sabato 8 ottobre 2016

Annie Ernaux, "L'altra figlia", L'Orma


 Una domenica pomeriggio dell'agosto 1950 - forse la stessa domenica in cui si suicidò Cesare Pavese - la piccola Annie sta giocando con la figlia di una vicina nella strada dietro la drogheria dei genitori, a Yvetot, mentre le due madri parlano poco lontano.
 Improvvisamente, una lieve alterazione nel tono di voce della mamma induce la bambina a prestare ascolto alla sue parole, pur senza darlo a vedere; e quello che sente (quello di cui acquista allora per la prima volta coscienza) la sconvolge.
 La madre racconta di avere avuto un'altra figlia, morta di difterite a sei anni, prima della guerra, cioè prima che Annie nascesse. Racconta del dolore folle del marito al momento della morte della piccola per soffocamento. Racconta di non aver mai detto niente ad Annie per non rattristarla. Racconta che la prima figlia era più buona di Annie.
 Da quel momento Annie sarà costretta a convivere col fantasma della sorella "più buona di lei" che non ha mai conosciuto, e di cui i genitori mai le parleranno, come se avesse vissuto in una dimensione diversa, in un'epoca più felice, a lei non solo inaccessibile ma anche incomprensibile: un eden di cui sua madre e suo padre pare vogliano gelosamente trattenere il ricordo solo per sé - fors'anche perché sarebbe troppo difficile trovare le parole per raccontarlo.
 E' dal tentativo di dare corpo a quel fantasma - e di trovare un terreno comune su cui potersi confrontare con esso - che nasce questo piccolo, toccante libro, composto sotto forma di una lettera rivolta dall'autrice proprio a quella sorella sconosciuta, a lungo quasi rimossa, spesso odiata senza neppure sapere bene perché. Una lettera scritta per fare finalmente i conti con un'assenza capace di riempire paradossalmente di sé tutta la vita di Annie Ernaux, scatenando sentimenti estremamente complessi e contrastanti.

Annie Ernaux

 Da una parte, infatti, c'è l'invidia nei confronti di Ginette (questo il desueto nome della bambina morta), che ha avuto la possibilità di vivere con i genitori quando erano più giovani e spensierati, pieni di energia e di ottimismo, e non ancora fiaccati da tutte le sofferenze e le preoccupazioni che la guerra e il dopoguerra portarono con sé.
 Dall'altra parte c'è un profondo, inestirpabile senso di colpa, dovuto alla sensazione costante di "aver preso il posto dell'altra": i genitori di Annie avevano deciso di avere un solo figlio, e a lungo ha accompagnato l'autrice la convinzione di essere nata solo in virtù della morte della sorella, e anzi il sospetto quasi superstizioso che Ginette fosse predestinata a morire per permettere la sua venuta al mondo (scrive la Ernaux, rivolgendosi alla sorella: La vastità della mia vita, ottenuta in eterno a discapito della tua, mi sommerge. Alle mie spalle tutto è innumerevole, le cose viste, sentite, imparate e dimenticate, le donne e gli uomini frequentati, le strade, le sere e le mattine. Mi sento sopraffatta dalla profusione delle immagini).
 Lo scopo stesso del racconto del rapporto con quella sorella mai sentita viva ondeggia così tra estremi opposti. Si chiede l'autrice: Che ti stia scrivendo per resuscitarti e ucciderti un'altra volta?
 Nello stesso tempo non può non riconoscere che parlare della sorella è parlare di sé: La tua esistenza passa solo attraverso l'impronta che hai lasciato sulla mia. Scriverti non è altro che fare il giro della tua assenza. Descrivere l'eredità dell'assenza. Sei una forma vuota che è impossibile riempire di scrittura.
 La narrazione e il messaggio stesso che porta con sé diventano in definitiva, emblematicamente, il regno dell'ambiguità assoluta. Ambiguo è il destinatario, perché la sorella morta, a cui la lettera è rivolta, non potrà mai leggerla, mentre la riceveranno e la giudicheranno degli sconosciuti lettori; ambigue sono le intenzioni, perché il tentativo di riportare in vita la sorella si confonde con il desiderio di farsi perdonare per aver preso il suo posto, in maniera tale da potersi liberare per sempre dall'ossessione di lei; ambiguo è il risultato, perché parlare della sorella diventa inevitabilmente un pretesto per parlare ancora una volta di sé, e per vivere ancora una volta attraverso di lei al suo posto.
 E proprio il tasso inverosimile di ambiguità che questo libro è in grado di sopportare (in fondo la rappresentazione plastica della sospensione del destino dell'uomo tra la vita e la morte) lo rende a mio parere un piccolo capolavoro.

Voto: 8

Nessun commento:

Posta un commento