Come si può scrivere un’autobiografia senza rinchiudersi
nell’angustia di una prospettiva radicalmente personalistica, anche qualora si
riescano a eludere i rischi dell’autoindulgenza o della smodata celebrazione di
sé? Come si può, contemporaneamente, provare a cogliere le caratteristiche, gli
avvenimenti, i momenti essenziali della propria epoca storica, senza scivolare
in luoghi comuni da divulgazione giornalistica o senza adottare, al contrario,
uno sguardo troppo eccentrico e distorto?
Ci prova in questo ottimo libro la scrittrice francese Annie
Ernaux, classe 1940, che compie un’operazione stilisticamente assai
interessante: fin dall’inizio evita di parlare di se stessa dicendo “io”, e
rinuncia – per così dire – ad essere la protagonista unica della propria
storia; pone invece in primo piano gli anni che ha vissuto, distillandone sulla
base dei propri vividi ricordi il senso, il clima morale, le immagini indelebili.
Soggetto e testimone di tutto ciò che accade non è quindi un singolo individuo,
ma tutta una generazione: da qui l’uso abituale del “noi” per descrivere,
rievocare, raccontare.
Solo a tratti l’inquadratura “si stringe” e pone al centro
della scena la Annie di un tempo, narrandola però sempre in terza persona, e
soffermandosi su singole istantanee che la colgono ad età diverse, in momenti
differenti, ma tutti ugualmente significativi, della sua esistenza.
In questo modo è come se l’autrice utilizzasse il suo io
semplicemente per filtrare tutto il tempo che l’ha attraversata, trasformando
se stessa in una sorta di setaccio che spesso è solo accarezzato dal flusso
degli avvenimenti, mentre altre volte ne trattiene cospicui frammenti, ne viene
colpito, deformato e modellato.
Un'immagine giovanile di Annie Ernaux
Si rivivono così i primi anni del dopoguerra, le tavolate
famigliari nella provincia francese, quando, riemersi dalle asprezze della
guerra d’occupazione, si alzavano i calici per brindare “ai crucchi, che non ne
berranno”. Nei pomeriggi d’infanzia si sognava Parigi, lontana solo 140 km
eppure quasi irraggiungibile, e si seguiva sulle cartine il percorso del Tour
de France; ci si appassionava al dibattito sul raccapricciante affaire Dominici, e si guardava con
diffidenza alla scuola e all’istruzione, almeno al di sopra di un certo
livello.
E poi il progredire degli anni cinquanta: Sartre era sempre
un’icona, De Gaulle sembrava destinano a vivere in eterno, ma l’ineluttabile
processo di decolonizzazione presentava un conto salatissimo alla Francia, con
la sconfitta in Indocina e l’infuriare della guerra d’Algeria. Per una ragazza,
crescere voleva dire andare alla ricerca di modelli diversi dalla propria madre
e dall’infinita catena di mogli e madri che l’avevano preceduta, e dunque
aspirare all’indipendenza in un mondo in cui la donna non era per nulla padrona
del proprio corpo, e il sesso era un continente sconfinato, attraente e
proibito.
Per Annie l’età adulta, l’epoca delle scelte – e degli errori
a cui è difficile porre rimedio – arriva prima del maggio 1968, ineludibile
spartiacque sentimentale e culturale, che cambierà irreversibilmente la
società, ponendo una pietra tombale sull’intollerabile bigotteria del passato,
su mille censure e paure, e aprirà un’epoca di fughe in avanti, di frenate, di
entusiasmi e di malesseri, di sogni meravigliosi e di attese deluse.
Tutto quello che verrà dopo ne sarà in qualche modo influenzato:
la ricerca di una maggiore autenticità, la frustrazione derivante dal confronto
fra il proprio anelito di assoluto e la mediocrità del quotidiano, l’eterna
insoddisfazione per la politica e i politici, il tentativo di Annie di sfuggire
alla prigione dei problemi contingenti per rifugiarsi in una sorta di “tempo
palinsesto”, che le consenta di “ripercorrere” il già visto e il già vissuto
con una consapevolezza maggiore della prima volta.
Un recente ritratto fotografico di Annie Ernaux
Importante è rilevare come in questo libro, nel complesso
intrecciarsi di avvenimenti pubblici e privati, l’atteggiamento con cui si
guarda al passato è fondamentalmente contemplativo più che storicisticamente impostato,
anche se la memoria si organizza intorno ad alcuni principi guida di valore
assoluto e ad alcune idee “forti”, che consentono ad Annie Ernaux di
interpretare le stagioni di cui ha fatto esperienza, di prendere posizione e di
esprimere giudizi molto netti su fatti e personaggi, suddividendo la propria
vita in “tappe” ben definite: così, l’antifascismo è una costante culturale della
sua formazione (e l’appartenenza alla sinistra, qualunque fisionomia essa
assuma, ne è l’eredità); il ruolo cardine del maggio 1968 è il punto fermo
della sua giovinezza, soprattutto per la rivoluzione della morale sessuale e
per l’emancipazione della condizione femminile (con l’introduzione dell’aborto)
che ne furono le più dirette conseguenze; l’esigenza di “rivivere” il tempo
trascorso per recuperarlo e meglio comprenderlo, affrancandosi in qualche modo
dall’indeterminatezza del presente, è il portato essenziale della maturità.
Il risultato che ne scaturisce è assolutamente notevole; il racconto è sempre vibrante, non vi sono passaggi a vuoto. Il lettore ne è conquistato, e la lettura risulta piacevole dall'inizio alla fine.
Voto: 7+
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