lunedì 11 luglio 2016

Alessandro Donati, "Lo sport del doping", Edizioni GruppoAbele



 Il libro è del 2012, ma vale più che mai la pena riprenderlo in mano ora, dopo i recenti veleni e sospetti che si addensano intorno alla nuova, sconcertante positività al testosterone sintetico riscontrata in seguito all’analisi di un campione di urine del marciatore azzurro Alex Schwazer, proprio alla vigilia delle Olimpiadi di Rio de Janeiro.
 Fra vivissimi ricordi personali e dati oggettivi meticolosamente raccolti e sapientemente collazionati, Alessandro Donati – grande allenatore della nostra atletica leggera, sempre in prima linea nella lotta al doping – ripercorre dall’inizio degli anni ottanta a oggi la storia delle sofisticazioni medico-farmaceutiche nello sport italiano di vertice (e non solo).
 Scandalose le reiterate complicità fra medici, allenatori, dirigenti sportivi e atleti che emergono con chiarezza e che si sono riproposte generazione dopo generazione: risultano coinvolti personaggi mai puniti come Francesco Moser, Alberto Cova (un mito della mia infanzia), Manuela Di Centa, Silvio Fauner, Maurilio De Zolt, e tanti altri.

 Il tecnico Alessandro Donati

 All’origine della mala pianta del doping nel nostro paese c’è la figura dell’accademico ferrarese Francesco Conconi: impressionanti le pagine in cui si racconta delle sperimentazioni da parte di Conconi dell’eritropoietina su se stesso, fino ad arrivare, a 56 anni, a completare la salita in bicicletta al passo dello Stelvio in soli due minuti in più di Moser.
 Conconi si lasciò dietro una scia di irrisolte ambiguità nella quale, in anni più recenti si è inserito un suo allievo, il famigerato Michele Ferrari.
 Si arriva a parlare anche del caso di Alex Schwazer – non ancora allenato da Donati all’epoca della stesura del libro –, clamorosamente trovato positivo una prima volta ad un controllo effettuato prima dell’ultima Olimpiade di Londra: per Donati è impensabile che l’altoatesino abbia assunto autonomamente sostanze proibite senza avere alle spalle quella rete di supporto a livello federale che è solita pretendere grandi risultati a qualsiasi costo dagli atleti di punta, salvo abbandonarli al loro destino se l’imbroglio che sono stati incoraggiati e aiutati a mettere in atto viene scoperto.
 La morale che si ricava è che la rivoluzione copernicana di cui lo sport italiano avrebbe bisogno non è ancora stata compiuta.

 Manuela Di Centa, campionessa olimpica, parlamentare e dirigente sportiva

 Solitamente non sono molto propenso a dare credito troppo facilmente a ipotesi dietrologiche, anche quando si tratta di argomenti controversi; eppure, rileggendo queste pagine a quattro anni di distanza dalla loro pubblicazione, si arriva a concludere come sia perfettamente plausibile che le provette destinate ai test antidoping da compiersi su Schwazer siano state manomesse per colpire il suo tecnico: troppi e troppo importanti sono gli ex campioni e i dirigenti dello sport italiano da lui denunciati, sulla scorta di fatti concreti, come responsabili di frodi sportive mai perseguite come tali.

Voto: 7,5

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