sabato 17 agosto 2019

Paolo Rumiz, "Il filo infinito", Feltrinelli


 I libri di viaggio di Paolo Rumiz scaturiscono talvolta da uno scrupolo identitario, o da un intimo bisogno di ricostruire una verità storica dimenticata, talaltra, semplicemente, dall'ebbrezza della scoperta alimentata dall'immaginazione.
 Ma qui è tutto diverso, perché il progetto del viaggio e il libro che ne è il resoconto nascono dal disagio, dalla preoccupazione profonda, dalla paura suscitata dalla constatazione del degrado della coscienza civile dell'Italia e dell'Europa che scivolano verso la xenofobia e il razzismo.
 Quali sono le cause di questa incresciosa situazione? I sentimenti miserabili che furono all'origine delle peggiori tragedie del nostro passato recente ritornano a galla più facilmente per via degli scompensi e del disorientamento provocati in larghi strati della popolazione dalle ondate migratorie che caratterizzano la nostra epoca, ma soprattutto sono la conseguenza dei deliri indotti dalla politica deteriore imperniata sulla più ottusa e degenere delle ideologie: il nazionalismo.
 Il nazionalismo è il primo responsabile della legittimazione dell'odio verso il "diverso" e lo straniero e, contemporaneamente, del tentativo di destrutturazione del patrimonio comune europeo che oggi potremmo finalmente ereditare dalla virtuosa interpretazione della nostra storia plurimillenaria. 
 Rumiz si chiede se proprio nella nostra identità culturale italiana ed europea non esista un antidoto efficace ai rigurgiti nazionalisti, e crede di poterlo trovare nella lezione dell'uomo che forse per primo, partendo dalla sostanza solidaristica del messaggio evangelico, in un'epoca di invasioni vere, di scontri violentissimi e di latitanza dello Stato di diritto quale quella che seguì alla dissoluzione dell'Impero romano d'Occidente, gettò le fondamenta di una comune coscienza europea: San Benedetto da Norcia, figlio dell'Appennino, capace di coniugare, ordinandole su un medesimo piano, la potenza ctonia delle Sibille dell'età classica con la forza irresistibile del messaggio di Cristo.
 Benedetto - se davvero un personaggio con questo nome e di questo calibro esistette (alcuni studiosi ne dubitano) - concepì intorno ai principi essenziali della preghiera e del lavoro una Regola in 63 capitoli sulla quale basare la convivenza di gruppi di monaci in comunità nel contempo chiuse a protezione dei propri valori fondanti e capaci di aprirsi al mondo circostante per civilizzarlo e al territorio di pertinenza per fertilizzarlo.
 Stanzialità e diffusione geografica (stabilitas in cogregatione). Disciplina ed esercizio della democrazia (l'abate è eletto dalla comunità monastica e periodicamente la sua carica viene rimessa in discussione). Importanza dello studio e impegno nel lavoro manuale. Esercizio del silenzio e sublimazione della preghiera attraverso la musica e il canto. Senso di appartenenza e capacità di accoglienza. Radicamento della fede nella materialità dell'esistere e tensione costante verso l'elevazione spirituale. 

Paolo Rumiz

 Tutto questo furono le comunità di monaci benedettini sparse per l'Europa, da nord a sud, da est a ovest; e ancora, centro di attrazione e principio di creazione di benessere per i territori di pertinenza, fortilizio su cui potevano fare affidamento i contadini in caso di pericolo e irresistibile richiamo per la cristianizzazione dei barbari invasori. 
 Ai benedettini si deve persino la diffusione della birra, la più europea delle bevande, sbarcata in Calabria grazie ai monaci copti d'Egitto, codificata nella sua ricetta attuale presso l'abbazia di San Francesco di Paola, capace di risalire la Penisola fino alla Padania lungo la dorsale appenninica per poi valicare le Alpi per diffondersi a Est e a Nord, presso i tedeschi e poi i belgi.
 Sulla base di queste osservazioni, di queste constatazioni e di queste suggestioni viene impostato il viaggio di Rumiz, in 14 tappe, alla ricerca della trama capace di tenere insieme, legandole alle medesime istanze, la cultura e la mentalità europee: quel filo infinito di cui si parla nel titolo del libro.
 I 14 presidi che vengono toccati in angoli diversi d'Europa, a ciascuno dei quali viene dedicato un capitolo (Praglia, in Veneto; Sankt Ottilien, in Baviera; Viboldone, in Lombardia; Muri Gries, in Sud Tirolo; Marienberg, di nuovo in Sud Tirolo; San Gallo, in Svizzera; Saint-Wandrille, in Francia; Orval, in Belgio; Altotting, in Germania; Niederalteich, in Germania; Pannonhalma, in Ungheria; Camerino, nelle Marche; San Giorgio Maggiore, di nuovo in Veneto) costituiscono, in maniera diversa, altrettanti esempi di come la fedeltà alla Regola benedettina - declinata di volta in volta attraverso il cibo, la luce, la musica, la parola, la preghiera, il silenzio, la libertà, la generosità, la solidarietà - funga da argine al dilagare della grettezza particolaristica e dell'egoismo xenofobo. 
 Addirittura, in Ungheria, dove gran parte del clero, sovvenzionato dallo Stato, si piega ai blasfemi dettami della propaganda nazionalistica di Viktor Orban, i monasteri - grazie alla loro indipendenza - contro tutto e tutti riescono a mentenere vivo il valore dell'accoglienza dei profughi stranieri.
 Seguire Rumiz nelle sue peregrinazioni, così, finisce per avere un effetto corroborante e salutare; anche perché la sensazione è che il bandolo della matassa di quel filo che costituisce la trama culturale dell'Europa civile venga davvero recuperato, e fornisca tutti gli argomenti razionali, emotivi, storici - addirittura mistici - "per smuovere il potere e abbattere le ruspe dell'intolleranza".

Voto : 8

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