domenica 20 febbraio 2022

Daniele Mencarelli, "Sempre tornare", Mondadori

 


 Un paio di anni fa, il secondo capitolo della trilogia autobiografica di Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza, mi era parso un romanzo straordinariamente potente e ben riuscito, equilibrato in ogni sua parte, capace di una affabilità stilistica che conquistava. 
 Purtroppo non si può dire che Sempre tornare ripeta quell'exploit: ogni cosa appare qui più faticosa e ripetitiva, meno originale, soprattutto aliena da quella felice contaminazione tra "alto" e "basso" che era uno dei punti di forza di quella prova narrativa. Eppure, forse, anche in Sempre tornare non tutto è da buttare via.
 Al centro della narrazione c'è una singolare avventura giovanile del protagonista narratore che, nel 1991, a diciassette anni, nel bel mezzo di una vacanza con gli amici sulla riviera adriatica, dopo un'umiliante brutta figura rimediata una sera nella discoteca Cocoricò di Riccione, decide di salutare il resto della compagnia e di tornare a casa da solo in autostop. 
 Tornare a casa non è uno scherzo: vuol dire percorrere con mezzi di fortuna il lungo tragitto che separe Misano Adriatico dai Castelli Romani.
 Fra l'altro, sventuratamente, Daniele dimentica sull'auto degli amici il portafoglio con documenti e denaro; tutto ciò, in un'epoca che precede l'avvento della telefonia mobile, vuol dire mettersi davvero on the road affidandosi alla buona sorte e - con fiducia - al buon cuore del prossimo.
 Il viaggio durerà in tutto due settimane ed esporrà Daniele ad ogni sorta di emozione, trasformandosi in una vera e propria parabola formativa. Il ragazzo si imbatterà in personaggi di tutti i tipi: come Enrico, un uomo facoltoso e annoiato, tristemente incapace di passioni autentiche, ma disposto ad aiutare e a ospitare nella sua sontuosa villa il bizzarro viandante in cui si imbatte; come Veleno, un burbero, coriaceo pastore, reso ancora più schivo dalla morte recente dell'amata moglie, ma in realtà pieno di altruismo nei confronti di uomini e animali; come Emilio, un solitario tappezziere che ha perso la famiglia per le calunnie seguite a un gesto di generosità gratuita mal interpretato; come Gianni, un ex pilota motociclista che non è mai riuscito a rassegnarsi alla fine dei giorni di gloria sui circuiti, e rende la vita impossibile alla moglie Cécile; come l'insopportabile Agata, ricca e viziata ereditiera che raccoglie Daniele dalla strada un po' per curiosità un po' per noia; come il tristissimo Manlio, prigioniero di un lavoro che non sopporta, di genitori che non riesce a contraddire, di un appartamento cupo e anonimo in cui egli prova a sottrarsi alla disperazione cercando sfogo nel consumo compulsivo di cibo e pornografia. 
 
Daniele Mencarelli
 
 Nei giorni del vagabondaggio, Daniele avrà la possibilità di innamorarsi della graziosa Emma, una ragazza dai corti capelli rossi orfana di madre, che sogna la libertà assoluta, e forse non si rende conto dei rischi a cui questo sogno la espone. A Emma il protagonista dedicherà una poesia che gli terrà compagnia durante tutto il viaggio, alla fine sola vera reliquia della sua eccezionale esperienza.
 Vedrà con orrore un ragazzo di ventiquattro anni morire fra le lamiere contorte della propria auto, in un terribile incidente stradale, e lo shock provocato da quella scena gli farà quasi perdere la ragione.
 Sarà seviziato e rapinato da Walter e Tommy, due giovani tossici in crisi di astinenza, disposti a qualunque cosa pur di rastrellare il necessario per la prossima dose, e questo nuovo trauma minerà alle fondamenta la sua fiducia incondizionata nel prossimo.
 Dormirà dietro un cespuglio, in una stazione, sotto un ponte e - per diciotto ore di seguito, stremato e febbricitante - dentro una spoglia casetta in muratura presso una discarica. Giudicherà tutti quelli che incontrerà e ne sarà giudicato; imparerà a sentirsi addosso gli occhi degli altri e a badarvi il giusto; si accorgerà di quanto è difficile chiedere aiuto, di quanto può essere miserabile e di quanto può dimostrasi grande un uomo, e di come è facile diventare invisibile agli occhi dei propri simili.
 La morale di questa straordinaria esperienza, esplicitata nelle pagine finali del libro, è che "ogni viaggio deve prevedere un ritorno, altrimenti non è viaggio, è randagismo". Tale morale fa nascere la tentazione di accostare il viaggio verso casa di Daniele al poema del ritorno per eccellenza, l'Odissea. In realtà, il domestico provincialismo, il minimalismo, la disordinata casualità e una certa ripetitività delle avventure che il protagonista vive rendono più pertinente il paragone fra lo schema narrativo di cui si giova Sempre tornare e la letteratura picaresca.
 Da un altro punto di vista, quello di Daniele Mencarelli può essere presentato come un vero e proprio romanzo di formazione. Eppure viene da chiedersi: c'è davvero formazione, alla fine, nella sgangherata e quasi autodistruttiva avventura in cui il protagonista si getta con ben poca consapevolezza?
 Forse Daniele non impara molto che possa servirgli in una normale, regolare vita associata, che si sviluppa in un contesto borghese; e tuttavia moltissimo apprende sulla capacità di mettersi nei panni degli altri, sulla precarietà degli aspetti materiali della nostra esistenza, sulla fragilità della nostra pretesa identità individuale, sul valore della generosità istintiva e sulla tenacia che può caratterizzare la cieca volontà di vita in cui più propriamente si esprime il nostro essere uomini. 
 In questo, più che in altro, il libro trova la propria ragione di essere letto.
 
In poche parole: ultimo capitolo della trilogia autobiografica di Daniele Mencarelli, Sempre tornare racconta la singolare avventura vissuta dall'autore quando, nel 1991, a 17 anni, dopo un'umiliante brutta figura rimediata in discoteca durante una vacanza sulla riviera adriatica, decide di abbandonare la compagnia e di tornare a casa - nei Castelli romani - in autostop, senza soldi e senza documenti. Si sarebbe tentati di accostare il viaggio, durato due settimane, pieno di eventi drammatici e trasformatosi presto in un pittoresco vagabondaggio attraverso l'Italia centrale, al poema del ritorno per eccellenza, l'Odissea omerica; in realtà, il domestico provincialismo, la disordinata casualità e una certa ripetitività delle vicende che il protagonista vive rendono più pertinente il paragone fra lo schema narrativo di cui si giova il romanzo e la letteratura picaresca.

Voto: 6 -

1 commento:

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