venerdì 29 settembre 2017

Philip Roth, "L'umiliazione", Einaudi


 Dopo aver letto nei giorni scorsi un’intervista a Philip Roth, fermo in una rinuncia alla pratica del romanzo che ormai pare definitiva (quasi voglia assaporare fino in fondo il gusto di sopravvivere a se stesso, come un ex grande campione dello sport), mi è venuta voglia di rileggere e commentare una delle sue opere narrative.
 The Humbling, penultimo libro da lui firmato ad oggi pubblicato, è l’ennesimo, breve romanzo frutto della maturità dello scrittore icona assoluta della letteratura americana. Roth prosegue qui la sua analisi della vecchiaia e delle menomazioni che essa porta con sé – vere e proprie anticipazioni della morte –, mettendo in scena la vicenda di Simon Axler, grande attore teatrale che d’improvviso perde la capacità di recitare.
 Nulla, nonostante le cure a cui si sottopone e il lungo ricovero in una clinica per la salute mentale, sembra potergli restituire il talento smarrito, e con esso la serenità, la sicurezza, la precisa percezione dei confini della propria personalità, la consapevolezza della propria sostanza umana.
 Perduto il ruolo che lo definiva, Simon resta esposto a tutti i rovesci che la spaventosa precarietà della sua nuova vita comporta: così, quando si innamora di Pegeen, la figlia ancora giovane – molto più giovane di lui – di due suoi vecchi compagni di recitazione, si rende ben conto del pericolo a cui si espone, il pericolo di essere psicologicamente demolito da un eventuale abbandono; ma non può fare nulla per evitarlo. Tanto più che Pegeen, che in realtà è lesbica, non è mai stata con un uomo, e si sente fondamentalmente attratta soltanto da una declinazione del desiderio erotico per lei inedita.

 Un recente ritratto fotografico di Philip Roth

 Così, quando Peegen puntualmente lo lascia, a Simon non resta che una sola opzione: trovare il coraggio di suicidarsi per recuperare, in qualche modo, la dignità di un profilo umano definito.
 Il libro è interessantissimo: Roth tenta di rappresentare l’uomo nudo, privato totalmente dei suoi punti di riferimento, recuperando in un colpo solo tutta l’esperienza della grande letteratura del Novecento e calandola in un contesto “moderno”; un contesto, cioè in cui il protagonista si illude di saper governare il relativismo che caratterizza la propria dimensione umana, ma alla fine si ritrova comunque a fare i conti con i propri limiti, con la necessità di darsi, ripescandoli nel proprio bagaglio culturale, cardini precisi; anche se recuperarli significa magari scegliere il suicidio.
 Alla fine, al lettore che conosce la storia di Roth e la sua scelta radicale di rinuncia alla scrittura viene un dubbio: che l'abbandono della letteratura sia un tentativo di mettersi alla prova, sperimentando un modo di essere uomo ancorato all'autenticità dei propri principi basilari, al di fuori della rete di protezione della sua brillante immagine pubblica? Se così fosse, L'umiliazione conterrebbe già i germi di un'intima riflessione gravida di conseguenze sulla vita stessa dello scrittore.  

Voto: 8

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