domenica 28 novembre 2021

Michele Mari, "Le maestose rovine di Sferopoli", Einaudi

 

 Michele Mari, fra gli autori italiani contemporanei, è lo scrittore della curvatura dell'io, dell'eterna persistenza dell'infanzia (nel senso etimologico del termine), della bramosia inappagata e del disagio esistenziale connaturato alla convivenza con il mistero rappresentato dalla propria stessa coscienza. Tali caratteristiche ritornano tutte in questa strana raccolta di racconti - o per meglio dire, di scritti ibridi - intitolata Le maestose rovine di Sferopoli.
 Alto e basso, citazione proverbiale e raffinata ripresa di motivi colti, riflessione filosofica e scherzo, resoconto tassonomico e afflato lirico convivono nel testo, quasi a indurre nel lettore che cerca di designare o di classificare il libro lo stesso smarrimento di cui sono preda i protagonisti o i narratori delle storie raccontate.
 A ben vedere, infatti, proprio lo smarrimento appare il sentimento dominante nella maggior parte dei 25 scritti proposti. Prendiamo il pezzo di apertura del testo: Strada Provinciale 921 è, all'apparenza, un brano estratto da una guida turistica che, con il linguaggio proprio della guida turistica, scorta il malcapitato viaggiatore oltre il "passo della Furca", lungo la "valle del Bramone" e più avanti ancora, in un lunghissimo percorso fra montagne e mare, attraverso boschi e lungo scogliere, fino a luoghi orrorifici che palesano il fatto che lo scritto che si sta leggendo è un vero e proprio baedeker dell'assurdo.
 O prendiamo Sghru, dove un professore universitario, nel corso di un esame di Letteratura italiana, interroga sull'ode foscoliana All'amica risanata uno studente assolutamente impreparato, addirittura sprovvisto dei minimi prerequisiti tecnici necessari per accostarsi all'analisi formale di un testo in versi; quando però lo studente pretende di tradurre il testo di Foscolo nella sua inidentificabile lingua madre, improvvisamente il professore si sente trascinato "nell'Ellade, se era l'Ellade, fra divinità olimpiche e creature abnormi espresse dalla Terra, ircocervi e satiri dal piede caprino, ed eroi, e mostri, e fanciulle seminude che versavano ambrosia nelle coppe, e navi, e incendi, e profeti canuti, e larve guerriere, e cerve, e tritoni, e cavalli, tantissimi cavalli dal manto lucente...": come se quell'irrituale escursione ricordasse di punto in bianco come lo spirito della poesia risieda in qualcosa di profondo, metamorfico e sfuggente a qualsiasi tentativo di normalizzazione accademica dell'espressione artistica. Tanto che l'esame si conclude per il bizzarro studente con un trenta e lode, che l'attonito insegnante si sente costretto a elargire.
 Lo smarrimento trascolora in angoscia quando Mari si appoggia ai paradigmi della letteratura del mistero e dell'orrore, e li piega alla propria sofisticata visione della realtà. Come in Argilla, dove si parla degli otto rabbini più potenti del mondo che, ogni anno, si danno appuntamento presso una cava di argilla per una spaventosa gara fra i Golem da essi creati. Naturalmente, a un certo punto, al più incauto fra loro, il gioco sfugge di mano, con conseguenze terribili per l'umanità intera.
 
Michele Mari
 
 O come in Boletus edulis, dove l'antica rivalità fra i parroci di due paesi contigui in alta val Seriana, originatasi chissà come, degenerata in un odio reciproco dissimulato ma feroce, e tradottasi in una competizione apparentemente innocua fra i due prelati calati nelle vesti di cercatori di funghi, spinge i due uomini addirittura al delitto, nella logica viziosa di un contrasto dove conta non tanto prevalere, ma schiacciare l'altro, vederlo soffrire e infine distruggerlo.
 Se, nella sua ricerca dei risvolti oscuri che si celano dietro la realtà come siamo abituati a percepirla, la sponda scelta da Mari - con la sua vasta cultura e la sua notevole abilità mimetica - è costituita da un'opera di particolare livello letterario, il risultato finale sfiora il capolavoro. Quando ad esempio, in Il falcone, l'autore parte dalla novella boccacciana di Federigo degli Alberighi (nona novella della quinta giornata del Decameron) per rovesciarne l'approdo dando spazio, in una riscrittura perfettamente eseguita in italiano trecentesco, alle ombre e ai sentimenti ambigui che albergano nelle pieghe della vicenda narrata, e che il pensiero di migliaia di studenti certamente ha sfiorato e sfiora in continuazione, la vita improvvisamente ci sembra poggiare su fondamenta assai meno stabili e rassicuranti di quelle che il nostro ostinato ottimismo di solito vuole considerare.
 Ugualmente efficaci appaiono quei racconti che fanno appello alla singolare capacità dell'infanzia e dell'adolescenza di trasfigurare il reale in chiave fantastica e spesso angosciosa. E' un discorso che vale per Tema in III C, per Storia del bambino triste, per Scarpe fatidiche (che ricorda molto il celebre La giacca stregata di Dino Buzzati), per Dialogo tra Leopold Mozart, Wolfgang Amadeus Mozart e un venditore di formaggi.
 Non mancano, secondo un consolidato costume di Michele Mari, i divertissement verbali o concettuali, che alleggeriscono il tono, ma incorporano sempre riferimenti seri e un paradossale rovesciamento del senso comune, tanto da riuscire talvolta a far correre un brivido lungo la schiena: si pensi a Come venne ricordato mio padre nel cimitero di Lambrate, a Medio Evo, a Scioncaccium e alle ingegnose Variazioni Goldberg, che sfidano la cultura del lettore e ne stimolano la memoria.
 Insomma: con Mari vale sempre la pena.
 
In poche parole: Michele Mari, fra gli autori italiani contemporanei, è lo scrittore della curvatura dell'io, dell'eterna persistenza dell'infanzia (nel senso etimologico del termine), della bramosia inappagata e del disagio esistenziale che si prova al cospetto della propria coscienza, e del mistero che essa rappresenta. Tali caratteristiche ritornano tutte in questa strana raccolta di racconti - o per meglio dire, di scritti ibridi - intitolata Le maestose rovine di Sferopoli. 
Alto e basso, citazione proverbiale e raffinata ripresa di motivi colti, riflessione filosofica e scherzo, resoconto tassonomico e afflato lirico convivono nel libro, quasi a indurre nel lettore che cerca di decodificare il testo lo stesso smarrimento di cui sono preda i protagonisti o i narratori delle storie raccontate. 
 
Voto: 7

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