domenica 15 aprile 2018

Andrej Longo, "Dieci", Adelphi


 Oggi voglio proporre un libro pubblicato alcuni anni fa come rimedio ideale contro i cliché diffusi e consolidatisi nel tempo sulla "napoletanità deteriore", cioè sugli atavici problemi che affliggono la Campania più di altre regioni italiane (problemi quali criminalità, disoccupazione, miseria, ignoranza, mancanza di senso civico), che vengono quasi sempre rappresentati sotto le specie di modelli senz'altro icastici, ma spesso schematici e, in definitiva, un po' troppo superficiali e più inclini a mitizzare il male che utili per studiare - da un punto di vista socio-culturale - dei rimedi veri a quello che non va.
 Il libro si intitola Dieci; Dieci, come i dieci comandamenti. Andrej Longo costruisce il suo personale decalogo mettendo in scena peccati e peccatori: solo che siamo appunto a Napoli, nei quartieri dove a dettare legge è la camorra, dove a regnare sono la povertà e il degrado, dove lo stato di diritto non esiste; e qui anche la Bibbia e le norme che definiscono la rettitudine agli occhi di Dio assumono un significato diverso, sinistramente ironico.
 Nei dieci racconti che compongono il libro, i dieci protagonisti-narratori espongono la loro esperienza della vita, che è un’esperienza sempre amara, segnata dall’urto con una realtà dura, subita come una condanna dai più consapevoli, accettata come un destino ineluttabile da tutti gli altri: così, se Papilù (“Non avrai altro dio all’infuori di me”) è costretto ad asservirsi al boss Gigetto Mezzanotte, anche se la cosa gli ripugna, per evitare che la fidanzata Vanessa venga insidiata da tre prepotenti, Rosa (“Non commettere atti impuri”), che a quattordici anni è stata violentata e messa incinta dal padre, non possiede alcun mezzo per sfuggire al suo male; e la mite Ciuciù (“Ricordati di santificare le feste”) non può fare nulla per tenersi vicino il marito, costretto a passare l’intera settimana a Roma per lavorare e far fronte onestamente alle spese che comporta il mantenimento di una famiglia.

Andrej Longo

 Ciò che rende ancora più amara l’ironia di questi racconti non è solo il fatto che i comandamenti che vengono via via enunciati sembrano essere validi non in relazione al principio di giustizia costituito dalla divinità, bensì alle ingiuste gerarchie di potere che vigono fra gli uomini; ad accrescere l’amarezza è anche la constatazione che non sempre il peccato su cui si focalizza l’attenzione è il più grave che viene commesso. Pensiamo all’ottavo racconto, “Non dire falsa testimonianza”: Nicola probabilmente non dice la verità a Riccardo, che torna a casa dopo tanto tempo, su com’è la vita a Napoli (senza mentirgli del tutto consapevolmente, peraltro); ma lo sconosciuto che ruba l’auto di Nicola, addirittura uccide Riccardo che tenta di impedirglielo.
 L’alta qualità letteraria di questo libro è determinata anche dallo stile: Andrej Longo scrive come i suoi personaggi parlano, e questo crea un efficacissimo effetto-verità favorendo l’immersione totale del lettore nella “napoletanità”, però tutto ciò avviene senza compromettere mai la facilità di lettura. La lingua adottata, infatti, non è il dialetto napoletano, ma l’italiano che si parla a Napoli, ricco di inflessioni e di espressioni napoletane, diretto, incisivo, vivace.
 Possiamo dire che Longo arriva dove a Saviano non riesce di arrivare. Laddove Gomorra era una notevole inchiesta giornalistica, che dal punto di vista narrativo esprimeva valori piuttosto modesti, Dieci traduce in componimenti letterari di alta qualità tutti i problemi della Campania di oggi, scongiurando la trappola più insidiosa: quella del luogo comune.

Voto: 7

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