lunedì 10 giugno 2019

Jan Brokken, "Anime baltiche", Iperborea


 Capita raramente che un'opera letteraria priva di propositi sperimentali sul piano linguistico o stilistico risulti, a tutta prima, così ostica. 
 Lo spazio concesso alle descrizioni, la costante attenzione al particolare, l'indole divagante del libro, la propensione ostinatamente digressiva del suo autore, l'ampio respiro della linea narrativa fanno sì che il lettore fatichi ad afferrare l'immagine che si vuole dare della realtà che si sta raccontando, quella di un angolo d'Europa appartato e poco conosciuto alle nostre latitudini. 
 Solo quando - dopo qualche pagina - si riesce a entrare davvero nello spirito della narrazione, si può comprendere il perché di certe scelte contenutistiche e strutturali: i Paesi baltici (Lettonia, Estonia e Lituania) sono caratterizzati da una molteplicità di istanze culturali diverse, che solo in parte arrivano a contaminarsi reciprocamente, o a convergere sincreticamente, e convivono invece una accanto all'altra, ciascuna tesa all'orgogliosa rivendicazione della propria peculiarità, talvolta esaltata in polemico contrasto con le concorrenti.
 Ad accomunare queste diverse tendenze, disposizioni e visioni del mondo vi sono poi la pervasività dello spiritualismo (sovente di matrice religiosa), il legame romantico con il paesaggio, il temperamento malinconico e l'inclinazione tenacemente individualista degli uomini che se ne fanno portatori. 
 La forma letteraria scelta per illustrare in maniera adeguata tutti questi aspetti di una regione remota e affascinante del nostro continente nasce da una originale commistione tra il diario di viaggio e il romanzo biografico: una formula che consente di creare una galleria di personaggi e di storie in cui il resoconto dell'esperienza personale, il gusto impressionistico del ritratto, il rigore della ricerca storica, la preziosità dell'excursus erudito, l'istituzione di parallelismi simbolici e l'audacia interpretativa si fondono armonicamente.
 Il libro che ne risulta, a mio parere, è assai bello e fruibile a due diversi livelli: quello puramente aneddotico - che ha senz'altro un suo valore, e si concretizza nella ricostruzione di episodi poco noti della storia di un popolo, di una città o di un personaggio celebre -; e quello, più articolato, della restituzione di una serie di esistenze calate nel contesto che ha contribuito a generarle e in cui, in parte, si sono poi sviluppate.
 Prendiamo, ad esempio, un personaggio come Sergej Ejzenstein: la rappresentazione della figura del tipico borghese nemico dell'ideologia socialista - grasso, occhialuto, compiaciuto, ben vestito e con ai piedi lucidissime scarpe di vernice -, che trova posto in molti film del grande cineasta sovietico, pare debba moltissimo all'aspetto del padre del regista, Michail, "l'Otto Wagner di Riga", l'architetto che improntò di sé e del suo gusto raffinatamente borghese l'aspetto che la capitale della Lettonia assunse negli anni iniziali del XX secolo. 
 Ma, nella ricostruzione dell'esistenza di Sergej, si mostra anche come, se costui manifestò per tutta la sua vita adulta una repulsione assoluta per tutto quanto suo padre aveva incarnato, tanti aspetti del suo carattere e della sua arte furono influenzati dal modo di essere, di lavorare, di sentire e di esprimersi di Michail - un'autentica "anima baltica" - molto più di quanto egli sarebbe mai stato disposto ad ammettere.

Jan Brokken

 O ancora, prendiamo Romain Gary: nel libro si rivela quanto contarono per Gary (nato Roman Kacev) le origini rintracciabili presso la comunità ebrea di Vilnius, la più vivace d'Europa, letteralmente spazzata via dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale; origini che egli, peraltro, fece di tutto per tenere parzialmente nascoste, disseminando falsi indizi atti a confondere le ricerche dei biografi.
 Ma nulla lascia intuire quale groviglio di sentimenti si celasse dietro quelle origini quanto il ricordo commovente della conoscenza che, da bambino, il futuro autore de La vita davanti a sé fece con un piccolo ebreo di Vilnius, il signor Piekielny, poi morto per mano dei soldati hitleriani. Saputo che Roman sognava di diventare un diplomatico, Piekielny gli ingiunse: "Quando incontrerai dei grandi personaggi, uomini importanti, promettimi di dire loro: al numero 16 della Grande Pohulanka, a Wilno, abitava il signor Piekielny...". Gary mantenne la promessa, e anni dopo pronunciò quella frase di fronte alla regina d'Inghilterra, e poi a Charles de Gaulle, e poi agli alti funzionari delle Nazioni Unite e a decine di milioni di telespettatori americani; il signor Piekielny era diventato il simbolo di tutto ciò che il piccolo Roman Kacev era stato e aveva perduto, e di tutto un mondo brulicante di vita travolto dalle atrocità della storia
 Del resto, tanti altri sono gli spunti di estremo interesse che il testo offre: vi si parla di Kaliningrad, la Konigsberg prussiana, che fu la città di Kant e in seguito di Hannah Arendt. Oggi, in un contesto totalmente russificato, la cultura tedesca e quella ebraica paiono quasi dimenticate; eppure, quanto si può trovare  nelle opere della Arendt del luogo in cui nacque e crebbe!
 Vi si parla dei baroni baltici, la "più pura nobiltà d'Europa", eredi dei cavalieri teutonici, che incontrastati regnarono per secoli sulla Curlandia, disprezzando la lingua e la cultura delle decine di migliaia di contadini estoni che lavoravano sui loro campi. La sorte li vide però - paradossalmente - sradicati dal loro Paese dai nazisti loro connazionali, prima ancora che dai sovietici, visto che dopo il patto Molotov-Ribbentrop fu Hitler che li costrinse a rientrare in Germania. Oggi, con singolare contrappasso, le loro vicende sono completamente rimosse dalla storia dei Paesi che li videro protagonisti della loro vita politica, commerciale e culturale, proprio a causa di quel nazionalismo sul quale un tempo essi contarono per arginare il bolscevismo.
 In tutto questo, per il lettore italiano sarà curioso venire a conoscenza del fatto che Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sposato con una nobildonna appartenente alla schiatta dei baroni baltici, proprio in Curlandia concepì una buona parte del suo capolavoro ambientato nella lontanissima Sicilia, Il Gattopardo; quasi che l'estremo nord e l'estremo sud dell'Europa si toccassero.
 Più avanti, vi si parla della rivolta contro la dittatura sovietica e della particolarissima "Rivoluzione cantata" con cui i Paesi baltici, all'inizio degli anni novanta del Novecento, si scossero di dosso il giogo russo: un esempio notevole - e per la verità effimero - di rinascita del patriottismo sulla base del recupero delle tradizioni culturali profondamente radicate nel sentire di tutto un popolo, prima che la più ottusa delle ideologie, il nazionalismo, prendesse il sopravvento, cancellando l'anelito libertario e le intense risonanze spirituali che avevano costituito il propellente primario della ribellione contro la dittatura. 
 Vi si parla di Jacques Lipchitz - nato Chaim Jacob Lipchitz a Druskininkai, in Lituania -, grande scultore amico di Modigliani, ebreo come il pittore livornese, protagonista della vita artistica prima a Parigi e poi negli Stati Uniti, che nella sua opera più famosa, La Coppia, il Grido, trasfigurò in uno sfrenato atto d'amore, in un inno alla vita, il terribile ricordo del pogrom a cui assistette da bambino, e alla cui violenza riuscì solo fortunosamente a sfuggire con i suoi familiari.
 Vi si parla di Mark Rothko, fantastico pittore astratto originario di Daugavpils, in Lettonia, anch'egli ebreo emigrato negli Usa, capace di riversare nei suoi quadri la forza e l'essenzialità del paesaggio della sua terra e, nel contempo, di rappresentare simbolicamente lo stacco doloroso e problematico fra le diverse culture che in essa coesistono.
 Vi si parla di Arvo Paart, il compositore che a Rakvere, in Estonia, quando aveva 12 anni - negli anni quaranta del Novecento - si formava musicalmente pedalando in tondo nella piazza principale della città, mentre gli altoparlanti, nel freddo pungente, diffondevano grandiose sinfonie che fugavano l'atmosfera cupa che regnava in quella tetra regione industriale. Tempo dopo, per lo sconcerto delle autorità comuniste, Paart sarà protagonista della rinascita della musica sacra nell'Europa dell'est; quella musica sacra che costituirà una delle basi essenziali della ricostruzione di una coscienza nazionale in Estonia.
 Alla fine, a Jan Brokken riesce la magia a cui ogni scrittore aspira, quella per cui il lettore comincia a sentire vicino a sé ciò che all'inizio sembrava lontano ed estraneo.  Così, a noi finisce per risultare quasi familiare persino questa regione remota, segnata dalla sua caleidoscopica ricchezza culturale e dai suoi feroci contrasti identitari, con le sue malinconie, le sue ingiustizie, le sue cicatrici; tutte cose che, in fondo, riguardano ogni uomo ad ogni latitudine.

Voto: 8      

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