domenica 27 maggio 2018

Annie Ernaux, "Una donna", L'Orma


 Nell'ambito della complessa, frastagliata autobiografia che l'intera produzione letteraria di Annie Ernaux va componendo pezzo dopo pezzo, questo è il capitolo specificamente dedicato alla figura della madre. Il testo fu scritto nei mesi immediatamente successivi alla scomparsa della donna, fra l'aprile 1986 e il febbraio 1987. Non fu, però, un libro composto di getto: comportò, al contrario, una stesura difficile, piena di more, di ostacoli, di titubanze, di blocchi psicologici da superare per ridare vita alla persona probabilmente più importante in assoluto nella parabola biografica dell'autrice.
 La necessità della scrittura nasce proprio dall'esigenza di dare luogo a questo processo: tratteggiare una storia di chi è di fatto senza storia (perché semplicemente, per la Ernaux, sua madre "c'è sempre stata"), dare la vita a chi ti ha dato la vita, restituire la pienezza umana degli anni migliori e la dignità del ricordo a una donna che, nell'ultima fase della propria esistenza, è regredita a uno stato di infantile inconsapevolezza di sé, prima di tornare a dissolversi nel non-essere.
 La narrazione parte dal racconto della morte della madre, del suo funerale, del ritorno della salma nella nativa Yvetot - in Normandia, tra Rouen e Le Havre - del senso di vuoto e di disorientamento che sempre segue la scomparsa di chi ci è vicino, quando ogni cosa ci sembra futile, e le piccole incombenze quotidiane risultano offensivamente prive d'importanza.
 In questo stato d'animo, l'atto di scrivere sembra più vero della vita, e diventa indispensabile per restituire verità alla vita: prende forma così un tentativo di geolocalizzazione di un'esistenza, qualcosa che "si situa probabilmente all'intersezione tra famigliare e sociale, tra mito e storia", ma che ci si augura resti pudicamente "al di sotto della letteratura".
 La madre di Annie Ernaux nacque a Yvetot nel 1906, e lì passo tre quarti della sua vita. Figlia di un carrettiere e di una sartina, crebbe in un ambiente rurale, senza grandi prospettive e senza la speranza di potersi in qualche modo emancipare davvero dalle sue umili origini: concretamente poteva, al più, ambire ad affrancarsi dal lavoro duro e sgradevole dei contadini e dei mandriani.
 Dopo un'infanzia consistente pressapoco in "un appetito mai sazio", lasciò la scuola a 12 anni - nonostante il fatto che i suoi buoni voti avrebbero potuto permetterle di accedere al corso per diventare maestra elementare - per entrare come operaia in una fabbrica di margarina; successivamente si impiegò in una corderia che aveva aperto poco lontano dalla città.
 La mentalità operaia, l'orgoglio operaio, i limiti della condizione operaia permearono in questa fase il suo essere al punto da determinarne tutti gli atteggiamenti: il modo brusco di parlare, la violenza nei gesti, il buttarsi sul cibo con foga, persino la maniera di ridere, gettando indietro la testa. Fortunatamente non cadde, come molti altri della sua classe e della sua stessa famiglia, vittima dell'alcolismo.
 Si sposò nel 1928. All'epoca, per una ragazza della sua condizione, il matrimonio poteva rappresentare "la speranza di cavarsela meglio in due o il tracollo definitivo". Fu fortunata. Col marito - operaio come lei, ma di una famiglia più ricca della sua, non troppo soddisfatta di quell'unione -, nel 1931, rilevò uno spaccio alimentare, un bar-drogheria, a Lillebonne, un villaggio operaio poco lontano dal comune natio: i primi anni del nuovo mestiere furono durissimi, ma trasformarsi in commerciante volle dire accedere a un'insperata occasione di promozione sociale. 
 Ebbe anche una figlia che, nel 1938, a sei anni, morì drammaticamente di difterite. Se quella bambina non fosse morta, Annie non sarebbe mai nata: la coppia aveva infatti deciso di avere un solo figlio per riversare su di lui tutte le proprie speranze di un domani migliore.

Annie Ernaux

 La guerra vide una donna fiera e coraggiosa, capace di badare a una figlia piccolissima (Annie nacque nel 1940) nel Paese occupato dai nazisti, e di aiutare, con i rifornimenti di cui il proprio negozio divenne collettore, coloro che maggiormente ne avevano bisogno.
 Dopo la guerra tutta la famiglia tornò a Yvetot, rilevando un'attività commerciale analoga a quella avviata a Lillebonne. I ricordi dell'infanzia e dell'adolescenza di Annie, le rispolverate fotografie di quell'epoca mostrano la madre ancora bella, piena di forze, orgogliosa e saldamente ancorata al suo ambiente e ai suoi valori. Furono anni di attriti sempre più aspri con la figlia, sempre più desiderosa mano a mano che cresceva di uscire da quel contesto, di stare differentemente al mondo, di sperimentare un diverso modo di essere. 
 Al classico contrasto generazionale tra madre e figlia, si aggiunsero dunque i sussulti derivanti dallo scontro di due diverse mentalità in un mondo in trasformazione. In questa parte del libro si trovano alcuni degli episodi più emblematicamente significativi di questa fase di passaggio: come quando, al momento del menarca, la madre porge arrossendo un pannolino ad Annie, senza guardarla e senza aggiungere una parola; o come quando Annie, approfittando della libertà di cui comincia a godere all'epoca del liceo, assume tutti quei comportamenti "scostumati" che la madre più temeva che assumesse.
 Poi vennero la laurea della giovane donna, il suo matrimonio, il suo trasferimento a Bordeaux, il suo ingresso in un ambiente borghese, affatto diverso da quello in cui era cresciuta, che la allontanarono da sua madre (quasi imbarazzata di fronte alla nuova dignità della figlia, per cui tanto aveva lottato) e, dopo qualche ulteriore incomprensione (per cui la figlia apparve a momenti alla madre quasi come "un nemico di classe") smussarono in parte gli angoli dei loro contrasti.
 La morte del padre, la chiusura del negozio, il successivo trasferimento della madre nella casa di Annie ad Annecy, per aiutarla a crescere i suoi figli, inaugurarono un'epoca nuova, di inedita concordia. 
 Un nuovo trasferimento della famiglia nella periferia parigina, in una anonima cittadina allora in costruzione, indusse la donna a prendere la decisione di tornare a Yvetot, dove si ritirò in un minuscolo monolocale; questo fino al sopravvenire della demenza senile, fino al triste ricovero in un istituto per anziani, fino alla fine. 
 Si concentrano, in quest'ultima parte del testo, alcuni dei passi più impressionanti, come la descrizione da parte dell'autrice del permanere, nella generale destrutturazione della personalità della madre indotta dal morbo di Alzheimer, di alcuni tratti del carattere coagulatisi in comportamenti precisi: nella voracità dell'appetito, ad esempio, o nel completo dissolversi della propensione verso la religione a favore di più basilari trasporti estetici (verso i fiori, ad esempio); passi che fanno della ricostruzione della figura della madre in piena decadenza una sorta di studio umano di valore universale.
 E la conclusione, assolutamente memorabile. "Non ascolterò più la sua voce. Era lei, le sue parole, le sue mani, i suoi gesti, la sua maniera di ridere e camminare, a unire la donna che sono alla bambina che sono stata. Ho perso l'ultimo legame con il mondo da cui provengo". 
 Il libro è bello, come tutti quelli di Annie Ernaux: vivo, pulsante, intimo, diretto, potente; porta in mezzo alle cose di cui parla, al punto che, alla fine, il lettore matura quasi l'impressione che esse siano entrate a far parte anche della propria biografia immaginaria.

 Voto: 7

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