domenica 9 gennaio 2022

Daniele Del Giudice, "Lo stadio di Wimbledon", Einaudi


 Dopo diversi anni di assenza dagli scaffali delle librerie, nel 2021, Einaudi ha ripubblicato lo storico romanzo d'esordio di Daniele Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon. All'autore, da molto tempo affetto dal morbo di Alzheimer, quasi contemporaneamente si è deciso di assegnare il Premio Fondazione Campiello alla carriera; purtroppo Del Giudice si è spento lo scorso 2 settembre, 2 giorni prima di ricevere ufficialmente il riconoscimento.
 Lo stadio di Wimbledon, la cui uscita, nel 1983, fu tenuta a battesimo da Italo Calvino, è uno strano libro, che pone, elabora e rappresenta un interrogativo fondamentale per chiunque si occupi di letteratura: quanto è importante scrivere?
 La questione è affrontata attraverso un'indagine condotta dall'anonimo personaggio che nel romanzo dice "io" - un giovane studioso la cui fisonomia resta piuttosto sfumata - su una delle personalità più affascinanti del mondo intellettuale italiano del Novecento, Bobi Bazlen. Come è noto, Bazlen ebbe un'influenza straordinaria sulla nostra cultura e, in particolare, sulla nostra editoria (promosse la conoscenza di Italo Svevo, di cui era amico, introdusse in Italia Kafka e la psicanalisi, contribuì in maniera decisiva alla nascita della casa editrice Adelphi e all'impiostazione di fondo dei suoi cataloghi), fu un "cacciatore di libri" dal fiuto straordinario, ma in vita non pubblicò niente di suo.
 Il protagonista-narratore de Lo stadio cerca ostinatamente di capire perché Bazlen rinunciò alla scrittura: lo fa recandosi diverse volte a Trieste, la città in cui Bobi visse da giovane e in cui non tornò più - se non di nascosto - dopo averla lasciata, visitando i luoghi che lui frequentava, parlando con i suoi amici e le sue amiche ancora in vita, incontrando Gerti Frankl, la donna immortalata da Eugenio Montale nella poesia Carnevale di Gerti, che fece parte del fruppo ristretto di coloro che di Bobi Bazlen furono più intimi (operando come una sorta di perfido cupido, pare che Bobi inducesse Carlo Tolazzi, il marito di Gerti, a tradirla con un'altra donna, per poi convincere Gerti stessa a unirsi con un uomo a lei "più adatto").
 Di Bazlen emerge così un ritratto piuttosto controverso: quello di un uomo che amava agire su coloro che gli erano vicini quasi manipolandoli, con la pretesa di renderli più felici di quanto non fossero; e c'era chi lo temeva, perché lo sentiva superiore a sé, capace di intuire prima con assoluta chiarezza quello di cui non era semplice rendersi conto. 
 Con i libri si comportava in maniera non dissimile: sapeva capirne al volo l'importanza, cercava di valorizzarli nella maniera migliore, fra di essi andava alla ricerca di quelli che racchiudevano in sé il germe della "primavoltità", quelli non necessariamente più belli, ma certo più originali, più importanti per le loro riposte potenzialità.
 
Daniele Del Giudice
 
  In tutto questo, cosa trattenne Bazlen dal pubblicare qualcosa di suo? Soleva dire agli amici che già c'erano "troppi libri"; affermava di potersi limitare alle note a pie' pagina, ma forse temeva di non essere all'altezza della sua fama, forse sentiva che sarebbe valsa la pena condividere quanto aveva scritto solo se fosse riuscito a creare qualcosa di assolutamente originale, forse era per natura troppo eccentrico e discontinuo e autocritico per produrre uno scritto che fosse realmente condivisibile con un pubblico. 
 Tutto vero, probabilmente, almeno in parte; eppure sembra che per il protagonista risulti assai più convincente l'ipotesi dell'esistenza in Bazlen di una dicotomia tra vita e scrittura che l'avrebbe portato a privilegiare la prima sulla seconda; persino il suo intellettualismo, persino il suo amore per i libri sarebbero stati al servizio di una curiosità e di una vocazione alla conoscenza che, paradossalmente, contemplavano la scrittura come un semplice strumento ausiliario, un surrogato solo talvolta indispensabile dell'esperienza diretta.
 Ed è su queste considerazioni che si innesta la riflessione più personale a cui il protagonista approda, e che lo porta a mettere per iscritto - lui sì - la propria avventura conoscitiva, quasi ad attraversare e a superare di slancio quella sorta blocco, o di rifiuto, o di sprezzatura di cui Bazlen non si era mai liberato, ricucendo lo strappo tra letteratura e vita, restituendo un senso a quell'atto di condivisione della propria esperienza - affinché arricchisca sé stessi e gli altri - in cui la letteratura dovrebbe sempre consistere.
 Tale approdo arriva solo con la visita, in Inghilterra, a un'altra donna protagonista di una lirica di Montale, quella Ljuba Blumenthal che di Bazlen fu compagna fino alla fine, sebbene i due non vivessero insieme. Ljuba parla dolcemente al protagonista, beve il tè con lui, gli mostra alcune vecchie fotografie e dona al giovane studioso che si è messo sulle tracce di Bobi il famoso pullover che a Bazlen apparteneva, e che egli spesso indossava leggendo nella sua stanza a Roma. 
 Ma il giovane - che pure quel pullover avrà caro - ha forse già trovato un'altra via, che lo porta a mettersi personalmente in gioco con la scrittura come non ha fatto l'intellettuale oggetto del suo studio. E la decisione di prendere con piena consapevolezza questa strada, di raccogliere questa sfida, viene forse dalla visita dello stadio di Wimbledon, che sorge non lontano dall'abitazione di Ljuba, e dove il campo da gioco in erba, le tribune e il palco reale vuoti sono d'ispirazione per accettare questo decisivo cimento.
 Il libro di traduce così in un rinnovato (anche se non privo di problematicità) atto di fede nei confronti del gesto dello scrivere.
 
In poche parole: perché Bobi Bazlen non scrisse nulla? Perché ci sono già troppi libri? Perché è difficile disfarsi della sensazione che tutto sia stato detto, e che a quanto è stato scritto si possano aggiungere al massimo delle note a pie' di pagina? Perché per proporre ad altri qualcosa di nuovo bisogna essere certi della sua assoluta originalità? Su questi interrogativi si innesta la ricerca del giovane protagonista-narratore de Lo stadio di Wimbledon sulle tracce di uno dei personaggi più influenti, affascinanti e misteriosi della cultura italiana del Novecento.
Una ricerca che, "attraversando" Bazlen e superandolo di slancio, porta Del Giudice a ricucire quel legame tra letteratura e vita che sembrava aver subito uno strappo, e a ribadire l'essenzialità della letteratura come strumento per condividere esperienze e ampliare i territori propri dell'esistenza umana.  
 
Voto: 7,5  

1 commento:

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