domenica 16 dicembre 2018

Patrick Modiano, "Ricordi dormienti", Einaudi


 In un'epoca in cui quasi tutti gli scrittori, indipendentemente dalla loro caratura letteraria e dalla loro impostazione stilistica, si adeguano ai moduli di una narratività linearmente distesa, Patrick Modiano si dimostra capace di fare suo un modo di raccontare diverso: un procedimento che, sovvertendo l'ordine logico e cronologico degli avvenimenti presentati, si può ben ricondurre all'ambito dello sperimentalismo antinarrativo così lontano dalle mode attuali.
 Lo si vede bene in  questo Ricordi dormienti (Souvenirs dormants), dove lo scrittore che ha fatto della persistenza fisica della memoria la cifra caratteristica della sua poetica prova ad andare oltre se stesso per esplorare i territori incogniti delle potenzialità non realizzate, gli ingannevoli fantasmi del ricordo di ciò che avremmo voluto o potuto effettivamente fare ma che, alla fine, non abbiamo fatto.
 Il fenomeno messo a fuoco è quello per cui gli atti solo immaginati, attraverso il filtro della memoria, riescono talvolta ad assumere uno statuto di realtà addirittura pari o superiore a quello del ricordo di situazioni concretamente vissute.
 In questo modo, verità e fantasia, attestazioni documentarie e vaghe supposizioni tendono a confondersi facendo apparire la struttura mnemonica intorno alla quale è costruita la nostra personalità qualcosa di quantomai impalpabile e precario: qualcosa che è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.
 La frase chiave che spiega come sono concepite le avventure che costituiscono i pezzi del frammentato racconto di questo libro appare verso la fine del romanzo, mentre il protagonista narratore, dopo aver ritrovato un foglio dall'inchiostro stinto che riporta misteriose indicazioni stradali - forse vergate da uno sconosciuto - per raggiungere una località da lui mai visitata fuori Parigi, accarezza l'idea di recarsi veramente in quel luogo. Riflettendo sui propri atti mancati, il protagonista dice allora : "Migliaia e migliaia di sosia di te stesso si avventurano sulle migliaia di strade che non hai imboccato ai crocevia della tua vita, e tu che credevi che ci fosse una strada soltanto".

Patrick Modiano

 E' da qui che bisogna partire per capire come lo stralunato Jean, dopo essere caduto preda di una estemporanea vertigine sul lungosenna, di fronte a un libro il cui titolo evoca per lui un tempo lontano, richiama alla memoria - in un disordinato resoconto - le donne da lui incrociate negli anni sessanta del Novecento, intorno ai suoi vent'anni, o poco prima, o poco dopo, e che poi ha perso di vista, o che ha piantato in asso senza sapere bene perché: dalla "figlia di Stioppa" (un misterioso amico russo di suo padre) a Mireille Uruzov, l'attrice che lo ospita nel suo appartamento parigino in occasione della sua fuga da un collegio in Alta Savoia; da Geneviève Dalame - appassionata di scienze occulte - alla sua esperta amica Madeleine Péraud; dalla signora Hubersen all'anonima ragazza soccorsa da Jean nel 1965 - forse solo con la fantasia - dopo essere rimasta coinvolta nell'omicidio di un comune conoscente.
 D'altra parte non è affatto certo che sia davvero Jean il protagonista di quelle avventure: persino lo statuto identitario del soggetto perde insensibilmente, progressivamente determinatezza.
 Nel vortice nebuloso di avvenimenti parzialmente decontestualizzati - o riferiti in maniera sommaria e imprecisa - che si succedono e si confondono nella narrazione senza che sia individuabile altro filo logico da quello costituito dalla dichiarata aleatorietà degli incontri che segnano una vita, ogni cosa assume una consistenza quasi onirica, che affascina e intriga con la lusinga delle domande senza risposta che fa nascere.
 La lettura risulta così piacevole, interessante e anche paradossalmente scorrevole.

Voto: 6,5    

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