lunedì 5 agosto 2019

Marion Messina, "Falsa partenza", La nave di Teseo


 Falsa partenza è un romanzo che sviluppa narrativamente il tema precarietà esistenziale: i due giovani protagonisti, Alejandro e Aurelie, infatti, vivono ciascuno a suo modo quell'esperienza di totale spaesamento professionale, politico, sociale e - di conseguenza - identitario in cui ormai da diversi anni, nel mondo occidentale, si impantanano folle di ragazzi con un livello di istruzione medio alto e con grandi aspettative nei confronti del futuro, ma privi della determinazione, della maturità e di una visione del mondo sufficientemente profonda per affrontare le difficoltà, le battute d'arresto e le brutte sorprese che la nostra disarticolata realtà può riservare.
 Alejandro è uno studente universitario colombiano di buona famiglia, trasferitosi in Francia, a Grenoble, per completare il proprio percorso formativo con quell'esperienza all'estero che non può mancare nel bagaglio di ogni rampollo della buona borghesia di un Paese sudamericano. In realtà, egli si è trovato catapultato in un contesto assai diverso da quello che si aspettava, emigrante fra emigranti, costretto a fare i conti con il poco denaro a disposizione, disgustato dalle peculiarità della propria patria e dei propri compatrioti - che vorrebbe lasciarsi definitivamente alle spalle - eppure indotto a socializzare principalmente con i suoi connazionali. 
 Privo di sogni e obiettivi chiari, in una città molto più fredda del previsto, il giovane finisce per vivere alla giornata, fra letture disordinate, serate alcoliche con gli amici, massicce dosi di pornografia e fugaci esperienze erotiche con tutte le donne che può portarsi a letto senza subire conseguenze.
 Aurelie, invece, è una ragazza di appena vent'anni di famiglia proletaria, nata a Grenoble (la prima della sua schiatta ad aver centrato brillantemente il traguardo della maturità e a essersi iscritta all'Università), che per tutta la sua adolescenza si è illusa di potersi elevare al di sopra della condizione dei suoi genitori semplicemente con le sue doti e con il duro lavoro, ma che ora si rende conto - sulla scorta dei titoli di studio generici ottenuti in una scuola di provincia e di una preparazione più che buona, ma difficilmente spendibile nel mondo del lavoro e non sufficiente a garantirle il successo negli atenei più prestigiosi - di non avere grandi prospettive, di non poter ambire davvero a niente di importante, e di faticare persino a ottenere le modeste sicurezze sulle quali hanno sempre potuto contare i suoi genitori.
 Desolati e scoraggiati, i due giovani - conosciutisi durante i turni di lavoro part time presso la stessa azienda di pulizie - potrebbero forse trarre nuovo slancio dall'attrazione e dal sentimento amoroso (acerbo, ma appassionato, tenero e non banale) che nasce fra loro; eppure, soprattutto per via dell'ignavia e dell'appannamento di Alejandro, quando entrambi decidono di prendere la via di Parigi per tentare la fortuna, il loro legame si scioglie.   

 Marion Messina

 Il fatto è che per tutti e due, a Parigi, le stesse difficoltà incontrate a Grenoble si ripresenteranno ingigantite e divenute ancora più amare e scoraggianti. 
 Aurelie - entrata in una fase di stallo con i suoi studi - si troverà impigliata nel ruolo di "addetta all'accoglienza" presso un'agenzia al servizio di diverse istituzioni pubbliche e private: un mestiere che consiste semplicemente nel sorridere e nell'apparire in qualche modo indaffarata, un lavoro malpagato e umiliante (nonostante le qualifiche assurdamente alte richieste per poterlo svolgere) per chi ha studiato al fine di poter fare qualcosa di meno meccanico ed elementare.
 Alejandro dal canto suo, continuerà a trascinare un'esistenza abbastanza scioperata fra le bevute con gli amici, il sesso occasionale e corsi universitari più o meno inconcludenti.
 Per caso, a un certo punto, i due ragazzi si ritroveranno: Aurelie, ora davvero innamorata di Alejandro, proverà a costruire insieme a lui una relazione solida e duratura; ma il progetto fallirà miseramente.
 Nella maniera più dolorosa, Aurelie prenderà atto del fallimento proprio nel momento in cui si scoprirà incinta del fidanzato; la scelta di abortire - compiuta a malincuore - sancirà la chiusura di una fase della sua vita piena solo di speranze deluse, e archiviabile in via definitiva sotto l'etichetta "false partenze".
 Gli argomenti trattati non sono nuovi, anche se il libro è ben scritto e la narrazione è senz'altro coinvolgente, grazie soprattutto alla gestione "a elastico" del punto di vista, che con continui rilanci passa senza preavviso dall'uno all'altro dei due protagonisti, ciascuno dei quali lo detiene per lunghi tratti (anche se infine a diventare preponderante è la prospettiva di Aurelie).
 A me, però, sulla sostanza del testo e sulla tesi che ne emerge (quella per cui il sistema socio-economico in cui viviamo è in tutto e per tutto deprecabile, in quanto incompatibile con uno sviluppo armonico delle potenzialità insite in ciascun individuo) resta più di un dubbio.
 Che il nostro non sia il migliore degli assetti economici possibili è senz'altro vero; ma lamentazioni, denunce o contestazioni che fanno discendere da esso, in astratto, ogni male partono da un presupposto sbagliato perché prescindono dal fatto che, troppe volte, gli esponenti delle ultime generazioni (e ci metto anche la mia, per quanto cominci a essere piuttosto stagionata) hanno guardato alla vita e al proprio futuro con una superficialità e una mancanza di fantasia disarmanti, adottando pedissequamente la prospettiva, i paradigmi, l'intero sistema di valori dei propri genitori, senza l'elasticità, la consapevolezza e la voglia di fare sacrifici delle generazioni precedenti.
 Di fatto, molti giovani pretendono di percorrere comodamente una strada già spianata anziché sforzarsi di tracciare il proprio sentiero.
 Nella fluidità degli equilibri di un panorama dominato dall'economia di mercato, ma non privo di tensioni dialettiche che possono determinare gradi diversi di regolazione dei meccanismi di produzione e di distribuzione, l'incapacità di mettersi in gioco - rischiando in prima persona - per migliorare la propria vita e quella degli altri è sintomo di mancanza di coraggio, dell'assenza di una acuta visione del mondo e anche della scarsità di quello spirito gregario che è indispensabile per qualsiasi seria azione politica e per ogni valida iniziativa sociale.
 Ma la logica del racconto elude tutti questi problemi, preferendo adagiarsi nel solco delle doglianze tipiche della vulgata ormai incorporate dal senso comune.

Voto: 6 -  

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