domenica 2 dicembre 2018

Antonella Anedda, "Historiae", Einaudi


 Il sentimento dominante di questa raccolta di Antonella Anedda è una composta afflizione che deriva dal convergere della prospettiva della morte, della propria sofferenza individuale e dell'osservazione del dolore degli altri, e si risolve in un ostinato, attento bordeggiare tra i gorghi dell'angoscia e quelli della più profonda desolazione.
 Sei sono le sezioni in cui il libro è diviso: Osservatorio, l'eponima Historiae, Occidente, Animalia, Anatomie e Futuro anteriore.
 In Osservatorio fa inizialmente capolino la lingua sarda, utilizzata in maniera piuttosto originale: non viene infatti presentata come uno strumento per restituire la realtà in maniera più schietta, immediata, autentica, come talvolta pretende di fare chi scrive in dialetto; piuttosto funge da controcanto emotivo al piglio analitico del testo italiano, che traduce o da cui è tradotta (nello stesso componimento, lo stesso contenuto è presentato talvolta prima in sardo e poi in italiano, talaltra prima in italiano poi in sardo). 
 La vanità della presunzione umana, l'indifferenza delle leggi della natura alla presenza dell'uomo, la nostra impermanenza individuale rispetto agli elementi che compongono l'universo è qui messa a fuoco con precisione in versi di una certa efficacia (si veda Sciami, fotoni: "All'improvviso invece in un angolo del letto / è apparso il sole, scavava silenzioso una sua strada / verso un luogo dove s'irradia luce / e non esistono i pronomi."; o anche Nuvole, io: "Alla fine torno all'io che finge di esistere, / ma è una busta come quelle usate per la spesa / piena di verdura o pesce surgelato."; o ancora Macchina: Ogni sette anni si rinnovano le cellule: / adesso siamo chi non eravamo. / Anche vivendo - lo dimentichiamo - / restiamo in carica per poco.").
 In Historiae l'attenzione viene rivolta a coloro che, più di tutti, nella nostra epoca, sono l'emblema della fatica del vivere, della sofferenza, della lotta talvolta vana per conquistare il diritto a sperare: i migranti. Nella più politica delle sezioni della raccolta, rifacendosi a Tacito, che in Annales è esplicitamente citato nel testo del componimento, e di cui in Esilii viene riportato in esergo un passo famoso ("… plenum exiliis mare, infecti caedibus scopuli"), il fenomeno delle migrazioni, con le immani catastrofi di cui è costellato, viene descritto con un approccio che dall'epica trascolora presto nella tragedia, con un'attenzione spasmodica ai particolari macabri della morte violenta ("Oggi penso a due dei tanti morti affogati / a pochi metri da queste coste soleggiate / trovati sotto lo scafo, stretti, abbracciati. / Mi chiedo se sulle ossa crescerà il corallo / e cosa ne sarà del sangue dentro il sale"; "Il sangue si raccoglie in basso e si raggruma / prima rosso poi livido infine si fa polvere / e può - sì - sciogliersi nel sale").

Antonella Anedda

 Ma le Historiae raccontate non sono solo quelle degli altri: irrompe qui anche il tema assai ingombrante del rapporto con la malattia e poi la morte della madre, e quello della complessità del sentimento amoroso, trattati in versi che sono fra i più belli che si possono leggere qui ("Quando mia madre nuotò per l'ultima volta / il mare stormiva come un pioppo"; "Era lei, nel vapore salito dai cespugli? / La chiamai pur sapendo anche io come tanti / che la risposta sarebbe stata il silenzio, / eppure emisi un suono / percependo nella mite pazzia di quel richiamo / il lembo di una stoffa, l'orlo di un gomito, la pelle"; "Somiglia a un pigiama e ha un odore di lama / e ci sono altre cose: l'asciugamano che si può scambiare / le poltrone vicine davanti al televisore / l'insofferenza per le reciproche mancanze / che però si svuota come si fa con le buste della spesa. / Molte leggende, il sesso sopravvalutato / ma non la solitudine che segue").
 Occidente, la più breve delle sezioni, getta un ponte fatto di suggestioni tra le periferie delle nostre città e i paesaggi di un mondo che non appartiene alla sfera culturale dell'Occidente, che ci domina e ci determina con le sue regole e i suoi luoghi comuni.
 Animalia trasforma l'osservazione di specie diverse dalla nostra, e la constatazione che la nostra stessa sofferenza riguarda anche gli animali, in una forma di espressione lirica che, sostanziandosi in una pietà profonda per il comune destino di tutti gli esseri viventi, risulta lievemente consolatoria ("L'ape dormiva la sua morte di ape senza miele. / Stavolta ho spalancato i vetri, ho soffiato con forza / e si è posata un'ultima volta sulla terra bagnata"; "Vieni mio solo amore del momento / teniamoci vicini, riposa sul mio letto / - un tocco di tepore prima che la notte cada / e ci separi -, mio gatto bianco e grigio"; "Oggi mi cura guardare un grumo di formiche: / il pulsare del nero, l'affannarsi a ridosso di una tana / il filo di necrofori con un moscerino, / lo stuolo di operaie in marcia / verso il loro villaggio da preistoria").
 In Anatomie torna ad affacciarsi la lingua sarda, che questa volta, nella sua essenzialità, serve ad addomesticare il dominante pensiero della morte, a renderlo meno ossessivo, meno cupo, più famigliare ("Non tenes baule 'e istrisinare in supr'e nie / ma unu cane a tremula in s'iscuriu" - Non hai bara da trascinare sulla neve / ma un cane che trema nel buio).
 Infine, Futuro anteriore celebra l'accettazione della nostra precarietà individuale, della serenità che è capace di donarci la prospettiva secondo la quale il mondo continuerà a esistere anche dopo la nostra scomparsa ("per qualcuno non diventerà mai sera, / qualcuno porterà fuori l'immondizia / e ascolterà lo scroscio della pioggia improvvisa").
 La più bella delle poesie qui raccolte, a mio parere è Perlustrazione 1, sulla morte della madre:

Entro con mia madre nella morte. Lei ha paura.
Cerco nella mia filosofia qualcosa che ci aiuti,
parlo della cicuta e degli stoici,
dico la solita frase che quando noi ci siamo, lei, 
la morte, scompare, ma non funziona
anzi cresce dentro di me il terrore.
Aspetta, le dico mentre dorme ora vado a guardare.
Perlustro la zona (sarà quella?)
solo per constatare che non c'è difesa,
che il suo spazio, quello che la fisica dice
sia presente fin da quando nasciamo,
è sguarnito di ogni compassione
e il tempo è davvero il buco che divora.
Allora mi stendo contro di lei dentro il suo letto.
Aspetto come smette il suo odore mentre muore.

Voto: 6,5

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