domenica 20 dicembre 2020

Louise Glück, "Averno", il Saggiatore

 Averno (qui proposto nella traduzione di Massimo Bacigalupo) non è tanto un libro di poesia sulla morte - tema che, per definizione, si può esplorare seriamente solo in negativo, in absentia - quanto sulla provvisorietà. 
 Il lago vulcanico di Averno, presso Napoli, tradizionalmente ritenuto la porta degli inferi, così, diventa una sorta di specchio delle nostre inquietudini: un luogo metaforico capace di rimandarci il riflesso (non sempre nitido, ma sempre suggestivo) delle modificazioni che la sola idea della morte induce in noi. 
 E' come se l'uomo, unico essere vivente capace di concepire in astratto il pensiero della propria morte, si portasse dentro quest'ombra; e soltanto in relazione a tale oscurità egli potesse riconoscere chiaramente i contorni di quella che chiamiamo "anima", vale a dire l'individuale soffio vitale di ciascuno di noi: "Un volta che potei immaginare la mia anima / potei immaginare la mia morte. / Quando immaginavo la mia morte / la mia anima moriva. Questo / lo ricordo distintamente".
 Il mito che meglio rappresenta letterariamente questo filtraggio delle sensazioni della vita attraverso l'idea della morte è quello Proserpina, la figlia di Cerere, rapita ancora fanciulla presso le rive del lago di Pergusa - ad Enna - da Plutone, che intendeva farne la sua sposa trasformandola nella regina degli inferi. Il mito vuole che Cerere, disperata, impetrasse da Giove di riavere con sé la figlia almeno per sei mesi l'anno; e che, in segno di dolore, stringesse la terra nella morsa del gelo durante i mesi in cui, invece, ella era costretta a dimorare nell'oltretromba.
 Con Persephone the Wanderer, Louise Glück offre della morte due versioni: nella prima, la morte è uno stupro, che si può anche imparare ad accettare come un fatto compiuto, con il ricordo del quale si può convivere, ma che ci segna irrimediabilmente con la sua terribile ineluttabilità: "It is snowing on earth; the cold wind says // Persephone is having sex in hell. / Unlike the rest of us, she doesn't know / what winter is, only that / she is what causes it." (Nevica sulla terra; il vento freddo dice // Persefone sta facendo sesso all'inferno. / A differenza di tutti noi, lei non sa / cosa sia l'inverno, solo che / lei ne è la causa.)
 Nella seconda versione di Persefone, la morte è un "non essere", che non deprime - come nel primo caso - ma spiazza e in parte spaventa con la sua insondabile indeterminatezza; è la vertigine di ciò che non capiamo: "She is dead, the dead are mysteries. // We have here / a mother and a cipher: this is / accurate to the experience / of the mother as // she looks into the infant's face. She thinks: / I remember when you didn't exsist." (E' morta, i morti sono misteri. // Abbiamo qui / una madre e un enigma: questo / corrisponde precisamente all'esperienza / della madre quando // guarda in faccia alla bambina. Pensa: / Ricordo quando non esistevi.)
 
Louise Glück
 
 Fra questi due estremi si dispiega tutta una gamma di sentimenti, di immagini, di concetti, di timori, di speranze che danno sostanza al discorso poetico di Louise Glück: dalla serenità solo parziale dell'autunno della vita - che anche quando è senza nuvole è gravato dal pensiero della fine - ai cambi di prospettiva che l'esistenza ci impone, sotto la volta stellata di un universo che ci illudiamo di dominare ("Darkness. Silence that annulled mortality" - Buio. Silenzio che annullava la mortalità); dallo straordinario processo di trasfigurazione della realtà indotto dai sogni - tale da regalarci la falsa percezione di essere senza limiti - alla complessità dei rapporti umani (compendiati dal legame tra l'autrice e la sorella), fra i quali l'insinuarsi della violenza della morte risulta sconcertante; dall'ingannevole familiarità della natura all'inafferrabile concretezza del tempo.
 La forma lirica dei componimenti in cui questa coerente visione del mondo si esplica contempla diverse varianti, riconducibili però a due modelli principali: l'accostamento di frammenti dal breve respiro narrativo e dalla notevole densità simbolica (si prenda, ad esempio, Fuga: "4. La mia anima fu raggirata: / si legò a un uomo. / Non un vero uomo, ma l'uomo / che fingevo di essere, giocando con mia sorella. // 5. Mi torna in mente - stendermi sul lettino / mi ha rinfrescato la memoria. / La mia memoria è come una cantina piena di vecchie carte: / non cambia mai niente. // 6. Ho fatto un sogno: mia madre cadeva da un albero. / Dopo che cadeva, l'albero moriva: / era sopravvissuto alla sua funzione"); oppure, lo sviluppo di un'argomentazione in cui l'articolato tessuto sintattico incrocia la scansione del verso che isola e valorizza concetti e immagini cardine (come nell'eponimo Averno: "Muori quando il tuo spirito muore. / Altrimenti, vivi. / Puoi non farcela al meglio , ma tiri avanti - / non hai altra scelta. // Quando lo dico ai miei figli / non prestano attenzione. / I vecchi, pensano - / fanno sempre così: / parlano di cose che non si vedono / per coprire tutti quei neuroni che perdono. / Ammiccano fra loro; / senti il vecchio, parla di spirito / perché non ricorda la parola per sedia.")
 I versi più belli della raccolta, a mio parere, sono alcuni di quelli che compongono la poesia Ottobre

A day like a day in summer.
Exceptionally still. The long shadows of the maples
nearly mauve on the gravel paths.
And in the evening, warmth. Night like a night in summer.

It does me no good; violence has changed me.
My body has grown cold like the stripped fields;
now there is only my mind, cautious and wary,
with the sense it is being tested.

Once more, the sun rises as it rose in summer,
bounty, balm after violence.
Balm after the leaves have changed, after the fields
have been harvested and turned.

Tell me this is the future,
I won't believe you.
Tell me I'm living.
I won't believe you.

(Un giorno come un giorno in estate. / Eccezionalmente calmo. Le lunghe ombre degli aceri / quasi malva sui sentieri di ghiaia. / E a sera, caldo. La notte come una notte in estate. // Non mi fa bene; la violenza mi ha cambiato. / Il mio corpo è diventato freddo come i campi spogli; / ora c'è solo la mia mente, cauta e guardinga, / con la sensazione di essere messa alla prova. // Ancora una volta, il sole s'alza come s'alzava in estate; / dono, balsamo dopo la violenza. / Balsamo dopo che le foglie sono ingiallite, dopo che i campi / sono stati mietuti e zappati. // Dimmi che questo è il futuro, / non ti crederò. / Dimmi che sto vivendo, / non ti crederò.)
 
In poche parole: Averno è un libro che esplora - più che la dimensione della morte - il concetto di provvisorietà che l'idea della morte instilla in noi. Tale concetto viene veicolato attraverso la rielaborazione letteraria del mito di Proserpina, la figlia di Cerere rapita da Plutone affinché fosse la sua sposa e la regina dell'Ade. Con Proserpina, l'idea della morte può essere vista come stupro, ferita dell'anima che pulsa costantemente in noi, oppure come "non essere", mistero a cui siamo destinati, ma sul quale nulla possiamo dire. Louise Gluck sviluppa il suo discorso poetico intorno a questi temi, da una parte, mediante l'accostamento di immagini di grande densità simbolica, dall'altra grazie a una suggestiva forma di argomentazione lirica, in cui all'articolazione sintattica dei periodi si sovrappone la scansione ritmica del verso. 

Voto: 7

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