giovedì 24 settembre 2015

Marina Mizzau, "Se mi cerchi non ci sono", Manni


 Per il funerale di Leonardo, professore universitario brillante e un po’ scapigliato, dotato di un notevole senso dell’umorismo e di una buona dose di autoironia, si riuniscono tutti coloro che gli volevano bene e che gli erano legati: Antonia – la prima moglie –, la figlia già grande Elettra, la seconda moglie Elisabetta insieme ad Alessandra – la bambina che Leonardo tanto amava nonostante non fosse figlia sua –, le sorelle Marta e Maria Teresa, la vecchia zia Daria, il cugino Simone, i nipoti Valentina e Lorenzo, l’allievo prediletto Michelangelo, e poi ancora Leona, Beppe, Roberta, Franca…
 A descrivere la cerimonia funebre, il comportamento di ciascuno dei convenuti e il loro collettivo omaggio alla memoria del defunto nei momenti che seguono il funerale vero e proprio (la visita al cimitero, la riunione di parenti e amici a casa di Leonardo, il trasferimento della comitiva in un bar per l’aperitivo e poi in un ristorante per la cena) è una misteriosa narratrice interna, che assiste in prima persona a tutto quello che avviene, vi partecipa, ma rimane in disparte senza rivelare fino all’ultimo la sua identità.
 L’anonimato consente a questa voce narrante di mantenere una certa apparente neutralità nel tratteggiare la fisionomia di tutti gli altri personaggi, e di non alterare troppo con le sfumature del proprio personale affetto l’immagine di Leonardo che viene restituita nel ricordo dei presenti, che parlano e addirittura scherzano per farsi reciprocamente coraggio, come accade talvolta in simili, tristi circostanze.
 La rievocazione di Leonardo avviene sulla scorta di due specifici fili conduttori: quello del linguaggio e della sua proteiforme ricchezza, e quello del cibo. Il professore scomparso, infatti, condivideva con famigliari e amici l’amore per la buona cucina e, nello stesso tempo,  la passione per le sciarade, i rebus, gli indovinelli, i giochi di parole, i tic linguistici. Tutte queste formule e modalità espressive diventano, da una parte, la chiave attraverso cui ciascuno tenta personalmente di valorizzare “l’eredità spirituale” di Leonardo; dall’altra lo strumento in nome del quale Leonardo stesso lascia a quelli che gli erano più vicini dei commoventi messaggi “postumi”, con dei files da lui sistemati sul suo computer in modo tale che fossero facilmente ritrovati.
 Il cibo (oggetto di confronto e di discussione, oltre che di consumo), dal canto suo, ha fondamentalmente la funzione di esorcizzare la morte, richiamando alla memoria tutta la carica vitale di cui Leonardo era dotato.
 Tale schema trova il suo coronamento alla fine, quando la narratrice – l’unica alla quale Leonardo non ha lasciato messaggi, eppure quella in grado più di tutti di farlo “rivivere” – smette di nascondersi e svela la sua identità: si tratta di una studentessa di Leonardo, da molti anni perdutamente innamorata del suo professore e determinata a serbare gelosamente il ricordo dei loro momenti insieme e della loro speciale sintonia, cresciuta all’ombra della psicolinguistica; un legame in cui la condivisione della sensualità del cibo aveva forse avuto la funzione di sublimare un’attrazione di natura sessuale destinata a non avere libero corso. 

 La psicologa della comunicazione Marina Mizzau

 L’idea di fondo sulla quale viene edificato il romanzo è piuttosto originale; il suo concreto sviluppo, tuttavia, lascia molto perplessi. Il fatto è che tutto, in questo libro, appare assai meccanico, dalla costruzione dei personaggi alla gestione dei tempi narrativi, dai dialoghi alle descrizioni, dalle dinamiche psicologiche delle situazioni romanzesche alle stesse articolazioni dello stile: il motivo-cardine dei giochi linguistici, più tematizzato che incorporato nella sostanza stilistica del racconto, appare alla fine stucchevole; gli elenchi di termini riferibili alla medesima area semantica (spesso quella del cibo) sono talmente abusati da indurre a pensare che spesso si usi un approccio tassonomico per puntellare un impianto narrativo complessivamente un po’ fragile; gli snodi che collegano un episodio all’altro sono quanto di meno convincente e di più innaturale si possa immaginare.
 L'impressione finale è quella di un orologio che ostenta ingranaggi straordinariamente complessi, ma continua a segnare l'ora sbagliata. 

Voto: 5

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