domenica 27 settembre 2020

Marieke Lucas Rijneveld, "Il disagio della sera", Nutrimenti

 Il romanzo è assimilabile a un lungo, lirico, macabro capogiro, che si conclude con una tragica caduta nel vuoto.
 Il punto di vista dal quale la storia viene narrata è quello placidamente allucinato di Jas Mulder, una ragazzina di neppure dodici anni che si trova ad affrontare come peggio non potrebbe la morte del fratello maggiore Matthies, inghiottito alla vigilia di Natale, durante una gara di pattinaggio sul ghiaccio, dalle acque gelide del lago che si stende in un polder presso la fattoria nella quale ella vive all'inizio degli anni Duemila con la sua famiglia.
 Tre sono le circostanze che rendono impossibile per Jas elaborare il lutto della perdita che ha subito e superare il dolore inatteso che l'ha investita. In primo luogo la ragazza si sente superstiziosamente responsabile della fine di Matthies, poiché dentro di sé aveva immaginato di barattare la vita del fratello con la salvezza del suo coniglio da compagnia, che temeva il padre avesse intenzione di uccidere destinandolo al pranzo natalizio. 
 In secondo luogo, la protagonista rimane intrappolata nel cortocircuito logico che la morte del fratello ha provocato in seno alla sua famiglia: i genitori di Jas, infatti, sono portatori di una mentalità quantomai bigotta, frutto di una religiosità fanatica e morbosamente sessuofobica (al punto che diventa un problema anche solo pronunciare la parola "nudo"); una religiosità in cui domina l'idea di un Dio sinistramente vendicativo, di matrice veterotestamentaria, che proibisce e punisce, e a cui la misericordia sembra sconosciuta. Non sorprende dunque che la madre e il padre vivano la scomparsa del primogenito come una misteriosa, atroce condanna, per la quale non sanno trovare una spiegazione, della quale non sanno darsi pace e dalla quale non sanno riprendersi: la madre scivola nella depressione, si fa più distratta nei confrionti dei figli superstiti, sembra coltivare pensieri suicidi; il padre diventa sempre più cupo e collerico, a tratti culla il sogno di lasciare tutto e andarsene lontano. 
 A tutto questo si aggiunge poi il carattere assai particolare di Jas che - forse per reazione all'oppressiva educazione ricevuta - è afflitta da una morbosa tendenza alla fantasticheria bizzarra (che la porta, ad esempio, a immaginare di calarsi nei panni di Adolf Hitler, con il quale condivide il giorno del compleanno), con sfumature di natura coprofila e una spiccata propensione per l'erotomania, che innesca in lei un circolo vizioso fatto di trasgressivi esperimenti sadomasochistici, brucianti sensi di colpa, desideri frustrati. In tale prospettiva, anche la continua rievocazione del dolore per la morte di Matthies diventa una sofisticata forma di perversione in cui crogiolarsi per fuggire da una quotidianità deprimente.
 
Marieke Lucas Rijneveld
 
  Del resto, nella grande fattoria, in cui le 180 mucche contenute dalle stalle sono la cosa più importante e regolano con le loro esigenze i ritmi di tutti i membri della famiglia, in cui l'odore di letame e quello di formaggio sono onnipresenti, in cui dal fango del cortile si alzano le sagome sgraziate dei silos dei mangimi, la vita può effettivamente trasformarsi in un incubo, soprattutto per una ragazzina che fatica a percepire l'amore dei genitori.
 Jas si chiude così in uno stinto giaccone rosso e decide di non toglierselo più; non solo, come farebbero altri preadoloscenti, per nascondere agli occhi del mondo le incipienti trasformazioni subite dal suo fisico o per dimenticarsi di esse, ma anche - da una parte - per proteggere un corpo di cui, dal momento della morte di Matthies, sente tutta la fragilità, e - dall'altra - per innalzare una barriera tra sé e la fattoria, tra sé e il mondo in cui è costretta a vivere: per tenere lontane, insomma, persone e cose che le risultano sgradite. 
 Nel frattempo, ella coltiva in segreto il desiderio di fuggire dalla fattoria e dal polder, di raggiungere l'altra riva del lago, quella in prossimità della quale Matthies è sprofondato nel ghiaccio, quella dove, forse, una vita diversa sarebbe possibile. Quella che a poco a poco diventa il simbolo di ogni altrove e, in un certo senso, anche dell'Aldilà, della dimensione nella quale Matthies si è trasferito; nell'ottica stravolta di Jas, infatti, persino la morte può trasformarsi in una condizione da vagheggiare e da corteggiare.
 Il principale sintomo del disagio esistenziale della protagonista è individuabile nel fatto che con il corpo - suo e degli altri -, Jas non riesce proprio a relazionarsi in maniera serena: quando esce dal giaccone, il suo corpo diventa un pezzo di carne da sottoporre a ogni sorta di strano esperimento, che si tratti di atti autolesionistici (piantarsi una puntina nella pancia poco sotto l'ombelico e lasciarla lì fino a quando non fa infezione) o di pratiche che rimagono a metà tra la tortura e la libidine (come quando, con la scusa della stitichezza, chiede al fratello maggiore Obbe di infilarle un dito dentro l'ano e, notando la sua erezione sotto i pantaloni, si domanda che effetto farebbe il pene di Obbe dentro di sé). Il corpo dei genitori, osservato con apprensione (per la patologica magrezza della madre o perché Jas sospetta che la madre e il padre "non si accoppino più") e con repulsione, diventa emblema della schiavitù dell'uomo ai meccanismi inesorabili di una natura cieca e spietata. I corpi del fratello Obbe e della sorella Hanna, in cui vede i segni di quello sviluppo sessuale in virtù del quale ella stessa verrà sputata fuori dall'infanzia, costituiscono per Jas una sorta di enigma che bisogna risolvere per capire come liberarsi dalla morsa emotiva che la tiene prigioniera.
 Da questo singolare labirinto di sofferenza psicologica, purtroppo, Jas non saprà individuare l'uscita; imboccando la strada sbagliata giungerà, per volontà o per errore, a porre fine alla propria storia nella maniera più tragica: tentando l'ennesimo strambo esperimento, si chiuderà nel grande congelatore presente nella cantina della propria casa, forse nell'illusione di seguire Matthies per il freddo sentiero infero lungo il quale il fratello si è suo malgrado incamminato.
 Il romanzo si avvale di una scrittura sussultante e lampeggiante, ipnotica e magnetica - quasi psichedelica - che ha sicuramente una sua efficacia, ma che appare a conti fatti un po' manierata nella ricerca insistita, quasi sistematica, di effetti sgradevoli, di una rappresentazione disturbante della realtà, che è il vero tratto distintivo della poetica dell'autrice, e ha la pretesa di essere utilizzata come strumento conoscitivo e scandaglio critico.
 Il personaggio di Jas - detentore unico del punto di vista narrativo -, nella psicosi ossessiva in cui degenera il suo affanno, è il principale punto di forza di questa strategia letteraria, in virtù della quale l'immagine della protagonista viene ingigantita tanto da risultare assolutamente memorabile; contemporaneamente, però, nel suo specchio deformante, il riflesso del mondo che la circonda - che è la causa prima del suo profondo disagio - rischia di risultare un po' appannata, rendendone più difficile l'analisi e menomando in qualche modo l'esperienza del lettore.
 
In poche parole: il libro, caratterizzato da una prospettiva allucinata, da una scrittura strategicamente disordinata e dalla ricorrenza di situazioni disturbanti, consta della storia drammatica, raccontata in prima persona, di Jas Mulder, una ragazzina olandese che, nella deprimente atmosfera della fattoria in cui vive, tenta di elaborare il lutto per la morte del fratello maggiore. Il disagio psichico da cui Jas è afflitta, aggravato dalla mentalità bigotta e sessuofobica in cui l'hanno cresciuta i suoi genitori - portatori di una religiosità rigida e fanatica - renderanno questo tentativo impossibile e condurranno la ricerca della ragazzina di una via d'uscita dalla situazione di cui si sente prigioniera a un esito tragico.
 
Voto: 6,5    

domenica 13 settembre 2020

Sara Loffredi, "Fronte di scavo", Einaudi

  Il romanzo consta della storia di un uomo e dei suoi tormenti incastonata nella più grande avventura di una delle maggiori imprese ingegneristiche dell'Italia novecentesca: la realizzazione del traforo del Monte Bianco, il tunnel stradale lungo 11,6 km che si sviluppa sotto la più alta montagna d'Europa, concepito nel 1946 da Dino Lora Totino e realizzato fra gli anni cinquanta e gli anni sessanta per collegare Italia e Francia (lasciandosi simbolicamente alle spalle gli orrori della Seconda guerra mondiale e celebrando una nuova stagione di pace e prosperità per il continente intero).
 Protagonista e narratore della vicenda raccontata è Ettore, un ingegnere milanese trentacinquenne specializzato nella realizzazione di gallerie che, nel maggio 1961, viene chiamato a lavorare al cantiere che due anni prima si è aperto a Courmayerur, in località Entrèves. Ettore è un figlio d'arte: secondogenito di uno stimatissimo professionista milanese scomparso quand'egli era ancora un ragazzo, ha intrapreso la carriera che era stata pensata per il fratello maggiore Giovanni, dopo che quest'ultimo ha dapprima deciso di sottrarsi all'ombrello protettivo del genitore scegliendo gli studi di economia, e poi - forse schiacciato dai sensi di colpa in seguito alla morte del padre - si è chiuso in un silenzio sempre più impermeabile, fino a non parlare più del tutto e a essere ricoverato in una clinica per malati psichiatrici.
 Il tempo della storia va dal maggio del 1961 all'agosto del 1962, quando l'ultimo diaframma di roccia cade, l'escavazione della galleria termina e le due squadre di lavoro italiana e francese si incontrano come stabilito a metà del percorso. Da quel momento ci vorranno ancora quasi tre anni prima che l'opera venga ufficialmente inaugurata e aperta al traffico automobilistico; e tuttavia la narrazione si proietta principalmente non verso il futuro ma verso il passato, guardando agli antefatti che precedono l'inizio dell'escavazione da una parte, e ai momenti decisivi del processo di crescita di Ettore dall'altra.
 Per il protagonista, oltre ai passaggi nodali della morte del padre e dell'impazzimento del fratello ha contato soprattutto la fase dell'amore per la bella Giulia, una contadina sua coetanea che a quattordici anni, all'epoca dello scoppio della guerra, egli frequentava al paese sul lago di Como del quale il padre era originario e dove la sua famiglia aveva comprato una villa in cui passare le vacanze. 
 La sensualità travolgente e il vitalismo di Giulia hanno "salato il sangue" per sempre ad Ettore; ma la memoria della ragazza è per lui legata soprattutto all'"incidente" che li ha visti protagonisti. In seguito alle loro prime timide, travolgenti e appassionate esperienze erotiche, infatti, Giulia è rimasta incinta, con grande scandalo degli adulti, e da quel momento in avanti le rispettive famiglie hanno impedito ai due ragazzi di continuare a vedersi. 
 Poi è venuta la guerra, la morte del padre, la vendita della villa sul lago; Ettore ha perso la possibilità di avere qualsiasi contatto con Giulia, e solo anni dopo, quasi per caso, è venuto a sapere della morte di parto della ragazza, mentre stava per dare alla luce il suo terzo figlio. Il rammarico, la tristezza profonda e un soffocante senso di oppressione per tutto ciò che è avvenuto hanno poi portato Ettore a decidere di non sposarsi mai e a rifiutare legami stabili.
 
Sara Loffredi
 
  Accade però che nel cantiere del traforo il passato di Ettore paia ripresentarsi inopinatamente nelle vesti di Nina, una delle donne che servono alla mensa destinata a operai e dirigenti. Nina, lecchese d'origine e milanese d'adozione, è in fuga da un amore impossibile che l'ha portata lontano da suo marito, per legarsi a un medico (anch'egli sposato) dell'ospedale del capoluogo meneghino in cui prestava servizio come infermiera. Trasferitasi a Courmayeur, ha portato con sé il figlio piccolo, Arturo detto Artù. 
 Il fascino malinconico di Nina - con tutto il carico di sofferenze dovute a una storia proibita che si porta dietro - e la vispa curiosità di Artù conquistano Ettore, dividendolo dal migliore amico che si è fatto Courmayeur: Hervé, il capocantiere, che ha insegnato al protagonista ad amare e a vivere la montagna, e che è anch'egli innamorato della donna.
 Il tarlo interiore di Ettore, i fantasmi del suo passato, i suoi sentimenti contrastanti verso Nina ed Hervé, l'idea che sia impossibile amare senza violare si legano in maniera quasi archetipica alla sensazione che il tunnel che si sta scavando costituisca un abuso nei confronti della sacra intangibilità della "Regina bianca" delle Alpi. Questa sorta di ossessione arriva a togliere il sonno al protagonista, a riempirlo di un terrore superstizioso che rischia addirittura di farlo impazzire. Ad aiutarlo è un singolare personaggio, il gigantesco e barbuto Samiel, uno dei misteriosi rabeilleur della valle, un guaritore capace di sistemare tanto un'articolazione fuori posto quanto una mente afflitta da una sofferenza di cui non si conosce l'origine.
 Fra gli incidenti che funestano il cantiere e la corsa per arrivare prima dei francesi alla "progressiva" 5800, punto di arrivo dell'escavazione dal versante italiano del traforo, Ettore riuscirà a poco a poco a fare pace con se stesso e con l'amico Hervé, e a placare gli spettri che gli si agitano dentro. Anche Nina, dopo aver rischiato di morire sotto una gigantesca valanga, riuscirà a riprendere possesso della propria vita, anche se il suo nuovo inizio porterà lei e Artù lontano da Ettore.
 L'aspetto più interessante del libro è la sua capacità di raccontare il lavoro anche dal punto di vista tecnico (i rilievi compiuti dalle cime alpine dal geometra Alaria con il teodolite; il fronte di scavo con il carroponte, la trivellazione della parete, l'inserimento dell'esplosivo al plastico; il drenaggio dell'acqua che si infiltra nella roccia; la convessità da conferire al letto del tunnel; la rimozione dei detriti; la messa in sicurezza e l'armatura delle pareti; il procedere dei lavori a sezione parziale, ecc.), cosa che avviene molto raramente nell'ambito della letteratura italiana.
 I personaggi più riusciti sono forse quelli del capocantiere Hervé e del rabeilleur Samiel; quest'ultimo avrebbe forse meritato un maggiore sviluppo. 
 La storia d'amore fra Ettore e Nina, poi, inserita probabilmente per rendere più facilmente palatabile il romanzo per il lettore medio, sa un po' troppo di sceneggiato televisivo per integrarsi al meglio nel corpo scabro della narrazione assumendo un rilievo davvero significativo nell'ambito dei valori letterari che vengono estrinsecati.

Voto: 6 +

domenica 6 settembre 2020

Jesmyn Ward, "La linea del sangue", NN Editore

   

 Nonostante Where the Line Bleeds sia il primo libro di Jesmyn Ward (pubblicato nel 2008) e il primo atto della trilogia di romanzi ambientati a Bois Sauvage - nella regione del delta del Mississippi -, al pubblico italiano arriva in traduzione solo ora, dopo gli altri due più recenti capitoli della saga, famosi per aver fruttato all'autrice per ben due volte il National Book Award: Salvare le ossa e Canta, spirito, canta
 Al centro del tessitura romanzesca c'è sempre quell'ambiente particolarissimo fatto di acquitrini, terra rossa e compatta, vegetazione rigogliosa, torbidi fondali marini, aria umida e insetti; un ambiente dominato da sapori e odori forti, popolato da gente povera e orgogliosa, per lo più di colore, erede della cultura creola francese, capace di costruirsi da sola e con mezzi di fortuna le proprie abitazioni e di sopravvivere agli uragani e al razzismo dei bianchi.
 Protagonisti della narrazione, in questo caso, sono Joshua e Christophe, due gemelli di diciotto anni che sono stati cresciuti dalla nonna, l'anziana Ma-mee: il padre Sandman, infatti, si è totalmente disinteressato di loro fin dalla nascita, schiavo di una tossicodipendenza che finisce per ridurlo, ancora giovane, a una specie di relitto umano; la madre Cille, invece, si è trasferita ad Atlanta per cercare un lavoro quando i due ragazzi avevano solo 5 anni, e da quel momento, pur inviando periodicamente del denaro per il loro sostentamento e pur facendo ogni tanto visita alla famiglia, ha rappresentato soprattutto un grande vuoto nella vita dei suoi figli.
 Ora, l'esistenza di Joshua e Christophe sembra arrivata ad una svolta: terminata la scuola superiore e ritirato il diploma (alla cerimonia hanno dovuto constatare ancora una volta con rammarico l'assenza di Cille, che speravano decidesse di farsi viva all'ultimo momento), si apprestano, fra un ultimo bagno nel fiume, una partita a basket con gli amici e una canna fumata per rilassarsi, ad affrontare la loro prima estate da adulti.
 La ricerca del lavoro comincia quasi subito, anche se la zona in cui vivono non sembra offrire molto, al di là di un impiego come cameriere o commesso (da McDonald's, Burger King, Walmart o Sonic), le pulizie o la cura del verde nelle case dei bianchi ricchi ai margini del Bayou, il facchinaggio al porto o ai cantieri navali. Joshua è più fortunato del fratello, e viene assunto molto presto ai cantieri navali (un lavoro faticoso ma ben retribuito); Chris, invece, non trova nulla di meglio da fare che mettersi a spacciare erba a Bois Sauvage. Del resto, Cille ritiene che i suoi obblighi di mantenimento nei confronti dei gemelli siano terminati, e l'adorata Ma-mee, che ormai è quasi cieca, non può più contribuire in alcun modo alle entrate della famiglia.
 A separare i due fratelli, che fino a quel momento hanno sempre vissuto praticamente in simbiosi, c'è poi il fatto che Joshua ha trovato una ragazza - la graziosa Laila, che da tempo aiuta lui e Chris a tenere in ordine le loro chiome selvagge raccogliendole in ordinate treccine -, e questo fa sentire Christophe inadeguato, fuori posto, sempre un passo indietro. Per di più, succede che, dopo molti anni, torni a farsi vedere nei paraggi Sandman, confuso e malmesso come non mai, ma determinato - pare - a riprendere contatto con i figli che fino a quel momento non ha mai calcolato. 
 
Jesmyn Ward
 
 Mentre, con l'avanzare dell'estate e il crescere dell'afa, uno dei periodici uragani che flagellano la regione si avvicina minacciosamente al Mississippi - costringendo gli abitanti a proteggere le finestre delle case con delle assi di legno -, le tensioni che si sono accumulate intorno a Chris esplodono tutte insieme. Il suo rapporto con Ma-mee (che ritiene di averlo cresciuto in maniera tale che si tenesse lontano dalle cattive compagnie e dall'illegalità) si fa più difficile e ambiguo, la presenza di Cille - tornata a Bois Sauvage per una breve visita - non fa altro che complicare le cose, la perdurante impossibilità di trovare un lavoro "normale" lo spinge verso la tentazione di spacciare anche droghe pesanti, il ponte comunicativo con il fratello si interrompe, la petulanza di Sandman lo esaspera. 
 La catastrofe averrà quando, a casa di Javon, uno dei grossi spacciatori che fornisce a Chris le dosi da distribuire ai tossici della zona, il ragazzo incontrerà nuovamente Sandman, arriverà con lui allo scontro fisico e ne sarà gravemente ferito all'addome con un coccio di vetro. 
 Trasportato di corsa all'ospedale da Joshua, anch'egli feritosi poco prima sul lavoro ad entrambe le mani, Christophe riuscirà fortunosamente a sopravvivere. Durante la convalescenza, circondato dall'affetto dei famigliari e dalle cure amorevoli del fratello, il ragazzo riuscirà a ritrovare il proprio equilibrio e la serenità perduta.
 La trama del romanzo, come si vede, è meno articolata e vivace di quella degli altri libri di Jesmyn Ward; è questo, soprattutto, un testo ricco di atmosfere e di suggestioni, di personaggi appartenenti a un'umanità umile, "sporca" e imperfetta, travagliata da mille problemi, ma tenacemente legata al proprio mondo e impregnata di un'infinita tenerezza.
 Ciò che in gran parte inevitabilmente si perde nella traduzione è il sapore intenso dell'impasto linguistico creato dall'autrice per rappresentare al meglio il pezzo di realtà su cui focalizza la propria attenzione. Non vengono meno, però, né il piacere della lettura, né la capacità del testo di trasmettere le vibrazioni profonde che attraversano quell'universo a sé che è Bois Sauvage, l'eco carica di fascino di quella singolare, armonica dimensione storica, sentimentale e antropologica nella quale sono immersi i suoi abitanti.
 
Voto: 6,5