporto della protagonista con i luoghi in cui i fatti narrati si svolgono e con il tessuto sociale che li caratterizza: la Roma delle borgate popolari prima, e Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano, poi.
 Antonia, la madre, ha avuto una vita difficile: incinta a diciassette anni del fratello maggiore di Gaia - Mariano - e abbandonata dal suo seduttore, ha conosciuto più tardi Massimo, uomo bello ma poco volitivo, senza un soldo e senza un impiego "vero". La famiglia si è presto allargata: cinque anni dopo Mariano è nata Gaia medesima, e più tardi due gemelli. Tuttavia, la situazione economica di Antonia e Massimo non è per nulla migliorata: lui lavora in nero come manovale in un cantiere edile, lei arrotonda facendo le pulizie in casa di gente ricca. 
 Genitori e bambini vivono tutti in due misere stanze senza alcuna comodità e senza nessuna privacy; i due gemelli hanno addirittura per culla un grosso scatolone imbottito di coperte. L'indomita Antonia, con la sua indole da sindacalista, è eternamente in lotta con burocrati annoiati, assistenti sociali distratti e funzionari pubblici corrotti per farsi assegnare l'alloggio popolare a cui la famiglia avrebbe diritto.
 La casa popolare arriva solo quando un drammatico incidente contribuisce ad aggravare ulteriormente il quadro familiare: mentre lavora in nero in un cantiere, Massimo cade da un'impalcatura e rimane paralizzato dalla vita in giù; non essendo assunto regolarmente, non può neppure fruire di qualche forma di risarcimento e, confinato su una sedia a rotelle, finisce per trasformarsi in un uomo passivo e depresso: un peso morto per chi gli sta accanto.
 Nonostante ora possano contare su una casa degna di questo nome, Antonia e i suoi non si trovano affatto bene nel condominio dove il Comune li ha collocati: gli altri inquilini guardano con malcelato disprezzo quei "poveracci", si preoccupano del decoro del palazzo e del deprezzamento dei loro immobili, e se la prendono al minimo pretesto con i ragazzi che giocano in cortile insieme alla figlia disabile della portinaia dello stabile. 
 Così, con una delle sue decisioni repentine, Antonia porta tutta la famiglia lontana da lì: trova la titolare di un altro alloggio popolare ad Anguillara Sabazia - sul lago di Bracciano - interessata a rientrare a Roma e, senza dire nulla a nessuno, scambia la propria abitazione con lei. Gaia, che si appresta allora a cominciare le scuole medie, si trova dunque a crescere in un contesto totalmente diverso da quello dei suoi primi anni di vita.
 
Giulia Caminito
 
 Anguillara è una cittadina di provincia, e la provincia, con la sua singolare capacità di mettere crudelmente l'individuo di fronte alle sue debolezze e di esplicitare le sue idiosincrasie, infuenzerà nel bene e nel male la formazione della protagonista.
 Tutte le tappe della crescita di Gaia, così, si svolgeranno sullo sfondo di quella località lacustre dove la gerarchia sociale degli abitanti è chiara a tutti e dove la suggestiva opacità del grande specchio d'acqua finisce per diventare metafora del carattere grintoso e ombroso della protagonista.
 Lì Gaia conoscerà il primo amore, le prime amicizie e i primi tradimenti; trasformerà la lettura e lo studio accanito, cui la costringe la madre che nutre grandi aspettative nei suoi confronti, in un efficace mezzo di autopromozione; imparerà a farsi valere e a difendersi dai soprusi degli altri persino con la violenza.
 L'univocità del punto di vista attraverso il quale si svolge la narrazione filtra e connota in maniera drammatica tutti gli avvenimenti che segnano le tappe di uno sviluppo emotivo che non è lineare, ma procede a strappi e per una progressiva e talvolta dolorosa conquista di una nuova consapevolezza di sé. Così, ad esempio, il suicidio a quindici anni di un'amica dalla quale la protagonista si era allontanata rilascerà lentamente e per anni la sua tossicità, e potrà molto più tardi essere parzialmente esorcizzato solo da un altro atroce lutto, la morte per malattia, a meno di 25 anni, di un'altra grande amica di Gaia.
 Così, l'acquisizione da parte della protagonista della facoltà di controllare i suoi accessi di violenza - che pure l'aiutano a difendersi dai prepotenti quando è ancora una ragazzina - passa per la quasi uccisione della bella Elena, che le porta via il suo storico fidanzato. 
 Così la capacità di tenere alla giusta distanza Antonia matura in Gaia solo quando si rende conto che ella è meno simile a sé di quanto non abbia mai pensato, e che il vero erede delle lotte della madre contro tutto e contro tutti è in realtà suo fratello Mariano.
 Due parole merita lo stile con cui il libro è scritto. Il linguaggio usato da Giulia Caminito è asciutto e preciso, privo di autocompiacimenti e scevro dell'abitudine di indugiare con enfasi sui soliti luoghi comuni narrativi. Nelle descrizioni, la scelta dei termini usati è ricercata (quasi a incorporare l'abitudine della protagonista di soffermarsi, sfogliando il vocabolario, su termini peregrini e "difficili"), ma sciolta da qualsiasi forma di vanità letteraria, e perciò estremamente efficace: spesso bastano poche frasi all'autrice per rendere alla perfezione l'idea di un personaggio o di una situazione.
 Qualche cedimento, soprattutto nella scansione ritmica che caratterizza la successione degli episodi oggetto del racconto, si può riscontrare solo nella parte finale del romanzo; cosa che, del resto, non compromette la sua complessiva piacevolezza.
 
In poche parole: romanzo di formazione tutto narrato in prima persona dalla viva voce della protagonista Gaia con piglio emotivamente assertivo, L'acqua del lago non è mai dolce - nonostante il titolo, che sembra quello di una fiction televisiva di serie B - è un libro interessante e originale per tono, stile, contenuto e ambientazione.
Tre sono i nodi principali della storia raccontata: il primo è la figura della madre Antonia, vero capofamiglia alle prese con continui problemi economici e drammatiche difficoltà esistenziali, amata e odiata dalla figlia che la sente terribilmente simile a sé e, nel contempo, subisce la sua tirannica inflessibilità; il secondo è la lotta continua con la rabbia che Gaia sente di serbare nel fondo della sua coscienza, e che non sempre riesce a contenere; il terzo è il rapporto della protagonista con i luoghi in cui i fatti narrati si svolgono e con il tessuto sociale che li caratterizza: la Roma delle borgate popolari prima, e Anguillara Sabazia, che si affaccia sulle acque opache del lago di Bracciano, poi.

Voto: 7

domenica 6 giugno 2021

Teresa Ciabatti, "Sembrava bellezza", Mondadori

 
 Sembrava bellezza è la storia di una nevrosi: quella di una donna che, intimamente, non è mai riuscita ad andare oltre l'adolescente che è stata, il suo permanente complesso di inferiorità, le sue paure irrazionali, le sue fantasie iperboliche, il suo bisogno quasi patologico di rispecchiarsi nella considerazione degli altri.
 L'io narrante è infatti quello di una scrittrice di 47 anni che vive il successo che ha conquistato con il suo ultimo libro e la notorietà che ne deriva - e che ella tende egoticamente ad esagerare - come una rivalsa tardiva ma definitiva nei confronti di tutti coloro che durante l'adolescenza non si accorgevano di lei, non la apprezzavano abbastanza, tendevano a relegarla ai margini della socialità.
 Questi sentimenti vengono enfatizzati dalla persistente influenza dell'ambiente moralmente tossico in cui la protagonista-narratrice si è trovata a crescere: da ragazza, con alle spalle una famiglia medio-borghese benestante ma non ricca, nel cuore degli anni ottanta del Novecento, si è trovata improvvisamente catapultata dalla provincia laziale nell'elegante quartiere dei Parioli a Roma, dove ha cominciato a frequentare un liceo "per ricchi", in cui i compagni di scuola erano i figli di importanti professionisti con un background altoborghese quando non addirittura aristocratico. Lei, sedicenne un poco in sovrappeso, timida, forse goffa e non particolarmente bella (e con il difetto segreto e per lei profondamente destabilizzante di due seni asimmetrici), in quel contesto, si percepiva come un essere assolutamente insignificante al cospetto dei giovani aitanti e sportivi che ammirava da lontano ma che non la vedevano; delle giovani eleganti e raffinate che non la invitavano alle loro feste e probabilmente la compativano.
 Ma ora tutto è cambiato: ora è lei quella famosa, quella "arrivata", quella che ha fatto carriera, quella a cui fare i complimenti e a cui rendere omaggio, sperando nella sua benevolenza.
 Per la verità, ben pochi fra gli ex compagni di scuola si fanno vivi per esprimerle la loro ammirazione, e il suo successo non è forse così straordinario come l'aveva immaginato. In fondo, ella resta una donna vicina ai cinquant'anni, separata dal marito, con una figlia ventenne in perenne conflitto con lei (e che ora, trasferitasi a Londra a studiare, tende a tenerla lontana), piena di amanti che si danno il cambio fra le sue lenzuola senza lasciare tracce significative; e in tutto questo non c'è molto di cui andare fieri. 
 Per fortuna, almeno Federica, leggendo il suo nome in fondo agli articoli pubblicati sui più importanti quotidiani d'Italia e sulle copertine dei libri esposti nelle vetrine delle librerie, l'ha cercata. Federica: la ragazza che, pur appartenendo a una famiglia più in vista della sua, era diventata durante l'adolescenza la sua migliore amica, condividendo con la protagonista un profondo senso di inadeguatezza, dovuto, nel suo caso, alla presenza della sorella maggiore Livia, bionda e bellissima, e desiderata e ammirata da tutti i ragazzi della scuola, talmente sicura di sé da lasciare l'incantevole Massimo "perché ce l'ha piccolo" e da salire in macchina, fuori dal liceo, con un fotografo di quelli che allora potevano aprire alle ragazze di bell'aspetto le porte della carriera cinematografica; senza dare peso alle paure diffuse che dopo le sparizioni di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori volevano le graziose fanciulle romane costantemente esposte al pericolo di essere rapite salendo sulle automobili di sconosciuti (o, secondo una leggenda metropolitana che godeva di un certo credito, entrando nei camerini, dotati di botola traditrice, di un famoso negozio di abbigliamento di via del Corso...).
 
Teresa Ciabatti

 Livia, in realtà, era attesa da un destino diverso, seppur altrettanto crudele: anch'essa rosa da un tarlo segreto nonostante la sua popolarità, dando corso a un tentativo di suicidio pochi giorni prima del suo diciottesimo compleanno, si è salvata, ma è rimasta mentalmente menomata, come congelata nella vacuità di un'eterna adololescenza.
 Ora, ironicamente, dopo aver ricominciato a frequentare Federica e a scambiarsi confidenze con lei quasi come un tempo, la protagonista si trova a fronteggiare nuovamente tutto il disagio dei suoi sedici anni quando l'amica le chiede di prendersi cura per qualche giorno proprio di Livia che, vista la fanciullesca sventatezza di cui è prigioniera, ha bisogno di essere continuamente sorvegliata.
 Accanto a Livia, la nostra scrittrice, rivedrà dopo trent'anni Massimo, uno dei suoi sogni erotici degli anni del liceo e, soprattutto, sarà assalita dal fantasma di un suo imbarazzante segreto risalente alla notte del tentativo di suicidio di Livia; quando ella, dormendo a casa di Federica, aveva visto la sorella dell'amica alzarsi in camicia da notte rosa, varcare la finestra aperta e salire sul cornicione, ma - paralizzata da una ridda di sentimenti contrastanti - non aveva fatto nulla per fermarla.
 L'ineludibile ricordo pone la protagonista di fronte a una domanda che compendia tutte le sue remore nei confronti del proprio passato, le questioni irrisolte, i traumi insuperati, le vergogne che ancora bruciano: è possibile porre rimedio alle mancanze e agli errori che pesano sulla nostra coscienza, o la pretesa di maturare fino al punto di acquistare la capacità di rammendare gli strappi del tempo è solo una pia illusione? La domanda rimane senza risposta, anche se è forte il sospetto che il nostro smarrimento esistenziale sia immedicabile.
 Il libro è piuttosto interessante nella sua concezione, e l'io narrante riesce ad attirarci nel labirinto delle proprie angosce. Permane però un sospetto di frivolezza a proposito della mentalità nell'ambito della quale queste angosce, di fatto, prendono forma e si sostanziano; sospetto avvalorato dalla ripetitività (a volte addirittura lievemente compiaciuta) con cui si ritorna sulle situazioni che generano il disagio e dallo stile tutto sommato un po' sciatto con cui tale disagio viene descritto e analizzato. 
 Resta insomma la sensazione di qualcosa di irrisolto: come una confessione a metà, o pronunciata a mezza bocca. Fra i candidati al premio Strega di quest'anno, Sembrava bellezza non mi sembra francamente la proposta migliore.
 
In poche parole: Sembrava bellezza è la storia di una nevrosi: quella di una donna che, intimamente, non è mai riuscita ad andare oltre l'adolescente che è stata, il suo permanente complesso di inferiorità, le sue paure irrazionali, le sue fantasie iperboliche, il suo bisogno quasi patologico di trovare conferma nella considerazione degli altri. 
Persino quando raggiunge il successo come scrittrice, i fantasmi del passato continuano a perseguitarla, fra l'illusione di porre rimedio agli errori di trent'anni prima, le remore delle occasioni perdute che non si ripresenteranno, la pretesa di essere una persona migliore di un tempo, il sospetto di essere predisposta a cadere sempre nelle stesse trappole.
Di tutto questo è simbolo Livia, la bellissima sorella della migliore amica della protagonista, che una caduta dall'alto ha menomato, trasformandola in una immagine fossile degli anni della giovinezza e della società pariolina degli anni ottanta, in cui l'ex ragazza che ci racconta la sua storia non può fare a meno di specchiarsi.
In realtà, permane un po' di frivolezza nella descrizione di questi meccanismi psicologici; frivolezza che, associata a qualche cedimento stilistico rende questa prova narrativa non del tutto convincente. 

Voto: 6 -