lunedì 21 agosto 2017

Alberto Rollo, "Un'educazione milanese", Manni


 Questo libro non è banalmente un’autobiografia; l’approccio autobiografico viene invece utilizzato come sensibilissimo scandaglio per definire dimensioni spazio-temporali e profondità di un’avventura culturale che si presta a esemplificare la storia di un’intera generazione e a informare di sé l’evoluzione della concezione urbanistica espressa dall’unica vera metropoli italiana, quella imperniata sulla città di Milano.
 Di quest’avventura culturale l’individuo costituisce il punto di partenza e quello di arrivo, perché solo l’individuo può rappresentare l’unità di misura dell’importanza - e il principio di ipostatizzazione - di qualsiasi storia collettiva e di qualsiasi visione urbanistica: l’individuo che viene effettivamente accolto o respinto, arricchito o irrimediabilmente impoverito, dal punto di vista umano, dall’ambiente in cui si trova a vivere.
 In questo senso acquista una valenza allegorica un episodio che l’autore riferisce e che è relativo ai primi anni della sua infanzia, quando, accompagnato dal padre ad assistere a uno spettacolo tenuto da un gruppo di artisti di strada che cantava canzoni popolari in piazza Prealpi negli anni cinquanta, si smarrì nella piccola folla lì convenuta; allora il cantante, accortosi del bimbo in lacrime, lo sollevò per le ascelle gridando: “Di chi è questo bambino? Milano lo vuole?”. 
 Quel Milano lo vuole? diventa la domanda fondamentale per stabilire la capacità del contesto milanese di rispondere fino in fondo alle aspirazioni del singolo cittadino e al suo bisogno di sentirsi perfettamente integrato nel proprio ambiente. Una domanda che il protagonista-narratore decide di utilizzare come cartina di tornasole per valutare la propria esperienza.
 Alberto Rollo, classe 1951, storico direttore letterario di Feltrinelli (da poco passato a Baldini e Castoldi), nacque a Milano in una famiglia proletaria. Proletaria non significa povera: il padre, metalmeccanico, comunista, originario di Lecce ma perfettamente integrato nel contesto milanese, apparteneva a quella aristocrazia operaia orgogliosamente consapevole della propria specializzazione e dell'importanza del proprio lavoro; messosi in proprio dopo un'esperienza come capo-officina presso la ditta Anceschi di viale Certosa, forniva a una azienda tedesca attiva nel settore tessile dei pezzi per completare le sue macchine utensili di precisione. 
 La madre, già sarta in una delle principali botteghe della città (la casa di moda Bocca), aveva rinunciato al lavoro per la famiglia, ma era tuttavia portatrice di quel sapere tecnico da cui anni dopo sarebbe scaturita l'eccellenza di Milano nel campo della moda.

Alberto Rollo

 La famiglia Rollo visse modestamente ma dignitosamente prima in una della classiche case di ringhiera (in via Grigna, Milano nord), poi - dal 1957 - in uno stabile più moderno e "interclassista" in via MacMahon, all'imbocco del ponte della Ghisolfa. Nella Milano degli anni cinquanta essere proletari significava coltivare con fierezza e assoluta rettitudine la propria coscienza di classe, nutrire una fiducia senza ombre nel progresso sociale e tecnologico e sentirsi parte del cuore pulsante della città, padroni dei suoi spazi, protagonisti del suo ritmo essenziale. Tutto questo, per il piccolo Alberto, costituì un'insostituibile scuola di vita e il primo perno intorno a cui costruire la sua identità.
 Il secondo perno si paleserà nella sua specificità anni dopo, fra la fine degli anni sessanta e gli anni settanta, all'epoca degli studi liceali e poi universitari di Alberto, - che è poi l'epoca della contestazione - e sarà legato ancora una volta a Milano, ai suoi spazi pubblici e privati, alla sua gente. Esso sarà costituito dalla sensibilità, dallo spirito di iniziativa, dalla preparazione culturale, dalle possibilità materiali e dalla capacità di andare oltre se stessa della borghesia progressista milanese, che l'autore cominciò a frequentare grazie ad alcuni dei suoi compagni di scuola e amici, che condividevano le sue convinzioni politiche e la sua concezione del mondo.
 In quell'ambiente, ove non ripiegato su se stesso, Alberto Rollo scorse allora - anche grazie alle figure guida di alcuni compagni, primo fra tutti Marco, scomparso precocemente in un incidente stradale - tutte le potenzialità per abbracciare le virtù della Milano proletaria, trasformandole in forza propulsiva per cambiare in meglio e guidare al meglio la città (e forse l'Italia intera), liberando tutte le sue forze dinamiche.
 Invece dopo la contestazione vennero gli anni di piombo, venne il terrorismo, venne l'assassinio di Aldo Moro (vero spartiacque epocale), e infine gli anni del riflusso, della "Milano da bere", in cui dietro alla patina del benessere la città si smarrì e smarrì la propria anima, i propri equilibri sociali e contemporaneamente la capacità di rigenerarsi dal punto di vista urbanistico.
 Si arriva così - dopo lustri opachi - al giorno d'oggi, alla Milano che rinnova il proprio aspetto al'insegna dell'acquisita internazionalità, sulla scorta delle potenze trainanti della moda, della finanza e dell'editoria, ma per rifiorire veramente è chiamata a trovare una nuova identità che sia insieme sociale e urbanistica; ed è ancora presto per capire se centrerà concretamente questo obiettivo.
 Un simbolo della Milano di ieri che può essere di buon auspicio per la rinascita della Milano di oggi è per Rollo quel singolare episodio architettonico costituito dalla "montagnetta" di San Siro, il celebre Monte Stella, eretto con le macerie lasciate dalla Seconda guerra mondiale da Piero Bottoni, che volle dedicarlo alla donna che amava, la scultrice Stella Korczynska (da qui il nome), e intese porlo davanti alla città come una seconda cattedrale, una promessa di pace, un invito a tenere alto lo sguardo.
 Il libro, anche se non facilmente palatabile è molto bello e soprattutto molto significativo, e avrebbe forse meritato il Premio Strega (a cui era candidato) più del pur degno romanzo di Paolo Cognetti. 

Voto: 7,5

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