domenica 11 settembre 2022

Alessandra Carati, "E poi saremo salvi", Mondadori


 Fra le tragedie umane collettive la guerra è la più sconvolgente per via della sua consustanziale assurdità, che rende particolarmente difficile dimenticare il dolore che causa, ricomporre i danni che provoca e trovare una formula efficace che ne scongiuri il ripetersi. Lo vediamo oggi con la voragine che si è aperta nel cuore dell'Europa in seguito all'aggressione russa all'Ucraina; quelli della mia generazione se ne resero conto trent'anni fa con evidenza ancora maggiore quando, poco lontano dai nostri confini, scoppiò il più bestiale dei conflitti, quello in cui si dissolse la Jugoslavia creata da Tito.
 Il romanzo di Alessandra Carati affonda le radici in quegli anni e in quegli orrori. La storia, raccontata in prima persona dalla protagonista, è quella di Aida, una ragazzina bosniaca che, quando i cetnici puntano sul suo villaggio costringendola ad una fuga precipitosa con la madre incinta, ha solo 6 anni. Compiendo un avventuroso percorso non privo di pericoli attraverso i territori dell'ormai ex Jugoslavia, madre e figlia approdano prima in Slovenia e poi in Italia, dove le attende il padre di Aida e dove comincerà per loro una nuova vita.
 Naturalmente il pensiero della patria, improvvisamente abbandonata e poi sconvolta dalla guerra a tal punto da risultare quasi irriconoscibile, continua a ossessionare i genitori di Aida; ma la ragazza, crescendo, matura sentimenti contraddittori nei confronti della sua identità bosniaca. La presenza di Emilia, un'italiana che diventa per lei quasi una seconda madre, favorisce il sorgere in Aida del desiderio di dimenticare tutto quanto è legato al suo vecchio Paese per costruirsi una nuova idea di sé, aderente alla terra che l'ha accolta e alla città, Milano, alla quale sente ormai di appartenere.
 Aida frequenterà il liceo classico e poi, grazie al sostegno di Emilia e di suo marito - che in sostanza decidono di adottarla - la facoltà di medicina. Ma la sua famiglia di origine resterà come un monito a ricordarle che c'è anche un'altra realtà al di là di quella, più facile, alla quale la giovane ha voluto consegnarsi tutta. 
 Sopratutto, in maniera un po' paradossale, a rammentare ad Aida da dove proviene è il fratello Ibro che, sebbene sia nato in Italia, appare radicato alla terra dei suoi avi molto più di lei: non solo ha imparato il bosniaco, infatti, ma sente anche su di sé tutto il disagio per le inaudite violenze delle quali il suo popolo è stato fatto oggetto, e dalle quali il Paese dei suoi genitori e dei suoi nonni è stato insanguinato.
 
Alessandra Carati
 
 Ibro, quasi sentendo su di sé il peso della storia irriferibile dalla quale proviene, cresce come un ragazzo estremamente problematico: incapace di autodisciplina e di concentrazione, non è in grado di tradurre le sue idubbie qualità in un rendimento scolastico anche solo sufficiente; e poi, con l'adolescenza comincia a essere disturbato da nevrosi che l'abuso di stupefacenti a un certo punto trasforma in una vera e propria psicosi, una sorta di malattia autoimmune di un anima intrisa di orrore.
 Il tentativo di curare Ibro grazie anche al supporto di una psichiatra - restia però a calarsi davvero nei drammi del ragazzo - diventa per Aida una vera e propria discesa agli inferi, che la costringerà a fare finalmente i conti, oltre che col buio che ottenebra la mente del fratello, anche con quello che ha ottenebrato tutta una fase della storia della sua patria d'origine.
 Ibro non sopravviverà ai propri drammi interiori, ma lascerà in eredità ad Aida la consapevolezza della necessità di ricucire il tessuto strappato della propria identità, della propria storia e di quelle dei suoi genitori.
 Il libro è bello, e trova nella sua linearità e nella semplicità della scrittura la condizione ideale per invitare a una riflessione su un frammento particolarmente indigesto della storia recente con cui non si sono fatti i conti in maniera definitiva, formulando una condanna irrevocabile del nazionalismo da cui tutto quel male ha avuto origine.
 L'ordinata scansione temporale del romanzo, poi, ci ricorda quanto poco lontani siano quegli eventi che la nostra coscienza tende a confinare in una dimensione remota, quasi a esorcizzarli.
 
In poche parole: fra le tragedie umane collettive, la guerra è la più sconvolgente per via della sua consustanziale assurdità, che rende particolarmente difficile dimenticare il dolore che causa, ricomporre i danni che provoca e trovare una formula efficace che ne scongiuri il ripetersi. Lo vediamo oggi con la voragine che si è aperta nel cuore dell'Europa in seguito all'aggressione russa all'Ucraina; quelli della mia generazione se ne resero conto trent'anni fa con evidenza ancora maggiore quando, poco lontano dai nostri confini, scoppiò il più bestiale dei conflitti, quello in cui si dissolse la Jugoslavia creata da Tito.
Il romanzo di Alessandra Carati affonda le radici in quegli anni e in quegli orrori. La storia, raccontata in prima persona dalla protagonista, è quella di Aida, una ragazzina bosniaca che, quando i cetnici puntano sul suo villaggio costringendola ad una fuga precipitosa con la madre incinta, ha solo 6 anni. Compiendo un avventuroso percorso non privo di pericoli attraverso i territori dell'ormai ex Jugoslavia, madre e figlia approdano prima in Slovenia e poi in Italia, dove le attende il padre di Aida e dove comincerà per loro una nuova vita.

Voto: 6,5