martedì 16 luglio 2019

Colson Whitehead, "La ferrovia sotterranea", Edizioni Sur


 La ferrovia sotterranea è un libro per molti versi sconvolgente: il realismo descrittivo e la finezza psicologica con cui illustra ciò che era la schiavitù dei neri negli Stati Uniti d'America nella prima metà dell'Ottocento - utilizzando il punto di vista di una schiava fuggiasca che, a poco a poco, quando assapora la libertà, comprende la disumana perversione di chi vorrebbe continuare a considerarla alla stregua di un animale o di una cosa - toccano il lettore nel profondo. Gli elementi fantastici di cui la narrazione è tramata, poi, accentuano il pathos del racconto, perché ci aiutano a ricordare come, all'epoca, per quasi tutti gli uomini e le donne soggetti a quel barbaro regime, la prospettiva dell'emancipazione poteva essere solo un sogno.
 Protagonista del libro è Cora, una schiava nera che nasce e cresce in Georgia, nell'infernale piantagione dei Randall, figlia di una schiava, nipote di una schiava. 
 Sua nonna, Ajarry è nata in Africa, ed è stata deportata oltre l'Atlantico insieme a tutta la sua famiglia, della quale è la sola ad essere arrivata viva nelle Americhe sopravvivendo alla tremenda traversata (anche se ella non è mai venuta a conoscenza della sorte dei suoi cari, che ingenuamente pensa lontani e felici).
 Negli Stati Uniti, la donna è stata comprata e venduta molte volte, prima di approdare alla sua destinazione definitiva, la Georgia. Nella sua vita ha avuto tre mariti e molti figli, ma gli uni e gli altri o sono morti per le malattie e le percosse dei sorveglianti, o le sono stati sottratti per essere venduti a un nuovo padrone - come spesso avveniva nelle piantagioni del Sud, senza alcun riguardo per i legami di parentela.
 Ajarri ha dunque concluso la sua esistenza nei campi di cotone, lavorando fino all'ultimo respiro, dopo avere "interiorizzato" la condizione della schiava, rassegnandosi ad essa come fosse la sola possibile per gente con colore della pelle e origini simili alle sue.
 La madre di Cora, Mabel, invece, è rimasta nella storia della piantagione dei Randall perché è l'unica "proprietà" ad aver scelto la fuga senza essere stata poi riacciuffata o uccisa: infatti, ha lasciato la sua baracca nottetempo per attraversare la grande palude che circonda i terreni coltivati a cotone, e di lei non si è saputo più nulla, con grande scorno dei padroni e dei "cacciatori di schiavi"; innanzi a tutti il gigantesco, terribile Ridgeway, l'uomo - alto più di due metri - che tutti temono per la sua forza fisica, la sua violenza e la sua fredda determinazione nel perseguire le tracce degli schiavi fuggiaschi fino agli Stati abolizionisti del Nord, e alla cui perizia di segugio nessuno prima di Mabel era mai riuscito a sottrarsi.
 Il ricordo di Mabel è quindi una ineliminabile spina nel fianco degli schiavisti, perché la sua fuga infonde speranza a quegli schiavi che non si rassegnano ad essere povere cose in balia della volontà altrui.
 Eppure Cora odia sua madre: la odia perché, per tentare la fuga, l'ha abbandonata quando aveva soltanto dieci anni, e perché l'ha lasciata a tutto quello che nella piantagione dei Randall uno schiavo è costretto a subire, a tutto quello a cui è costretto ad assistere.
 A dieci anni, ogni bambino nero smette di essere tale, per diventare un raccoglitore di cotone; ogni piccola infrazione della disciplina, ogni rallentamento dei ritmi del lavoro - qualunque ne sia il motivo - è punito dal sorvegliante Connelly e dai suoi collaboratori di colore (veri e propri kapo ante litteram) con la frusta.
 Il sorvegliante deve anche badare che i ragazzini non imparino a leggere e a scrivere (cosa che i bianchi sentirebbero come una minaccia ai loro privilegi e una conquista capace di mettere in discussione la dottrina dell'inferiorità biologica della razza nera rispetto a quella bianca); qualunque schiavo sia sospettato di avere qualche familiarità con la parola scritta è punito con la morte.

Colson Whitehead

 Connelly, inoltre, è solito scegliere le sue concubine fra le ragazze più avvenenti della piantagione; le giovani non hanno facoltà di rifiutare i suoi approcci; i bambini che nascono dall'unione fra il sorvegliante e le sue amanti-schiave vengono sovente messi a loro volta in vendita.
 Nella piantagione dei Randall, uno schiavo non ha una data di nascita riconosciuta, e non possiede nessun vero diritto, nemmeno quello di coltivare i propri affetti. Il più giovane e il più crudele dei fratelli Randall, Terrence, si diverte spesso a violare le giovani schiave nel giorno stesso delle nozze di fronte ai loro consorti, per il semplice gusto di umiliarli mostrando loro "come si fa".
 E se uno schiavo fugge e poi viene catturato, lo aspettano atroci sevizie e una lenta agonia prima che gli sia concesso di morire, affinché gli altri schiavi, terrorizzati, siano scoraggiati dal tentare a loro volta la fuga. E' quello che accade, davanti agli occhi di Cora, a Big Anthony, che viene ridotto in ceppi e fustigato per un giorno intero col gatto a nove code - mentre i suoi padroni banchettano lentamente - prima di essere amputato del pene, che gli viene cucito in bocca affinché non possa urlare mentre viene arso vivo al cospetto di tutti i suoi compagni costretti ad assistere all'esecuzione.
 Cora, anno dopo anno, dal momento in cui è rimasta sola, ha modo di rendersi bene conto di tutte queste cose, e di sentire crescere in sé la voglia della fuga: quella voglia che forse sentiva anche sua madre, e che è connessa con il persistere del senso della propria umana dignità, con il bisogno di non lasciare che la propria "parte schiava" prenda il sopravvento narcotizzando l'anima.
 Così, quando Cesar - un giovane nero che è cresciuto in Virginia, in un contesto molto meno duro di quello della piantagione dei Randall, dove la sventura lo ha portato - le propone di fuggire, Cora accetta.
 I due ragazzi sfrutteranno la "ferrovia sotterranea"; quella Underground Railroad che, storicamente, era un'organizzazione segreta basata su una capillare trama di relazioni che gli abolizionisti avevano allestito negli Stati del Sud per offrire sostegno materiale e protezione agli schiavi fuggiaschi, ma che nella fantasia romanzesca di Colson Whitehead diventa una vera e propria rete di cunicoli sotterranei percorsi da treni sferraglianti capaci di condurre gli schiavi verso la libertà.
 Grazie all'aiuto di una serie di uomini bianchi disposti a spendersi per gli schiavi a rischio della vita, Cora intraprenderà un viaggio attraverso gli Stati Uniti alla ricerca di un luogo dove i germogli della tolleranza e dell'uguaglianza (teoricamente propugnata dalla Dichiarazione d'Indipendenza, atto fondativo del Paese, ma costantemente disattesa) possano trovare terreno fertile per mettere radici e crescere rigogliosi.
 Cora e Cesar giungeranno dapprima in Carolina del Sud, dove è stato varato un programma di emancipazione dei neri che, però, non prescinde dalla segregazione e dal razzismo (e anzi si basa sulla convinzione che i neri siano esseri inferiori, ai quali si dovrebbe impedire di perpetuare la propria stirpe attraverso un progetto di sterilizzazione forzata di donne e uomini di colore, da imporre progressivamente a tutti gli afroamericani).
 Poi, quando Ridgeway scoprirà il loro rifugio, mentre Cesar (accusato ingiustamente dell'omicidio di un ragazzino bianco) verrà linciato dalla folla, Cora riuscirà fortunosamente a riparare in Carolina del Nord, dove sarà costretta a nascondersi come una ladra, perché, beffardamente, l'abolizione formale della schiavitù (sostituita da una sorta di servitù debitoria dei lavoratori bianchi poveri, per lo più di origine irlandese) ha portato all'attuazione di un tentativo di sterminio di tutti i neri presenti sul territorio dello Stato.
 Nuovamente raggiunta da Ridgeway, catturata e di nuovo rocambolescamente liberata da un gruppo di neri armati al servizio dell'Underground Railroad, Cora sembrerà trovare pace e un nuovo amore nella fattoria dei Valentine, in Indiana; ma anche da lì sarà scacciata dopo gli scontri sanguinari seguiti all'incursione di un gruppo di schiavisti.
 Alla ragazza non resterà che affidarsi al destino, e cercare la salvezza e il miraggio di una vita migliore lungo le strade che portano a Ovest.
 Il romanzo è tutto giocato sull'alternarsi di dati crudemente realistici sulla condizione degli schiavi e della trasfigurazione onirica (condotta talvolta con mezzi quasi surrealistici) di quel complesso di ideali, di desideri e di impulsi generosi che consentirono di arrivare all'abolizione della schiavitù.
 Strutturalmente, la storia di Cora e della sua fantastica avventura alla ricerca della libertà viene interrotta e scandita dalla presentazione dei ritratti di alcuni dei protagonisti della narrazione, che ci consentono di mettere meglio a fuoco le dinamiche emotive, i meccanismi psicologici e gli interessi materiali che regolano l'agire di ciascuno di essi.
 Da tutto questo complesso di elementi contenutistici e di strumenti retorici viene fuori un gigantesco affresco di tenore decisamente espressionistico che ci permette di maturare una consapevolezza prima di tutto sentimentale di quello che fu la schiavitù e di quello che implicò in termini di degradazione dell'essere umano (certo delle vittime, ma in un certo senso anche dei carnefici).
 Tutto il dolore che si impara leggendo, infine, sfocia nell'impressione che troppo spesso ci sfugga la reale portata del fenomeno dello sfruttamento degli schiavi neri in America; di quello cioè che senz'altro si può annoverare tra i più gravi crimini consumati nella storia moderna dell'umanità.

Voto: 8

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