Il libro è del 2012, ma vale più
che mai la pena riprenderlo in mano ora, dopo i recenti veleni e sospetti che
si addensano intorno alla nuova, sconcertante positività al testosterone
sintetico riscontrata in seguito all’analisi di un campione di urine del
marciatore azzurro Alex Schwazer, proprio alla vigilia delle Olimpiadi di Rio
de Janeiro.
Fra vivissimi ricordi personali e
dati oggettivi meticolosamente raccolti e sapientemente collazionati,
Alessandro Donati – grande allenatore della nostra atletica leggera, sempre in
prima linea nella lotta al doping – ripercorre dall’inizio degli anni ottanta a
oggi la storia delle sofisticazioni medico-farmaceutiche nello sport italiano
di vertice (e non solo).
Scandalose le reiterate
complicità fra medici, allenatori, dirigenti sportivi e atleti che emergono con
chiarezza e che si sono riproposte generazione dopo generazione: risultano
coinvolti personaggi mai puniti come Francesco Moser, Alberto Cova (un mito
della mia infanzia), Manuela Di Centa, Silvio Fauner, Maurilio De Zolt, e tanti
altri.
Il tecnico Alessandro Donati
All’origine della mala pianta del
doping nel nostro paese c’è la figura dell’accademico ferrarese Francesco
Conconi: impressionanti le pagine in cui si racconta delle sperimentazioni da
parte di Conconi dell’eritropoietina su se stesso, fino ad arrivare, a 56 anni,
a completare la salita in bicicletta al passo dello Stelvio in soli due minuti in più di
Moser.
Conconi si lasciò dietro una scia
di irrisolte ambiguità nella quale, in anni più recenti si è inserito un suo
allievo, il famigerato Michele Ferrari.
Si arriva a parlare anche del
caso di Alex Schwazer – non ancora allenato da Donati all’epoca della stesura
del libro –, clamorosamente trovato positivo una prima volta ad un controllo
effettuato prima dell’ultima Olimpiade di Londra: per Donati è impensabile che
l’altoatesino abbia assunto autonomamente sostanze proibite senza avere alle
spalle quella rete di supporto a livello federale che è solita pretendere
grandi risultati a qualsiasi costo dagli atleti di punta, salvo abbandonarli al
loro destino se l’imbroglio che sono stati incoraggiati e aiutati a mettere in
atto viene scoperto.
La morale che si ricava è che la
rivoluzione copernicana di cui lo sport italiano avrebbe bisogno non è ancora
stata compiuta.
Manuela Di Centa, campionessa olimpica, parlamentare e dirigente sportiva
Solitamente non sono molto propenso a dare credito troppo facilmente a ipotesi dietrologiche, anche quando si tratta di argomenti controversi; eppure, rileggendo queste pagine a quattro anni di distanza dalla loro pubblicazione, si arriva a concludere come sia perfettamente plausibile che le provette destinate ai test antidoping da compiersi su Schwazer siano state manomesse per colpire il suo tecnico: troppi e troppo importanti sono gli ex campioni e i dirigenti dello sport italiano da lui denunciati, sulla scorta di fatti concreti, come responsabili di frodi sportive mai perseguite come tali.
Voto: 7,5
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