domenica 7 luglio 2019

Vladimir Nabokov, "Lolita", Adelphi


 In una fase storica in cui sembra affievolirsi la consapevolezza di cosa sia la letteratura e di quale sia il suo specifico valore, vorrei soffermarmi su uno dei romanzi in assoluto più rappresentativi dell'importanza della letterarietà; un romanzo di cui - fra l'altro - proprio in questi giorni cade il sessantesimo anniversario dell'uscita in Italia: Lolita di Vladimir Nabokov.
 Il contenuto del libro è noto a molti: la finzione narrativa si sviluppa attraverso la memoria difensiva redatta in carcere dal protagonista Humbert Humbert, in attesa di giudizio per l'omicidio del drammaturgo Clare Quilty.
 Humbert ha ucciso Quilty perché l'uomo gli aveva sottratto la figliastra adolescente Dolores Haze - Lolita -, che egli aveva fatto oggetto dei suoi appetiti pederotici para-incestuosi. Con il suo "rapimento" (al quale la ragazza, stanca della convivenza con Humbert, aveva collaborato attivamente), Quilty perseguiva scopi non meno turpi di quelli di Humbert medesimo: intendeva infatti rendere Lolita protagonista delle riprese di alcuni film pornografici che aveva progettato secondo l'estro della propria viziosa erotomania.
 La materia del racconto, come ognuno può vedere, è assai scabrosa, ai limiti della riprovevolezza; eppure la sostanza della narrazione concepita da Nabokov è quanto di più affascinante si possa trovare in un romanzo.
 Come si ottiene questo effetto? La scrittura è vivace, brillante, raffinata; lo stile fresco, elegante, sofisticato, ricercatamente proteiforme; la voce del narratore appare assai originale, pur estrinsecandosi entro i canoni di un perfetto realismo; i personaggi, nella loro incandescente umanità, sono lontanissimi dai più vieti luoghi comuni; l'intreccio è appassionante, movimentato e, nel contempo, armonicamente costruito. 
 Ma quello che appare miracoloso è l'effetto d'insieme che tutti questi elementi, fondendosi fra loro, riescono a ottenere: una confessione disperatamente sincera, onesta in maniera disarmante, da parte di un uomo che non rinnega nulla di ciò che ha fatto, non prova neppure a denunciare i suoi crimini come se non fossero parte di sé - magari per ingraziarsi coloro che lo dovranno giudicare -, e anzi li ricostruisce minuziosamente esibendo tutte le proprie perversioni e tutte le proprie contraddizioni, per cercare di penetrare lui per primo, e di far penetrare i suoi lettori, nel mistero insondabile della vita, nel mistero irrinunciabile dell'amore.

 Vladimir Nabokov

 Humbert Humbert è ostinatamente smarrito nell'universo solipsistico del proprio sogno, quel sogno bizzarro che in una determinata fase della sua esistenza, incoraggiato da contingenze del tutto casuali, ha voluto trasformare in realtà, imponendolo alla dodicenne Lolita - diventata sua figlia adottiva un po' per caso un po' per forza - senza che ella avesse la possibilità di scegliere se condividerlo o no; uno schema psicologico che, a ben vedere, è alla base di ogni forma di umana sopraffazione. 
 E tuttavia il protagonista trova una via per il riscatto dalla colpa di cui si è macchiato proprio nella sua capacità di mettersi finalmente nei panni di Lolita; pur amando ritornare col pensiero all'epoca della propria gioia per il possesso della ragazzina - alla fase della loro falsa relazione -, il protagonista si scopre realmente innamorato di Lolita quando comprende con dolore quanta parte della sua infanzia egli le ha rubato, e intimamente accetta di rinunciare a lei: tanto da decidere persino di impedire al suo avvocato l'utilizzo della propria articolata memoria difensiva nelle sedute pubbliche del processo, per evitare che Lolita - ormai adulta e trasferitasi in Alaska con il marito Dick - possa essere data in pasto all'opinione pubblica. 
 Con tutto ciò, al lettore non viene offerta una facile morale conclusiva: Humbert rimane un compiaciuto adoratore di "ninfette", un uomo che disprezza i buoni sentimenti che albergano nel cuore dei pacifici borghesi senza grandi pretese, e un assassino che non prova particolare rimorso per  la sorte inflitta all'uomo che ha ucciso.
 In questo libro, piuttosto, il lettore trova un biglietto di andata e ritorno per l'inferno, la garanzia di vivere in prima persona un'esperienza altrimenti non replicabile, e la possibilità di esplorare nelle pieghe del testo una verità irriducibile agli schemi euclidei delle tesi preconcette su cui si fonda il senso comune. Insomma, tutto quello che fa della letteratura una disciplina degna di essere coltivata.
 Mi piace chiudere questa breve ricognizione rievocando i passi del romanzo che, fra i molti celeberrimi e davvero notevoli, io preferisco. 
 Uno, assolutamente memorabile, è quello in cui viene descritto l'idillio in Costa Azzurra fra i giovane Humbert (allora nell'epoca della vita in cui era ancora possibile definirlo un "satiretto") e il suo primo amore Annabelle, la tredicenne che di Lolita diventa la prefigurazione.
 Il secondo, meno citato dagli esegeti, è quello in cui viene descritta Lolita mentre gioca a tennis: una visione di assoluta perfezione estetica, e forse il momento in cui Humbert, pur compreso nella sua ammirazione per la ragazza e la bellezza del suo stile, percepisce per la prima volta Lolita come entità distinta da sé, come individuo la cui autonomia merita di essere salvaguardata e valorizzata.
 Il terzo, il mio preferito in assoluto, è il brano finale del romanzo, quello in cui Humbert prende congedo da Lolita, le esprime tutto il suo amore finalmente disinteressato e purificato da ogni brama di possesso, e le augura ogni bene per il futuro.

"Sii fedele al tuo Dick. Non lasciarti toccare dagli altri. Non parlare con gli sconosciuti. Spero che vorrai bene al tuo bambino. Spero che sarà un maschio. Spero che quel tuo marito ti tratti sempre bene, altrimenti il mio spettro si avventerà su di lui come fumo nero, come un gigante forsennato, e lo dilanierà nervo per nervo. E non ti commuovere per la sorte di C.Q. Si doveva scegliere tra lui e H.H., e si doveva lasciar esistere H.H. per un altro paio di mesi almeno, in modo che egli potesse farti vivere nella coscienza delle generazioni successive. Penso agli uri e agli angeli, al segreto dei pigmenti duraturi, ai sonetti profetici, al rifugio dell'arte. E questa è la sola immortalità che tu e io possiamo condividere, mia Lolita".

 Un passo che confesso di faticare sempre a rileggere senza commuovermi.

Voto: 10

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