domenica 27 maggio 2018

Annie Ernaux, "Una donna", L'Orma


 Nell'ambito della complessa, frastagliata autobiografia che l'intera produzione letteraria di Annie Ernaux va componendo pezzo dopo pezzo, questo è il capitolo specificamente dedicato alla figura della madre. Il testo fu scritto nei mesi immediatamente successivi alla scomparsa della donna, fra l'aprile 1986 e il febbraio 1987. Non fu, però, un libro composto di getto: comportò, al contrario, una stesura difficile, piena di more, di ostacoli, di titubanze, di blocchi psicologici da superare per ridare vita alla persona probabilmente più importante in assoluto nella parabola biografica dell'autrice.
 La necessità della scrittura nasce proprio dall'esigenza di dare luogo a questo processo: tratteggiare una storia di chi è di fatto senza storia (perché semplicemente, per la Ernaux, sua madre "c'è sempre stata"), dare la vita a chi ti ha dato la vita, restituire la pienezza umana degli anni migliori e la dignità del ricordo a una donna che, nell'ultima fase della propria esistenza, è regredita a uno stato di infantile inconsapevolezza di sé, prima di tornare a dissolversi nel non-essere.
 La narrazione parte dal racconto della morte della madre, del suo funerale, del ritorno della salma nella nativa Yvetot - in Normandia, tra Rouen e Le Havre - del senso di vuoto e di disorientamento che sempre segue la scomparsa di chi ci è vicino, quando ogni cosa ci sembra futile, e le piccole incombenze quotidiane risultano offensivamente prive d'importanza.
 In questo stato d'animo, l'atto di scrivere sembra più vero della vita, e diventa indispensabile per restituire verità alla vita: prende forma così un tentativo di geolocalizzazione di un'esistenza, qualcosa che "si situa probabilmente all'intersezione tra famigliare e sociale, tra mito e storia", ma che ci si augura resti pudicamente "al di sotto della letteratura".
 La madre di Annie Ernaux nacque a Yvetot nel 1906, e lì passo tre quarti della sua vita. Figlia di un carrettiere e di una sartina, crebbe in un ambiente rurale, senza grandi prospettive e senza la speranza di potersi in qualche modo emancipare davvero dalle sue umili origini: concretamente poteva, al più, ambire ad affrancarsi dal lavoro duro e sgradevole dei contadini e dei mandriani.
 Dopo un'infanzia consistente pressapoco in "un appetito mai sazio", lasciò la scuola a 12 anni - nonostante il fatto che i suoi buoni voti avrebbero potuto permetterle di accedere al corso per diventare maestra elementare - per entrare come operaia in una fabbrica di margarina; successivamente si impiegò in una corderia che aveva aperto poco lontano dalla città.
 La mentalità operaia, l'orgoglio operaio, i limiti della condizione operaia permearono in questa fase il suo essere al punto da determinarne tutti gli atteggiamenti: il modo brusco di parlare, la violenza nei gesti, il buttarsi sul cibo con foga, persino la maniera di ridere, gettando indietro la testa. Fortunatamente non cadde, come molti altri della sua classe e della sua stessa famiglia, vittima dell'alcolismo.
 Si sposò nel 1928. All'epoca, per una ragazza della sua condizione, il matrimonio poteva rappresentare "la speranza di cavarsela meglio in due o il tracollo definitivo". Fu fortunata. Col marito - operaio come lei, ma di una famiglia più ricca della sua, non troppo soddisfatta di quell'unione -, nel 1931, rilevò uno spaccio alimentare, un bar-drogheria, a Lillebonne, un villaggio operaio poco lontano dal comune natio: i primi anni del nuovo mestiere furono durissimi, ma trasformarsi in commerciante volle dire accedere a un'insperata occasione di promozione sociale. 
 Ebbe anche una figlia che, nel 1938, a sei anni, morì drammaticamente di difterite. Se quella bambina non fosse morta, Annie non sarebbe mai nata: la coppia aveva infatti deciso di avere un solo figlio per riversare su di lui tutte le proprie speranze di un domani migliore.

Annie Ernaux

 La guerra vide una donna fiera e coraggiosa, capace di badare a una figlia piccolissima (Annie nacque nel 1940) nel Paese occupato dai nazisti, e di aiutare, con i rifornimenti di cui il proprio negozio divenne collettore, coloro che maggiormente ne avevano bisogno.
 Dopo la guerra tutta la famiglia tornò a Yvetot, rilevando un'attività commerciale analoga a quella avviata a Lillebonne. I ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza di Annie, le rispolverate fotografie di quell'epoca mostrano la madre ancora bella, piena di forze, orgogliosa e saldamente ancorata al suo ambiente e ai suoi valori. Furono anni di attriti sempre più aspri con la figlia, sempre più desiderosa mano a mano che cresceva di uscire da quel contesto, di stare differentemente al mondo, di sperimentare un diverso modo di essere. 
 Al classico contrasto generazionale tra madre e figlia, si aggiunsero dunque i sussulti derivanti dallo scontro di due diverse mentalità in un mondo in trasformazione. In questa parte del libro si trovano alcuni degli episodi più emblematicamente significativi di questa fase di passaggio: come quando, al momento del menarca, la madre porge arrossendo un pannolino ad Annie, senza guardarla e senza aggiungere una parola; o come quando Annie, approfittando della libertà di cui comincia a godere all'epoca del liceo, assume tutti quei comportamenti "scostumati" che la madre più temeva che assumesse.
 Poi vennero la laurea della giovane donna, il suo matrimonio, il suo trasferimento a Bordeaux, il suo ingresso in un ambiente borghese, affatto diverso da quello in cui era cresciuta, che la allontanarono da sua madre (quasi imbarazzata di fronte alla nuova dignità della figlia, per cui tanto aveva lottato) e, dopo qualche ulteriore incomprensione (per cui la figlia apparve a momenti alla madre quasi come "un nemico di classe") smussarono in parte gli angoli dei loro contrasti.
 La morte del padre, la chiusura del negozio, il successivo trasferimento della madre nella casa di Annie ad Annecy, per aiutarla a crescere i suoi figli, inaugurarono un'epoca nuova, di inedita concordia. 
 Un nuovo trasferimento della famiglia nella periferia parigina, in una anonima cittadina allora in costruzione, indusse la donna a prendere la decisione di tornare a Yvetot, dove si ritirò in un minuscolo monolocale; questo fino al sopravvenire della demenza senile, fino al triste ricovero in un istituto per anziani, fino alla fine. 
 Si concentrano, in quest'ultima parte del testo, alcuni dei passi più impressionanti, come la descrizione da parte dell'autrice del permanere, nella generale destrutturazione della personalità della madre indotta dal morbo di Alzheimer, di alcuni tratti del carattere coagulatisi in comportamenti precisi: nella voracità dell'appetito, ad esempio, o nel completo dissolversi della propensione verso la religione a favore di più basilari trasporti estetici (verso i fiori, ad esempio); passi che fanno della ricostruzione della figura della madre in piena decadenza una sorta di studio umano di valore universale.
 E la conclusione, assolutamente memorabile. "Non ascolterò più la sua voce. Era lei, le sue parole, le sue mani, i suoi gesti, la sua maniera di ridere e camminare, a unire la donna che sono alla bambina che sono stata. Ho perso l'ultimo legame con il mondo da cui provengo". 
 Il libro è bello, come tutti quelli di Annie Ernaux: vivo, pulsante, intimo, diretto, potente; porta in mezzo alle cose di cui parla, al punto che, alla fine, il lettore matura quasi l'impressione che esse siano entrate a far parte anche della propria biografia immaginaria.

 Voto: 7

sabato 19 maggio 2018

Giovanna Rosadini, "Fioriture capovolte", Einaudi


 Raccolta costituita in tutto da 56 poesie: un componimento di apertura (Considera quel che è stato consumato), uno di chiusura (Si scrive sul vuoto e sull'assenza), più altri 54 componimenti suddivisi in quattro sezioni (Il mare fuori stagione; Lo spazio bianco; l'eponima Fioriture capovolte; Un ritorno. Gli anni belli dell'università).
 Considerato un approdo nel percorso letterario della poetessa ligure, il libro ha radici abbastanza chiaramente autobiografiche, laddove il poetare diventa occasione per tracciare un bilancio della propria esistenza dall'osservatorio privilegiato della mezza età, che consente di valutare i progetti portati a compimento, di rimpiangere ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, di assaporare la nostalgia per ciò che è stato e non potrà più essere.
 Queste poesie sono improntate a un lirismo colmo e raccolto, talvolta tendente all'ermetismo ma senza diventare mai astrusamente solipsistico. Il verso è ancorato alla tradizione italiana novecentesca: flirta continuamente con moduli metrico prosodici codificati, ma se ne sa distaccare con una certa disinvoltura quando le ragioni espressive lo richiedono; ricerca insistentemente una musicalità che renda più fluida e piacevole la lettura, ma non ne diviene mai schiavo; si affida sovente alla rima - spesso interna, spesso semplice - alla fine della singola strofa o dell'intero componimento, dando vita a uno scatto che dona talvolta alla chiusura un piglio sentenzioso.
 Il ricorso a immagini dal tenore metaforico è costante: a volte servono a rappresentare in maniera plastica uno stato d'animo altrimenti astratto ("Si leveranno gli animali disegnati / coi gessetti sui sentieri, i pesci torneranno / al mare, le lepri ad esser cacciagione / nei poderi, gli uccelli in alto, ai loro voli", da Adesso vado al parco con il cane; "L'aria entra senza sforzo, / la sfoglia, la spoglia. Luce che penetra / l'ombra. Ramo che si allunga. / Gestazione silenziosa della gemma", da Nulla, non deve fare nulla. Lasciare), altre volte hanno lo scopo di trovare un concreto appiglio cui assicurare un concetto ("da tempo sono arresa all'invisibile / quel che ho da dire al mondo / si è rappreso in un coagulo di gelo", da Il silenzio mi attraversa come una ferita). 

Giovanna Rosadini

 A prevalere è però un discorso concettosamente evocativo, in cui il fluire della descrizione dei sentimenti attraversati risponde a una logica intuitiva, che si chiarisce e si consolida nella mente del lettore con il permanere nella memoria delle parole, e del riecheggiare reiterato del loro suono ("Tutto è verde e tenero, elettrico, / tutto parla di voler essere e fare. / Tutto traspare, assume un nome / che non aveva, tutto diventa. / Evidente. Nei sensi. Nel gusto. / Vedere e toccare, sentire. / Imparare a dire, osare sbagliare, / pagare. Sentirsi pieni, di forza, / grattare la scorza del mondo, /per andare a fondo.", da Da un lato la vertigine).
 L'arco diacronico e diatopico lungo il quale si sviluppa la raccolta passa attraverso le diverse età (l'infanzia, l'adolescenza, l'età adulta) e i luoghi (Genova, Venezia, Roma, Milano) che inquadrano i momenti successivi della vicenda biografica dell'autrice. Non si tratta per la verità di un arco continuo, ma frammentato: soprattutto nella prima parte del libro, i vari piani si incrociano e si sovrappongono, così da individuare, nelle intersezioni, momenti del passato particolarmente significativi (come in Adesso vado al parco con il cane, in cui, con mal dissimulata nostalgia, si rievoca l'epoca in cui i figli erano ancora piccoli, e persi nei loro giochi e nelle loro piccole fantasie; o come in Dieci anni, in cui si ricorda un'amica morta).
 Se devo indicare la poesia che mi piace di più, scelgo questa:

E' lo sguardo degli altri a mantenerci in vita
siamo un'impronta che rimane al cuore
di chi ci preme, a germogliare sulla ferita
il tralcio, il fiore oscuro che lega insieme

 Mediamente, comunque, il livello delle liriche presentate è sempre alto, e il libro risulta di piacevole lettura. 

Voto: 7

domenica 13 maggio 2018

Letizia Muratori, "Spifferi", La nave di Teseo


 Raccolta di sei brevi racconti del mistero, caratterizzati da un'atmosfera rarefatta e sospesa, in cui prendono forma degli spettri che, nell'economia della narrazione, costituiscono l'oggettivazione di timori e dolori rimossi o elusi dai protagonisti attraverso un processo di astrazione spesso sofisticato, ma che finisce sempre per essere frustrato dalle trappole che la nostra psiche costantemente tende alla nostra volontà.
 Il primo racconto, Rispondi a Dimitri, è la storia di una specie di stalking telefonico durato venticinque anni: un'anziana coppia di coniugi in pensione - lui medico, lei insegnante - in procinto di trasferirsi in un appartamento più piccolo di quello che hanno sempre abitato in seguito alle insistenze della figlia, che ha già provveduto a disdire il loro contratto con la compagnia telefonica, quasi si rammarica di non poter più ricevere le chiamate di Dimitri, uno strano personaggio che da cinque lustri telefona a casa loro quotidianamente, sostenendo di essere stato un paziente del dottore. Le telefonate hanno a volte risvolti inquietanti: capita che il disturbatore resti dietro l'apparecchio senza profferire parola, in un silenzio teso; altre volte sembra colloquiare con una seconda persona, presumibilmente la madre, a cui però si sospetta che sia lui stesso a dare artificialmente vita, parlando in falsetto, come una sorta di novello Norman Bates.
 Le indagini della figlia della coppia porteranno allo scoperta di una realtà speculare rispetto a quella supposta: a parlare al telefono è la madre del presunto autore delle chiamate - la signora Di Mitri - che cerca di tenere in vita un ectoplasma vocale del figlio morto tempo prima, ed effettivamente curato in ospedale dal medico nel lontano 1979.
 Il secondo racconto, Alla deriva in Antartide, parla di una bizzarra nevrosi che porta il compagno della titolare della voce narrante, Pietro - ipocondriaco, fotofobico ed ecologista radicale -, a rifiutare ogni aspetto della modernità che risulti anche solo vagamente invasivo per l'ambiente (compreso il sapone) per isolarsi in una casa fredda, buia e maleodorante. Quando la protagonista-narratrice si ribella a tutto ciò e manifesta l'intenzione di andarsene definitivamente da un appartamento che assomiglia sempre di più a una prigione, Pietro si suicida nella vasca da bagno.
 Il senso di colpa porta allora la protagonista a rivolgersi a una sensitiva nella folle speranza di ristabilire un contatto con il compagno morto; e, nelle parole della sensitiva, prende davvero inaspettatamente forma una sorta di raggelato spettro della memoria del defunto: una voce che ripetendo "alla deriva in Antartide" dà corpo alla preoccupazione di Pietro per lo scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale.
 Il terzo racconto, Lascialo finire, mette in scena una visita della protagonista, che di mestiere fa la giornalista, a un agriturismo aperto nel Chianti in una dimora storica - appartenente a una ricca famiglia di origini ebraiche - immersa in uno splendido contesto naturale; una visita dalla quale ella spera di trarre un originale articolo sugli "israeliti nel Chianti". La visita finisce per riportare a galla una strana storia su un cane fantasma che infesterebbe la villa, a cui i membri più anziani della famiglia hanno tutta l'aria di credere davvero. 

Letizia Muratori

 L'aspetto più agghiacciante della vicenda è che quella storia affonda le radici nella memoria delle persecuzioni razziali e dell'Olocausto; e lo sbalordimento della protagonista raggiunge il parossismo quando, una sera, la luce se ne va per un black out, e si comincia a udire un abbaiare insistito. L'abbaiare, alla prova dei fatti, proviene da un vecchio giocattolo dall'aspetto di un cane, che però è incredibilmente privo di batterie!
 Il quarto racconto si intitola Questa è la rosa bulgara, e parla di una donna che, priva di un lavoro, accetta, dietro lauto compenso, di occuparsi dell'organizzazione del catering per una festa che l'inquilino russo dell'attico dello stesso stabile in cui ella abita un piccolo appartamento al pianterreno - Leo Vasilev - ha deciso di organizzare in casa sua. L'uomo è appena stato lasciato dalla moglie, un'aristocratica italiana, e Galina, la ventiduenne ucraina che è la sua nuova fidanzata, gli è di ben poco aiuto. Il fatto è che l'attico apparteneva un tempo alla famiglia della protagonista; da una finestra dell'ultimo piano dello stabile sua madre, malata di depressione, si era gettata quando ella aveva soltanto due anni.
 L'incredibile sorpresa che aspetta la protagonista nell'attico di Vasilev è che l'ineffabile Galina - per il resto una ragazza bella ma piuttosto insignificante - "vede" il fantasma di sua madre; lo vede e comunica con lui, in una sorta di trance che la conduce, al termine della festa, a seguirlo drammaticamente al di là del davanzale della finestra che la madre della protagonista ha usato per suicidarsi decenni prima.
 Miss Mucca è l'unico racconto con un narratore esterno, e fa riferimento a quanto accade nei pressi di un piccolo albergo a Villa, un villaggio vicino al confine con la Svizzera che ospita dei profughi richiedenti asilo. Molti di loro vengono da esperienze terribili e, nonostante questo - come sovente avviene - devono affrontare la diffidenza, quando non l'aperta ostilità, degli abitanti del luogo. L'ostilità della gente è accresciuta dal fatto che qualcuno degli ospiti stranieri dell'albergo è sospettato di piccoli furti e, addirittura, di piromania.
 Il responsabile dei furti e degli incendi è Ephrem, il fratello undicenne di Magda, una donna eritrea che conosce bene l'italiano per aver lavorato, nel suo Paese natale, per un'impresa italiana impegnata nella costruzione di una diga, e che per questo fa da interprete e da guida a tutto il gruppo di profughi. Magda ed Ephrem, in realtà, tengono nascosta la loro parentela per permettere a Ephrem di ricongiungersi ad altri parenti che risiedono in Germania. La piromania di Ephrem è conseguenza della morte del padre, ghermito da un incendio mentre lavorava per gli italiani in Eritrea; la famiglia non aveva ricevuto alcun risarcimento e, da quel momento, Ephrem aveva cercato il fantasma del padre in ogni lingua di fuoco.
 Quando un abitante di Villa scopre la colpa di Ephrem e minaccia di denunciarlo, Magda, che già è reduce da terribili abusi subiti in Libia, decide di concedersi alla lussuria dell'uomo per salvare il fratello. Mentre si abbandona passivamente alla nuova violenza, Magda indugia nel pensiero del concorso istituito a Villa per eleggere il migliore esemplare bovino della valle, Miss Mucca; e, sarcasticamente, le viene da ridere.
 Nell'ultimo racconto, Ghost Crab, il protagonista-narratore è un uomo, Michele, un gay italiano che insieme al compagno sta cercando di avere un figlio con l'aiuto di una madre surrogata negli Stati Uniti. Quando si reca negli Usa - a Norfolk, in Virginia -  per verificare come procede la gravidanza, scopre che Amanda, designata per essere la madre surrogata, ha in realtà perso il bambino. La rivelazione avviene nella casa di un sensitivo morto da tempo, e considerato dai suoi seguaci alla stregua di un profeta, dove Amanda ogni settimana è impegnata a fare le pulizie; e nell'aria aleggia forte la sensazione che, se Michele, il suo compagno Sergio e Amanda ci riprovassero, i loro desideri potrebbero davvero prendere corpo nello spirito del nascituro.
 I racconti migliori del novero, sebbene molto diversi l'uno dall'altro, sono senza dubbio Rispondi a Dimitri (il più sottile e originale) e Miss Mucca (il più angosciosamente dolente, nel suo realismo).
 In generale il libro appare molto raffinato, supportato da una scrittura tersa e gradevole, capace di dare corpo a uno stile a metà tra Yoko Ogawa e Michele Mari.

Voto: 6,5

domenica 6 maggio 2018

Alice Munro, "La vita delle ragazze e delle donne", Einaudi


 Penso che quello conferito ad Alice Munro nel 2013 sia di gran lunga il Nobel per la Letteratura più meritato degli ultimi anni. 
 Grazie alla sua scrittura densa e lineare, alla sapiente gestione del punto di vista - la voce narrante è quasi sempre interna, ma pone fra sé e la materia narrata una distanza temporale tale da riuscire a essere nel contempo fuori e dentro gli eventi narrati -, alla capacità di far venire a galla i grandi problemi esistenziali parlando in maniera semplice e diretta di questioni inerenti la quotidianità spicciola delle persone, Munro riesce a unire nel proprio discorso concretezza descrittiva e levità lirica forse più di ogni altro scrittore oggi in attività.
 La scrittrice canadese è considerata fra i più grandi maestri del racconto, eppure, da un certo punto di vista, è come se tutta la sua produzione insistesse sulla riscrittura di un unico grande romanzo, ambientato nell'Ontario sud occidentale e con protagonisti degli alter ego femminili capaci di esplorare via via tutte le sfaccettature della sua avventura biografica.
 E, d'altra parte, si può osservare come i singoli capitoli delle sue opere che più si avvicinano strutturalmente alla forma-romanzo siano trattabili come dei racconti a sé stanti, perfettamente autonomi rispetto alle altre sezioni del libro di cui fanno parte: è il caso, ad esempio, di Chi ti credi di essere? (Who do you think you are?) del 1978, o di questo La vita delle ragazze e delle donne (Lives of girls and women), uscito nel 1971 ma proposto solo ora al pubblico italiano.
 Il libro si compone di otto capitoli, ciascuno dei quali mette a fuoco una fase diversa del progressivo passaggio della protagonista-narratrice, Del Jordan, dall'infanzia all'età adulta; i diversi capitoli, però, non sono perfettamente consecutivi l'uno all'altro dal punto di vista temporale: vi sono continui sfasamenti, sovrapposizioni, fughe in avanti e ritorni al passato che, in virtù dell'assoluta autonomia letteraria delle singole porzioni del romanzo, a rigore, è forse sbagliato considerare tecnicamente dei flash back o dei flash forward. 
 Le vicende raccontate sono tutte ambientate a Jubilee, immaginaria cittadina che sorge fra le campagne dell'Ontario meridionale, nei pressi del fiume Wawanash, tra gli anni quaranta e l'inizio degli anni cinquanta del Novecento: nei primi capitoli, quando Del e suo fratello Owen sono ancora bambini, si avvertono gli echi della Seconda guerra mondiale in corso (si fa riferimento a personaggi che partecipano al conflitto, e alle obbligazioni emesse dal Tesoro per finanziare lo sforzo bellico), mentre in seguito la guerra viene citata come qualcosa che ci si è ormai lasciati alle spalle, e che è avvertito come lontano dal punto di vista psicologico, se non proprio cronologico. 
 Del è una ragazzina, e poi una ragazza - e alla infine una donna fatta - che cresce confrontando via via le aspirazioni e i sogni che la sua sensibilità e le conoscenze acquisite con gli studi (per i quali è particolarmente portata) fanno nascere in lei, con la mentalità e le abitudini dominanti nel Canada rurale degli anni quaranta che fa da sfondo alla sua storia; un mondo in cui le prescrizioni della morale religiosa appaiono cogenti, in cui l'adesione a una delle Chiese rappresentate a Jubilee (unitaria, battista, cattolica, anglicana) dipende in larga parte dal ceto sociale di appartenenza, in cui i libri sono considerati cose per bambini e sono del tutto superflui per gli adulti, in cui scopo precipuo della donna è il matrimonio, e il sesso è insieme argomento tabù ed elemento centrale nella vita di ciascuno, tanto da trasformarsi naturalmente in bruciante, affascinante mistero e pensiero dominante.
 Il contesto famigliare di Del, in realtà, è abbastanza particolare: il padre è un allevatore di volpi (le cui pellicce erano allora assai richieste) che passa tutta la settimana in Flats Road, fuori città - dove sorge il suo allevamento -, insieme al suo lavorante, lo "zio Benny", e si riunisce al resto della famiglia solo nel fine settimana; mentre la madre, divenuta agnostica per il fatto di essere figlia di una fanatica religiosa, crede nella cultura, e cerca di vendere enciclopedie a contadini per i quali si può dire che la lettura non sia certo il passatempo principale. Il suo obiettivo principe è quello di veder realizzate nella figlia le proprie ambizioni di emancipazione ed elevazione sociale.
 Del, dal canto suo, si sente contemporaneamente proiettata verso un mondo "altro" - chiamata a una vita diversa rispetto a quella che vede intorno a sé -, e singolarmente attratta e permeata dall'ambiente in cui cresce, a cui è tentata di aderire completamente, se non altro come forma di reazione alle pressioni della madre.      

Alice Munro

  Anche perché tutto quello che sostanzia la personalità femminile della protagonista - la costruzione delle proprie amicizie, l'individuazione dei propri punti di riferimento, l'esplorazione del mondo degli adulti, la scoperta di sé, del proprio corpo, delle proprie ardenti pulsioni erotiche - affonda le radici nella città in cui Del si trova a crescere. E, proprio per via di questa "immersione", l'ambiente in cui vive non può che salarle il sangue, diventare consustanziale alla sua storia, con tutte le sue sfumature e il suo portato di umanità, che finisce come sempre per andare oltre le ipoteche culturali e i pregiudizi dominanti connaturati a quel mondo.
 In quest'ottica, nell'ideale proiezione verso il futuro della storia di Del, la scrittura stessa può apparire una soluzione per tenere insieme l'una e l'altra cosa, un mezzo per promuoversi culturalmente e per andare oltre il proprio contesto originario, conservando al contempo il passato recuperato attraverso un filtro capace di farlo rivivere, di nobilitarlo, di dargli un senso compiuto.
 Nei diversi capitoli, il tema centrale - per una storia che ha per protagonista una ragazza in età puberale - non può che essere quello della graduale scoperta e dell'incontro con il sesso, sul quale Del dapprima continuamente e astrattamente fantastica, spiando gli adulti, spiando i coetanei maschi, in compagnia della sua storica amica Naomi, e al quale poi, ai tempi delle superiori, si avvicina, con curiosità e circospezione, per imparare infine sull'uomo, sulla donna e sulle forze che li agiscono quanto basta per maturare con consapevolezza le sue proprie scelte. 
 Da questo punto di vista Naomi, che finisce per cadere nella trappola del matrimonio riparatore con un uomo che casualmente l'ha messa incinta, costituisce lo specchio rovesciato che mostra a Del ciò che ella non vuole essere e che trova infine la forza per decidere di non essere. Tutto ciò, senza che il destino di Naomi appaia in sé e per sé necessariamente in tutto e per tutto negativo o "sbagliato".
 L'amore, il sesso, le tempeste emotive che li accompagnano - o, al contrario, il pensiero del loro esorcistico rifiuto - fungono da lente che consente alla protagonista, ormai cresciuta, di mettere meglio a fuoco le vicende di tanti dei protagonisti della sua infanzia e della sua adolescenza, e più in generale della vita di Jubilee: dallo "zio Benny" allo zio Craig (impegnato nel suo studio a redigere gli annali dell'esistenza minuta degli uomini nella sua città natale), dalle zie zitelle Elspeth e Grace a Fern Dogherty (inquilina e amica della madre, impiegata all'ufficio postale, cantante lirica e donna dalla mentalità e dai costumi singolarmente disinvolti), da Art Chamberlain (il presunto amante di Fern Dogherty, palesatosi poi come un inaffidabile e innocuo pervertito che ama scandalizzare le fanciulle) a miss Farris (l'insegnante della locale scuola media impegnata con tutta se stessa nell'organizzazione dell'annuale messa in scena dello spettacolo di operetta, che pone fine alla propria solitudine annegandosi nel Wawanash), da Jerry Storey (il nerd dall'altissimo quoziente intellettivo con il quale, quasi per inerzia, Del finisce per accompagnarsi ai tempi del liceo, pur non essendone fisicamente attratta), a Garnet (il giovane e rozzo mercante di legname, convertito alla Chiesa Battista, per il quale Del concepisce una passione travolgente, e con il quale per la prima volta sperimenta le accensioni, i turbamenti e le problematiche di un rapporto "adulto").
 Dato che, come abbiamo detto, ciascuno degli otto capitoli di cui si compone il romanzo è trattabile alla stregua di un racconto a sé stante, possiamo provare a individuare i più riusciti. Pur riconoscendo che il livello della scrittura di Alice Munro è sempre mediamente altissimo, ne voglio scegliere tre: Eredi della viva carne (in cui vengono tratteggiate le poeticissime figure delle zie Elspeth e Grace), La vita delle ragazze e delle donne (il cuore del romanzo, in cui viene sviluppato il tema della crescente consapevolezza di sé di Del in relazione alla figura della madre e alle influenze dell'ambiente in cui vive), e Battesimi (con la scoperta del sesso e il definitivo ingresso nella vita adulta da parte di Del, che si imbatte nei primi fallimenti e nella necessità di compiere le prime, irrevocabili scelte importanti).
 A suggello di questa recensione vorrei dire che l'augurio migliore che si possa fare a un lettore che si appresta a prendere in mano un libro è quello di trovarvi la stessa capacità di rievocare in tutta la sua autenticità, attraverso la sola parola scritta, un universo di pensieri e sentimenti a lui estraneo che io trovo sempre nei libri di Alice Munro.

Voto: 8,5