martedì 25 giugno 2019

Rachel Kushner, "Mars Room", Einaudi


 Considerato dalla critica uno dei migliori romanzi pubblicati negli Stati Uniti negli ultimi anni, Mars Room è un libro duro, spigoloso, corrosivo, originale.
 La protagonista della vicenda narrata è Romy Leslie Hall, una giovane donna che - nottetempo, perché i buoni cittadini non siano turbati dalla vista delle detenute - viene trasferita, insieme ad altre compagne di sventura, dal penitenziario di Los Angeles in un carcere californiano di massima sicurezza della Central Valley, dopo una condanna definitiva a due ergastoli senza condizionale per omicidio.
 Il vicolo chiuso in cui Romy si è cacciata è il risultato di una vita difficile: cresciuta a San Francisco con una madre single che non badava troppo a lei, ha avuto un'infanzia e un'adolescenza sgangherate e randagie, fra alcol, droga, violenza e cattive compagnie. Nonostante fosse riuscita a terminare la high school, da adulta si è messa a lavorare come spogliarellista al Mars Room, un locale dove tutte le "artiste", per arrotondare, terminata la loro esibizione, erano incoraggiate a essere "carine" con i clienti.
 Jackson, il figlio avuto per caso da uno dei buttafuori del locale, e Jimmy Darling, l'intellettuale anticonformista che Romy frequentava, che le dava l'illusione di essere amata, e che, se non altro, le suggeriva quali libri leggere - le uniche luci della sua vita - non hanno impedito che tutto le crollasse addosso quando, esasperata, la ragazza ha ucciso a sprangate Kurt Kennedy, un cliente cinquantenne del Mars Room che la perseguitava con l'insistenza malata di uno stalker, e che da San Francisco l'aveva seguita fino a Los Angeles, nel momento in cui Romy aveva tentato di cambiare vita. L'insipienza dell'avvocato che le è stato assegnato d'ufficio ha fatto il resto, e Romy si trova ora precipitata in una situazione letteralmente senza via d'uscita.
 In una storia che, a questo punto, parrebbe totalmente cristallizzata nell'immobilità dell'universo carcerario, è sorprendentemente il mondo esterno a determinare la vita di Romy fra le deprimenti mura di cemento del penitenziario; tanto più che, laddove il tempo perde l'importanza che ad esso si attribuisce nel mondo libero, passato, presente e futuro, nel loro attenuato statuto di realtà, possono confondersi fino a risultare ugualmente accessibili.
 Così, l'identità della protagonista si nutre e si ristruttura continuamente intorno al ricordo della giovinezza vissuta a San Francisco (e di quella particolare luce verde che si può scorgere al momento del tramonto dal Golden Gate Park), ai racconti e alle avventure tristi o bizzarre delle altre detenute (Sammy, destinata a uscire dal carcere nel giro di pochi mesi; Conan, la donna che si sente uomo; Serenity Smith, l'uomo che si sente donna, e che dopo essersi evirato è stato destinato a un carcere femminile; Laura Lipp, l'infanticida disprezzata da tutte le sue compagne; Bocciolo, la sedicenne trasformatasi in un'assassina per stupidità; Geronima Campos, che molti anni prima ha ucciso il marito che la maltrattava; Candy Pena e Betty LaFrance, rinchiuse nel braccio della morte, che passano il tempo impegnate in piccoli lavori artigianali), alle lezioni di inglese e ai colloqui con Gordon Hauser, l'insegnante della prigione, che da Romy è segretamente attratto, e che diventa per lei e le sue compagne una sorta di ambasciatore della vita di fuori.

Rachel Kushner

 Ed è un evento del mondo esterno a colpire Romy con la violenza di un autotreno e a metterla di nuovo di fronte all'ineluttabilità della sua condanna. Quando infatti muore in un incidente stradale sua madre, a cui Jackson era stato affidato cinque anni prima, al momento della sua incarcerazione, il bambino viene reso adottabile, e la protaginista, già privata dei diritti genitoriali, perde anche ogni possibilità di rimettersi in contatto con lui.
 Per vincere la disperazione che le scava dentro, a Romy non resta che tentare un'impossibile fuga; attraversati i reticolati in un momento di distrazione delle guardie impegnate a sedare una rissa fra due gruppi di detenute, Romy si lancia fra i frutteti delle coltivazioni industriali e, chiesto un passaggio a uno sconosciuto, riesce a raggiungere la cima delle vicine montagne, coperte da immense sequoie.
 Qui, braccata dagli inseguitori, la protagonista realizzerà - nietzschianamente - che noi non deragliamo mai dai binari del nostro destino, ma siamo il nostro destino; accettato sulla base di questo assunto il peso del fato che le è toccato, raggiante dell'orgoglio di essere almeno riuscita a dare la vita a Jackson, Romy affronterà a viso aperto i poliziotti che le vengono incontro con i fucili spianati.
 Nell'economia del romanzo, il ruolo di protagonista di Romy Hall che abbiamo appena descritto, tranne che nell'episodio finale della fuga, è in realtà determinato dal fatto di essere una sorta di motore immobile dell'azione, di perno intorno a cui si muovono tutti gli altri personaggi presenti nel libro.
 La narrazione, a ben vedere, si sviluppa infatti attraverso un vero e proprio round robin dei punti di vista, in cui la prospettiva dominante diventa via via quella di Sammy Fernandez, di Gordon Hauser, di Betty LaFrance, del suo complice Doc (il poliziotto corrotto di San Francisco), di uno degli agenti di custodia, dello stalker Kurt Kennedy.
 Ognuno di questi personaggi ci dischiude la propria esperienza intrisa di ambizione e frustrazione, autoindulgenza e insoddisfazione. Per ciascuno la felicità sembra essere fatta di rari momenti di pienezza e di pace; per il resto, a dominare sono l'ansia, le aspirazioni impossibili, la nostalgia di un passato divenuto prezioso per il solo fatto di essere irrecuperabile.
 Questo consente all'autrice di estrinsecare una visione del mondo quanto mai cupa, mostrando come l'universo carcerario può diventare una metafora perfetta della prigione mentale fatta di paure, meschinità, egoismi, frustrazioni, insofferenza, impotenza, manie in cui ciascun personaggio, e forse ciascuno di noi, è rinchiuso; a cui ciascun personaggio - e forse ciascuno di noi - finisce per essere più o meno rassegnato. 
 
Voto: 7,5

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