martedì 21 giugno 2016

Kent Haruf, "Crepuscolo", NNeditore


 Secondo capitolo della “Trilogia della pianura”, il terzo pubblicato in Italia (dopo Benedizione, atto conclusivo del ciclo, e Canto della pianura), Crepuscolo è un classico romanzo corale, in cui le vicende di diversi personaggi, accomunati dal fatto di vivere a Holt, immaginaria cittadina a vocazione agricolo-commerciale in Colorado, a volte si incrociano generando conseguenze inattese, altre volte si sfiorano paradossalmente senza toccarsi.
 Protagonista assoluta di tutte le storie narrate è la quotidianità, che stempera e attutisce ogni cosa – dai grandi affetti ai grandi dolori, dai comportamenti più meschini ai più sorprendenti gesti di generosità – dentro lo scorrere normale dei giorni e dei mesi, nella prospettiva limitata di una serie di esistenze individuali, per di più spesso votate alla solitudine.
 Vi sono due anziani fratelli, Harold e Raymond McPheron, che quando Victoria Roubideaux (teen mom cui avevano offerto ospitalità insieme alla sua bambina nel momento in cui non aveva più un posto dove stare) si trasferisce a Fort Collins per frequentare l’Università, si ritrovano desolatamente soli nella loro vecchia casa, nel mezzo del loro allevamento di bestiame fuori dall’abitato.
 Vi sono Luther e Betty, che vivono in una roulotte insieme ai loro figli Joy Rae e Richie, ma faticano a badare sia a loro stessi sia ai bambini, e riescono a sbarcare il lunario e a svolgere le più elementari incombenze domestiche solo grazie alle attenzioni e alle sollecitazioni dell’assistente sociale Rose Tyler (che saprà concedere la propria affettuosa amicizia anche a Raymond McPheron, quando costui perderà tragicamente il fratello).
 Vi è Hoyt Raines, lo zio di Betty, un ubriacone rissoso e violento incapace di tenersi una donna e un lavoro per più di qualche settimana, che non esita a sfogare i propri accessi di collera sui piccoli Joy Rae e Richie.
 Vi è DJ, un undicenne orfano di entrambi i genitori che vive col nonno ultrasettantenne, e si prende cura di lui come e meglio di un adulto; affrontando a viso aperto Hoyt Raines per difendere la cameriera di un pub da lui infastidita mostrerà a tutti di essere davvero più uomo di molti uomini fatti.
 Vi è Mary Wells una giovane donna abbandonata dal marito che pare sempre sul punto di lasciarsi andare, mentre la figlia maggiore Dena trova conforto dalla latitanza della madre a dall’assenza del padre nell’amicizia speciale proprio con DJ, suo coetaneo e loro vicino di casa.

Kent Haruf

 Nel seguire il racconto di tutte queste storie, tramate di gioie ordinarie e di ordinari dolori, ciò che più rimane impresso è la sobrietà della scrittura; una scrittura piana, scorrevole, ma non minimalista, anzi eminentemente descrittiva, e capace di utilizzare le descrizioni come strumento per aderire alla banalità talvolta sconcertante con cui accade quello che accade, alla semplicità con cui quello che c’è dichiara il proprio diritto a esistere.
 È ben percepibile, da parte di Haruf, lo sforzo di mantenere sempre un’assoluta onestà narrativa al cospetto del reale, forgiando uno stile che codifica letterariamente una visione del mondo perfettamente compartecipe della sofferenza degli uomini e del loro bisogno di reciproco accudimento, senza però esplicitarne mai la sostanza nella patetica proposta di chiavi di lettura preconfezionate delle vicende raccontate.
 Insomma, se nel lettore nascono sentimenti di pietà, di comprensione, di umana solidarietà per quello che avviene ai personaggi, questi stati d’animo sono già inscritti nelle cose narrate, e non artificialmente suggeriti dalle parole che li narrano.
 E questo, di solito, è indizio sicuro di essere in presenza di uno scrittore notevole.

Voto: 7+    

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