domenica 20 novembre 2016

Antonio Manzini, "Orfani bianchi", Chiarelettere


 Mirta Mitea è una donna moldava di 34 anni, venuta in Italia per cercare di dare un futuro migliore al suo unico figlio, Ilie, che ha 12 anni ed è rimasto con la nonna, l'anziana madre di Mirta, a Logofteni, il paesino in cui è nato; il ragazzo, infatti, non ha mai conosciuto suo padre, che ha abbandonato la famiglia subito dopo la sua nascita.
 A Roma, Mirta lavora come badante o come donna delle pulizie, e vive poveramente con altre immigrate come lei - giovani donne di tutte le nazionalità - in un piccolo, affollato appartamento sulla Casilina. Cerca di risparmiare il più possibile, e quando riesce a mettere dei soldi da parte, li invia a casa affinché i suoi congiunti possano affrontare le spese essenziali di ogni giorno, oppure compra un regalo per Ilie, che poi spedirà al figlio grazie a Pavel, il connazionale che fa la spola tra l'Italia e la Moldavia con il suo furgone.
 In fondo la sua condizione è paradossale: per prendersi cura degli anziani cittadini italiani di cui i loro famigliari non sanno occuparsi (per lo stile di vita che conducono, o semplicemente perché hanno maturato una mentalità secondo la quale i vecchi non autosufficienti rappresentano soltanto un peso) è costretta a trascurare i propri affetti e a venire meno persino ai propri fondamentali doveri di madre. A sostenerla in questo sforzo innaturale è la consapevolezza che ogni suo sacrificio costituisce un investimento per il domani.
 Le cose peggiorano però drasticamente quando, a causa del malfunzionamento della vecchia stufa, la casa natale di Mirta a Logofteni va a fuoco, e sua madre muore nel rogo. Ilie, che è fortunatamente riuscito a salvarsi perché si era recato da un amico, si ritrova allora improvvisamente senza nessuno che possa crescerlo. Mirta, disperata e in preda a terribili sensi di colpa, è costretta ad accettare che il ragazzo vada a vivere in un Internat, un orfanotrofio vicino a Chisinàu, la capitale. Nell'istituto, un casermone freddo, umido e tristissimo, sono chiusi, accanto agli orfani "veri", molti bambini come Ilie, di cui i genitori non possono prendersi cura perché costretti a emigrare dalla povertà e dalla totale assenza di prospettive: sono i cosiddetti orfani bianchi.      

Antonio Manzini

 Le angustie in cui si dibatte Mirta (il cui rapporto a distanza con Ilie, che non accetta la permanenza nell'Internat, diventa sempre più problematico) sembrano poter avere fine quando Pavel, l'uomo del furgone - che si è innamorato di lei - le segnala una nuova opportunità: un posto da badante presso una ricchissima famiglia dell'alta borghesia romana, straordinariamente ben retribuito. 
 La signora con cui si svolge il colloquio di assunzione è semplicemente odiosa, Mirta viene trattata con asprezza, ma è comunque più che mai determinata a ottenere quel lavoro che le permetterebbe finalmente di portare Ilie in Italia a vivere con lei; la sua brama è tale che la donna si spinge fino a seguire la ragazza russa che considera la sua più seria concorrente e, furtivamente, a rubarle il telefono cellulare, in maniera tale che costei non possa essere ricontattata dalla signora. 
 Ottenuto il posto tanto agognato, Mirta si ritrova quotidianamente a far fronte alla malagrazia della padrona di casa - che la guarda con sospetto e le si rivolge maleducatamente - e al dispetto di Eleonora, l'anziana suocera che è chiamata ad accudire. Eleonora, una novantenne che decenni prima è stata una elegante e bellissima dama, amica personale di Grace Kelly, è ora ridotta a un relitto umano. Immobilizzata su una sedia a rotelle, bisognosa di essere assistita per espletare tutte le sue funzioni vitali, è incapace di accettare serenamente la sua condizione, e scarica su Mirta la sua rabbia e il suo risentimento, rendendole la vita un inferno. Solo la prospettiva di strappare Ilie dall'Internat e di averlo finalmente con sé danno a Mirta la forza di resistere. 
 In più, Mirta sa che quella situazione non durerà a lungo: Pavel ha deciso di aprire una ditta di traslochi, e vuole che la donna vada a lavorare per lui come segretaria; inoltre ha trovato il coraggio di dichiararle il suo amore, e Mirta, dopotutto, ha scoperto di provare qualcosa per quell'uomo protettivo e gentile.
 Ogni sofferenza sembra che stia per avere termine, quando tutto precipita definitivamente: una telefonata della direttrice dell'Internat comunica a Mirta che Ilie, incapace di adattarsi a quell'ambiente cupo e inospitale, si è tolto la vita. Sconvolta dal dolore, la donna abbandona ogni cosa e si getta nel Tevere. Il suo cadavere verrà recuperato solo alcuni giorni dopo. 


Una badante straniera accudisce un'anziana signora

 Il nuovo romanzo dell'inventore del vicequestore Rocco Schiavone - così stravagante e laterale rispetto all'abituale produzione di Antonio Manzini - non si può dire sia un capolavoro letterario, ma certo è un libro non banale: lo stile tende a una mimesi del parlato reale che qualche volta si traduce in una generale piattezza linguistica molto somigliante alla sciatteria, eppure nei momenti migliori esalta la credibilità del personaggio di Mirta (molto ben concepito, e titolare del punto di vista prevalente), la cui padronanza dell'italiano è giocoforza limitata.
 Lo spin narrativo non sempre riesce ad assecondare con sufficiente vivacità lo sviluppo di una trama altamente drammatica, ma nell'economia del racconto appare assai interessante - e perfettamente giustificato dal tenore emotivo della vicenda - l'espediente dell'utilizzo delle email che Mirta scambia con gli amici o che scrive al figlio, che danno all'insieme un tocco di verità e, nel contempo, sanno richiamare alla memoria alcuni passaggi dei più celebri romanzi epistolari conferendo spessore culturale al dettato.
 A conti fatti, possiamo dire che Orfani bianchi ha il merito di confrontarsi direttamente e con coraggio con gli aspetti tragici dell'immigrazione - ciò che costituisce forse il principale "rimosso" della coscienza collettiva dell'Occidente contemporaneo; e con questa sfrontatezza, a dispetto di tutti i limiti che abbiamo rilevato, riesce a essere estremamente efficace. Sotto tale aspetto, assomiglia un po' a un altro libro importante scritto "male": Gomorra di Roberto Saviano.
 Forse, la critica principale che si può muovere all'autore riguarda la scelta di far morire Ilie e Mirta. L'epilogo straziante, infatti, esasperando il carattere patetico della vicenda, toglie un po' di equilibrio alla narrazione e un po' di forza alla denuncia in cui il libro si sostanzia.

Voto: 6,5 

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