sabato 5 novembre 2016

Eraldo Affinati, "Un teologo contro Hitler", Mondadori


 Se è vero che un buon metodo per accertare la bontà di un libro è verificarne la "tenuta" ad anni di distanza dalla sua pubblicazione, Un teologo contro Hitler è certamente un libro eccellente; 15 anni dopo la sua uscita, infatti, conserva intatta la sua capacità di coinvolgere il lettore e tutta la sua carica propulsiva.
 Merito, in parte, del collaudato metodo che Eraldo Affinati ha sviluppato per tratteggiare i profili biografici dei personaggi sui quali si sofferma; in parte, dell'interesse intrinseco che risiede nella figura di Dietrich Bonhoeffer.
 Affinati, secondo consuetudine, procede infatti come un rabdomante: si lascia guidare dalle sue letture sui luoghi che hanno ospitato i principali avvenimenti che intende narrare e, lì, cerca di entrare in comunicazione con le superstiti testimonianze del passato, per farle vibrare, perché possano raccontare qualcosa che ancora non è stato detto (un po' come l'Omero di Foscolo, che andava cieco per la Troade ad "abbraciar l'urne, / e interrogarle"). Nasce così una sorta di biografia itinerante, a metà tra il diario di viaggio e il discorsivo resoconto di una ricerca documentaria svolta sul campo per individuare la migliore chiave interpretativa dei riscontri ottenuti.
 Il ritratto di Dietrich Bonhoeffer che ne scaturisce è quantomai vivo e vero, e questo, in virtù dello spessore del personaggio presentato, conferisce a sua volta vivacità, forza e credibilità allo sviluppo della dinamica narrativa.
 Bonhoeffer nacque nel 1906 a Breslavia, in un'importante famiglia di intellettuali che gli permise di crescere in un'ambiente eccezionalmente privilegiato, ricchissimo di stimoli culturali. Fra le tante figure di spicco che contava nella cerchia dei parenti, si affezionò in maniera particolare al fratello maggiore Walter, che morì al fronte durante la Prima guerra mondiale, lasciando in eredità a Dietrich il ricordo del suo approccio sereno e insieme problematico alla vita e alla fede.

Un ritratto fotografico di Dietrich Bonhoeffer

 Maturò gradualmente la vocazione religiosa, che si risolse non in un ripiegamento su se stesso di tipo introspettivo, ma in una disponibile apertura al mondo nella sua multiformità, tanto più notevole nella Germania di allora, che si apprestava a offrire terreno fertile per lo sviluppo della mala pianta del nazismo. Del resto, la positiva vitalità di Dietrich appariva chiaramente in ogni suo atteggiamento: amava lo sport quasi quanto lo studio (giocava molto bene a tennis), si dichiarava pacifista e antimilitarista.
 Presto si abilitò all'insegnamento della teologia, e completò la sua formazione culturale con un viaggio negli Stati Uniti (dove rimase folgorato dalla città di New York) e in Messico, un'autentica avventura on the road dal sapore quasi kerouachiano.
 La sua avversione a Hitler e ai suoi seguaci fu da subito aperta e viscerale, come pure la critica nei confronti di coloro che, nell'ambito della Chiesa luterana, si mostrarono presto disponibili ad accodarsi all'ideologia dominante, quando questa conquistò il potere politico, facendone propri anche gli aspetti più ripugnanti, primo fra tutti l'antisemitismo.
 Al cospetto della marea montante del fanatismo nazionalsocialista, tentò di ritagliarsi degli spazi di indipendenza, dando vita - a Finkenwalde, in Pomerania - a una singolare comunità (aperta a uomini e donne), una sorta di seminario clandestino fondato sugli studi religiosi, sulla preghiera, sulla pratica attiva della tolleranza.

Eraldo Affinati

 Quando infine dai gerarchi nazisti arrivò a Bonhoeffer la perentoria ingiunzione di interrompere qualsiasi forma di predicazione, Dietrich fu costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti. Si trattò tuttavia di una "fuga" di breve durata: allo scoppio della Seconda guerra mondiale, qualcosa in lui scattò; fu allora che, pur avendo la possibilità di passare gli anni del conflitto nella condizione del tutto sicura e tutto sommato anche abbastanza comoda di esule perseguitato per motivi politici, preferì rinunciare all'insegnamento presso lo Union Theological Seminary per lasciare New York e ritornare in patria.
 Pur essendo inviso al regime, grazie alla rete di relazioni che la sua estrazione aristocratica gli permetteva di attivare, riuscì a entrare nell'Abwehr, il servizio segreto militare. All'interno di quell'ambiente assai particolare strinse i legami che lo portarono a concepire l'idea - in apparente contraddizione con la matrice pacifista del suo pensiero - che Hitler dovesse essere fisicamente tolto di mezzo.
 La giustificazione etica di una simile posizione aveva una duplice radice: da una parte, la convinzione che il Fuhrer fosse una sorta di perfetta caricatura del Male, una ridicola, burattinesca incarnazione dell'immoralità assoluta, non meritevole di alcun tipo rispetto in quanto priva persino dell'agghiacciante grandezza che - teologicamente - si immagina possa avere l'Anticristo.
 Dall'altra, lo sviluppo dell'originale teoria secondo la quale l'uomo, e in primo luogo il cristiano, deve interpretare la volontà di Dio dimostrando di saper vivere in un "mondo maggiorenne", un mondo in cui la piena assunzione di responsabilità coincide, per ciascuno di noi, con la capacità di sapersela cavare per proprio conto, senza chiedere o addirittura pretendere che il Signore intervenga in nostro soccorso.
 Fu su queste basi che, insieme al cognato Hans von Dohnanyi, cominciò a cospirare con altri ufficiali dell'esercito tedesco in previsione di un colpo di mano capace di abbattere Hitler. Le sue trame, però, suscitarono i sospetti della Gestapo, che lo fece arrestare nell'aprile del 1943.
 Detenuto dapprima nel carcere berlinese di Tegel, perse ogni speranza di salvarsi dopo il fallito attentato al Fuhrer di Claus Schenk von Stauffenberg del 20 luglio 1944, che scatenò una serie di spietate vendette contro tutti coloro che fossero anche solo sospettati di essere in contatto con gli attentatori. Trasferito nel campo di concentramento di Flossenburg, fu impiccato (nudo, all'alba) poche settimane prima della fine della guerra, il 9 aprile 1945.
 Merito principale di questo testo è la capacità di restituirci un'immagine di Dietrich Bonhoeffer fedele alla sua sostanza di eroe vero e concreto, che non necessita di mitizzazioni di maniera per essere considerato grande.

Voto: 7,5

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