domenica 6 giugno 2021

Teresa Ciabatti, "Sembrava bellezza", Mondadori

 
 Sembrava bellezza è la storia di una nevrosi: quella di una donna che, intimamente, non è mai riuscita ad andare oltre l'adolescente che è stata, il suo permanente complesso di inferiorità, le sue paure irrazionali, le sue fantasie iperboliche, il suo bisogno quasi patologico di rispecchiarsi nella considerazione degli altri.
 L'io narrante è infatti quello di una scrittrice di 47 anni che vive il successo che ha conquistato con il suo ultimo libro e la notorietà che ne deriva - e che ella tende egoticamente ad esagerare - come una rivalsa tardiva ma definitiva nei confronti di tutti coloro che durante l'adolescenza non si accorgevano di lei, non la apprezzavano abbastanza, tendevano a relegarla ai margini della socialità.
 Questi sentimenti vengono enfatizzati dalla persistente influenza dell'ambiente moralmente tossico in cui la protagonista-narratrice si è trovata a crescere: da ragazza, con alle spalle una famiglia medio-borghese benestante ma non ricca, nel cuore degli anni ottanta del Novecento, si è trovata improvvisamente catapultata dalla provincia laziale nell'elegante quartiere dei Parioli a Roma, dove ha cominciato a frequentare un liceo "per ricchi", in cui i compagni di scuola erano i figli di importanti professionisti con un background altoborghese quando non addirittura aristocratico. Lei, sedicenne un poco in sovrappeso, timida, forse goffa e non particolarmente bella (e con il difetto segreto e per lei profondamente destabilizzante di due seni asimmetrici), in quel contesto, si percepiva come un essere assolutamente insignificante al cospetto dei giovani aitanti e sportivi che ammirava da lontano ma che non la vedevano; delle giovani eleganti e raffinate che non la invitavano alle loro feste e probabilmente la compativano.
 Ma ora tutto è cambiato: ora è lei quella famosa, quella "arrivata", quella che ha fatto carriera, quella a cui fare i complimenti e a cui rendere omaggio, sperando nella sua benevolenza.
 Per la verità, ben pochi fra gli ex compagni di scuola si fanno vivi per esprimerle la loro ammirazione, e il suo successo non è forse così straordinario come l'aveva immaginato. In fondo, ella resta una donna vicina ai cinquant'anni, separata dal marito, con una figlia ventenne in perenne conflitto con lei (e che ora, trasferitasi a Londra a studiare, tende a tenerla lontana), piena di amanti che si danno il cambio fra le sue lenzuola senza lasciare tracce significative; e in tutto questo non c'è molto di cui andare fieri. 
 Per fortuna, almeno Federica, leggendo il suo nome in fondo agli articoli pubblicati sui più importanti quotidiani d'Italia e sulle copertine dei libri esposti nelle vetrine delle librerie, l'ha cercata. Federica: la ragazza che, pur appartenendo a una famiglia più in vista della sua, era diventata durante l'adolescenza la sua migliore amica, condividendo con la protagonista un profondo senso di inadeguatezza, dovuto, nel suo caso, alla presenza della sorella maggiore Livia, bionda e bellissima, e desiderata e ammirata da tutti i ragazzi della scuola, talmente sicura di sé da lasciare l'incantevole Massimo "perché ce l'ha piccolo" e da salire in macchina, fuori dal liceo, con un fotografo di quelli che allora potevano aprire alle ragazze di bell'aspetto le porte della carriera cinematografica; senza dare peso alle paure diffuse che dopo le sparizioni di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori volevano le graziose fanciulle romane costantemente esposte al pericolo di essere rapite salendo sulle automobili di sconosciuti (o, secondo una leggenda metropolitana che godeva di un certo credito, entrando nei camerini, dotati di botola traditrice, di un famoso negozio di abbigliamento di via del Corso...).
 
Teresa Ciabatti

 Livia, in realtà, era attesa da un destino diverso, seppur altrettanto crudele: anch'essa rosa da un tarlo segreto nonostante la sua popolarità, dando corso a un tentativo di suicidio pochi giorni prima del suo diciottesimo compleanno, si è salvata, ma è rimasta mentalmente menomata, come congelata nella vacuità di un'eterna adololescenza.
 Ora, ironicamente, dopo aver ricominciato a frequentare Federica e a scambiarsi confidenze con lei quasi come un tempo, la protagonista si trova a fronteggiare nuovamente tutto il disagio dei suoi sedici anni quando l'amica le chiede di prendersi cura per qualche giorno proprio di Livia che, vista la fanciullesca sventatezza di cui è prigioniera, ha bisogno di essere continuamente sorvegliata.
 Accanto a Livia, la nostra scrittrice, rivedrà dopo trent'anni Massimo, uno dei suoi sogni erotici degli anni del liceo e, soprattutto, sarà assalita dal fantasma di un suo imbarazzante segreto risalente alla notte del tentativo di suicidio di Livia; quando ella, dormendo a casa di Federica, aveva visto la sorella dell'amica alzarsi in camicia da notte rosa, varcare la finestra aperta e salire sul cornicione, ma - paralizzata da una ridda di sentimenti contrastanti - non aveva fatto nulla per fermarla.
 L'ineludibile ricordo pone la protagonista di fronte a una domanda che compendia tutte le sue remore nei confronti del proprio passato, le questioni irrisolte, i traumi insuperati, le vergogne che ancora bruciano: è possibile porre rimedio alle mancanze e agli errori che pesano sulla nostra coscienza, o la pretesa di maturare fino al punto di acquistare la capacità di rammendare gli strappi del tempo è solo una pia illusione? La domanda rimane senza risposta, anche se è forte il sospetto che il nostro smarrimento esistenziale sia immedicabile.
 Il libro è piuttosto interessante nella sua concezione, e l'io narrante riesce ad attirarci nel labirinto delle proprie angosce. Permane però un sospetto di frivolezza a proposito della mentalità nell'ambito della quale queste angosce, di fatto, prendono forma e si sostanziano; sospetto avvalorato dalla ripetitività (a volte addirittura lievemente compiaciuta) con cui si ritorna sulle situazioni che generano il disagio e dallo stile tutto sommato un po' sciatto con cui tale disagio viene descritto e analizzato. 
 Resta insomma la sensazione di qualcosa di irrisolto: come una confessione a metà, o pronunciata a mezza bocca. Fra i candidati al premio Strega di quest'anno, Sembrava bellezza non mi sembra francamente la proposta migliore.
 
In poche parole: Sembrava bellezza è la storia di una nevrosi: quella di una donna che, intimamente, non è mai riuscita ad andare oltre l'adolescente che è stata, il suo permanente complesso di inferiorità, le sue paure irrazionali, le sue fantasie iperboliche, il suo bisogno quasi patologico di trovare conferma nella considerazione degli altri. 
Persino quando raggiunge il successo come scrittrice, i fantasmi del passato continuano a perseguitarla, fra l'illusione di porre rimedio agli errori di trent'anni prima, le remore delle occasioni perdute che non si ripresenteranno, la pretesa di essere una persona migliore di un tempo, il sospetto di essere predisposta a cadere sempre nelle stesse trappole.
Di tutto questo è simbolo Livia, la bellissima sorella della migliore amica della protagonista, che una caduta dall'alto ha menomato, trasformandola in una immagine fossile degli anni della giovinezza e della società pariolina degli anni ottanta, in cui l'ex ragazza che ci racconta la sua storia non può fare a meno di specchiarsi.
In realtà, permane un po' di frivolezza nella descrizione di questi meccanismi psicologici; frivolezza che, associata a qualche cedimento stilistico rende questa prova narrativa non del tutto convincente. 

Voto: 6 -

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