Libro vincitore – con pieno merito – del premio Campiello
2015.
Ninetto Giacalone è un bambino siciliano di 9 anni che, in
seguito alla paralisi che colpisce la madre, è costretto prima ad abbandonare
la scuola per contribuire al sostentamento della famiglia, poi a lasciare la
nativa San Cono, suo padre, la sua casa e tutto il suo mondo per partire al
seguito di un semplice conoscente, Giuvà, alla volta di Milano in cerca di
fortuna.
È il 1959, e sul treno pieno di emigranti come lui, Ninetto
(detto “pelleossa”) porta con sé solo il ricordo del suo fraterno amico
Peppino, il quaderno regalatogli dall’indimenticabile maestro Vincenzo Di
Cosimo – con l’invito a tenervi un diario –, e il sogno di diventare un poeta.
A Milano, in principio, il ragazzino evita di “dormire alla
luna” solo grazie all’ospitalità di alcuni parenti di Giuvà (che peraltro gli
offrono una sistemazione piuttosto sgradevole), ma imparerà prestissimo a
cavarsela da solo: troverà lavoro dapprima come galoppino per conto di una
lavanderia, poi come muratore, infine, al compimento del quindicesimo anno di
età, entrerà come operaio all’Alfa Romeo di Arese. Prima ancora, però, sposerà
Maddalena, una piccola calabrese – sua coetanea – lavorante in un pastificio industriale.
In realtà, nella tessitura romanzesca, l’epoca avventurosa
dell’approdo a Milano è rievocata da un Ninetto ormai cinquantasettenne, che ha
appena finito di scontare dieci anni di carcere. In prigione – come si scoprirà
solo nella parte finale del romanzo – il protagonista-narratore del libro ci è
finito per via della conseguenze di una sorta di raptus di gelosia: Ninetto ha
infatti accoltellato Paolo, fidanzato della figlia Elisabetta (avuta dalla
sempre fedele Maddalena, che gli è rimasta vicina nonostante tutto), dopo
averli sorpresi mentre si scambiavano effusioni in cantina.
Rievocare il suo ormai remoto passato da emigrante serve a
Ninetto per prendere le misure a una Milano che non riconosce più (e che non
offre più nessuna delle infinite possibilità di un tempo), a provare a
tracciare un bilancio della propria esistenza (paradossalmente, gli anni “tranquilli”
vissuti come operaio all’Alfa Romeo gli sembrano ora i più grigi e tristi che
abbia vissuto) e, soprattutto, a raccogliere le idee per realizzare quella che
è diventata la sua più alta aspirazione: affidare alla piccola Lisa, la bambina
che Elisabetta e Paolo hanno avuto dopo essersi sposati – e che da Ninetto
viene accuratamente tenuta lontana – la storia della sua vita.
Marco Balzano festeggia la conquista del "Campiello"
Il libro è decisamente bello, possiede una grande freschezza,
e il racconto della vita del piccolo emigrante svolto attraverso la viva voce e
il punto di vista del Ninetto adulto, – che peraltro evita ogni forma di
autocommiserazione – è a tratti quasi commovente.
Marco Balzano, con un’operazione di una certa raffinatezza,
cerca di ricreare la parlata ibrida degli emigranti trasferitisi dall’Italia
meridionale in Lombardia e ivi rimasti: un curioso impasto del dialetto
siciliano (originario del protagonista), di un italiano “scolastico” e delle
sue interferenze con l’oralità del dialetto milanese. Ne viene fuori una lingua
che riesce sufficientemente “vera”, diretta e vivace, elaborata e nello stesso tempo semplice da capire per il
lettore.
Questa lingua informa di sé l'intero romanzo, conferendogli un'impronta stilistica inconfondibile, che rende questo libro senz'altro più maturo rispetto alle precedenti, pur gradevoli, prove narrative dell'autore: Il figlio del figlio e Pronti a tutte le partenze.
Voto: 7
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