domenica 7 novembre 2021

Roberto Calasso, "Bobi", Adelphi


 Pubblicato subito dopo la morte di Roberto Calasso, il libro prova a inquadrare la figura affascinante e sfuggente di Bobi Bazlen, uno dei personaggi culturalmente più rilevanti del Novecento italiano per via dell'influenza straordinaria che ebbe sullo sviluppo della nostra editoria e per la sua capacità di individuare e portare al centro della scena scrittori in precedenza trascurati o considerati periferici.
 A lui si devono, ad esempio, gran parte della fortuna di Svevo, di cui fu amico (fu Bazlen a spingere Montale a recensirlo, dando così un impulso eccezionale alla sua diffusione), la conoscenza in Italia dell'opera di Kafka (che leggeva in originale, essendo di madrelingua tedesca), la divulgazione delle teorie psicanalitiche (specie quelle di matrice junghiana).
 Alcuni anni fa ebbi l'occasione di leggere una informatissima biografia di Bobi Bazlen a opera di Cristina Battocletti in cui, per successivi blocchi tematici, si cercava di ricostruire le varie fasi della vita dell'intellettuale triestino, senza riuscire però, a mio parere, a coglierne l'essenza. 
 Calasso compie invece un'operazione totalmente diversa: rispettando, in un certo senso, la vaghezza consustanziale al carattere di Bazlen (che, lo ricordiamo, scelse di non pubblicare nulla di proprio in vita, e di agire culturalmente attraverso i libri degli altri), punta su un approccio rabdomantico, abbozzandone uno schizzo letterario attraverso il ricordo di alcuni estremporanei episodi riconducibili alla frequentazione diretta di Bobi o riferiti da comuni conoscenti.
 In questo modo, la specificità del personaggio riesce singolarmente esaltata; molto più di quanto avvenisse in quella biografia "regolare". Moltissimo mi pare che dica, a questo proposito, la descrizione della stanza di Bobi Bazlen in via Margutta 7 a Roma: 
"La stanza di Bobi dava l'impressione di un perfetto ordine, senza per quesro essere particolarmente ordinata. A sinistra un letto, dove si svolgevano le sue funzioni più importanti: leggere, scrivere, dormire. Alcune pile di libri, alcuni stabili, altri di passaggio. Si riconosceva subito la differenza. Un minuscolo tavolino in mezzo. In un angolo, il fornello per il caffè. Bobi aveva un suo maglione norvegese marrone scuro, una tonalità attenuata dal tempo, che mi piacque subito. Non era l'uomo adatto per i preamboli. Subito parlava della traduzione, di Williams, dello stile della Campo".
(Chissà perché mi viene in mente l'attacco di una poesia di Vittorio Sereni dedicata a un altro grande triestino, Umberto Saba: "Berretto pipa bastone, gli spenti / oggetti d'un ricordo. / Ma io li vidi animati indosso a uno / ramingo in un'Italia di macerie e di / polvere.").
 
Roberto Calasso
 
 E poi, la ricostruzione della sua capacità straordinaria di trovare libri che andassero oltre il senso comune, di trovare nei libri quello che andava oltre il senso comune:
"Tutto quello che Bobi diceva sui libri era ciò che più mi attirava, mi colpiva e poi rimuginavo, provando a collegare i punti, talvolta lontanissimi. Ma c'era qualcosa di precedente, e forse più importante, che sosteneva le sue parole. Con lui, per la prima volta, avevo l'impressione di qualcuno che fosse riuscito a sbarazzarsi di tutte le idee correnti (ed erano tante, allora - e pesanti, difficili da smuovere)".
 E ancora, i lapidari giudizi, rapidi e inappellabili, che tendono come lampi a illuminare il personaggio:
"Bazlen era inadatto a qualsiasi funzione, se non quella di capire e di essere".
  Notevole è la sottolineatura della complessità e dell'ambivalenza dei rapporti che Bazlen mantenne per tutta la vita con coloro che gli erano vicini, e che in qualche modo si sentivano in soggezione al suo cospetto, o erano urtati dalla sua irriducibilità alle categorie entro le quali comunemente si inquadra un intellettuale; come Carlo Emilio Gadda o come Eugenio Montale, che alla sua morte fu incaricato di scriverne il ricordo ma, quasi contro la propria volontà, "più voleva lodarlo, più lo denigrava".
 Necessario è soffermarsi sull'avventura editoriale che ha riempito la vita di Calasso, ma che proprio da Bazlen ricevette l'energia culturale indispensabile per l'iniziale abbrivio. Come riconosce l'autore: "L'opera compiuta di Bazlen fu Adelphi". Al di là dei suggerimenti su come impostare il lavoro editoriale, sui classici trascurati da altri che costituirono le pietre angolari dell'impresa, fondamentale risultò il carattere che Bazlen riuscì a conferire alla scelta degli altri testi da pubblicare:
"Per lui, essenziali erano quelli che chiamava libri unici - e potevano avere forma di romanzi o memorie o saggi o, in breve, di qualsiasi altro genere. Ma comunque dovevano nascere da un'esperienza diretta dell'autore, vissuta e trasformata in qualcosa che spiccasse, solitario e autosufficiente".
 Molto racconta di Bobi anche la sua predilezione per le "bettole", ovvero "una stanza spoglia, con pochi tavoli di legno, pochi avventori, niente musica, un vino tollerabile": una tipologia di locale che già nell'Italia degli anni sessanta andava scomparendo.
 Quella che a me sembra la migliore fotografia di questo letterato unico è, però, deducibile dai giudizi da lui espressi su Sigmund Freud per il settimanale "Omnibus" nel 1947: come, per tutta la vita, Bazlen riuscì a esprimersi attraverso libri non scritti da lui, così dopo morto sembra parlare di sé - magari per contrasto - discutendo di un altro. Dice dunque Bazlen:
"Freud scava in profondità, esamina in profondità, esperimenta in profondità, scopre in profondità. Ma non concepisce altre realtà intorno a lui, non immagina altri valori al di fuori di quelli nell'ambiente in cui è nato e vissuto. E l'ambiente era piccolo, sazio, arrivato; digeriva su basi solide e conosciute che il positivismo di allora considerava eterne. Gente che alla lotta per la vita aveva sostituito la lotta per la carriera...".
 Un giudizio che sembra un sigillo, anche se Calasso chiosa: "Non c'era una sola parola da togliere. E nessuna parola potrebbe essere sostituita. Anni dopo, in una situazione simile, quasi tutto andrebbe tolto e sostituito".
 
In poche parole: pubblicato subito dopo la morte di Roberto Calasso, il libro prova a inquadrare la figura affascinante e sfuggente di Bobi Bazlen, uno dei personaggi culturalmente più rilevanti del Novecento italiano per via dell'influenza straordinaria che ebbe sullo sviluppo della nostra editoria e per la sua capacità di individuare e portare al centro della scena scrittori in precedenza trascurati o considerati periferici.
A lui si devono, ad esempio, gran parte della fortuna di Svevo, di cui fu amico (fu Bazlen a spingere Montale a recensirlo, dando così un impulso eccezionale alla sua diffusione), la conoscenza in Italia dell'opera di Kafka (che leggeva in originale, essendo di madrelingua tedesca), la divulgazione delle teorie psicanalitiche (specie quelle di matrice junghiana).
Per rievocare Bobi, Calasso utilizza un approccio rabdomantico, abbozzandone uno schizzo letterario che passa attraverso il ricordo di estemporanei episodi, di singole frasi, di lapidari giudizi, di memorabili suggerimenti; un approccio perfettamente confacente al carattere del personaggio, e che risulta più efficace che mai.
 
Voto: 7

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