Uno dei libri migliori che io abbia letto nel 2015.
Emmanuel Carrère ricostruisce la storia delle origini del
cristianesimo: lo fa da non credente – o meglio, da ex credente –, sulla scorta
del suo stile particolare e inconfondibile, con quella tendenza ad
addomesticare il sublime che è il suo maggior pregio e, forse, anche il suo
limite più evidente.
La base del suo lavoro è costituita da anni di rigorose
ricerche sui testi sacri e sui documenti, ma il suo approccio è quello del
romanziere, che applica il criterio della verosimiglianza per immaginare (e
aiutare il lettore a immaginare) quello che non può essere accertato senza
ombra di dubbio. Si sviluppa così un tentativo appassionante, tutto giocato
sulla fantasia e sulla sensibilità filologica e psicologica dell’autore, di narrare
con occhi nuovi una vicenda iniziata in un angolo oscuro dell’impero romano
duemila anni fa, che tutti credono di conoscere abbastanza bene ma della quale
possediamo in realtà solo pochi dati oggettivamente verificabili, sui quali si
sono peraltro depositate le incrostazioni culturali di secoli di congetture,
interpretazioni interessate, false credenze, miti popolari.
Ne risulta un discorso brillante, idiosincratico, non
prettamente scientifico, decisamente laico ma per nulla pervaso da un
anticlericalismo di maniera; insomma, sempre molto originale.
L’attenzione di Carrère non si concentra tanto sulla storia
di Gesù (colui che in vita voleva essere re degli ebrei, e una volta morto finì
per essere re di tutti tranne che degli ebrei), quanto su quella degli apostoli
che furono protagonisti della diffusione in tutto il mondo antico del credo
della loro piccola setta, di cui sarebbe stato facile pronosticare
l’estinzione.
Il merito principale dell’espansione della nuova fede al di
fuori del territorio angusto della Palestina fu senz’altro di Paolo di Tarso,
cittadino romano di origine ebraica che pose i presupposti in virtù dei quali
il culto di Cristo poté diventare una religione diversa dall’ebraismo, e il cui
ruolo nel processo di definizione e affermazione del cristianesimo fu
storicamente più decisivo di quello di Gesù stesso (da lui mai incontrato). Per
quanto se ne sa, Paolo era brutto, scontroso, collerico, e pessimi erano i suoi
rapporti con la comunità dei cristiani di Gerusalemme, fondata sull’autorità
dell’apostolo Pietro e di Giacomo, fratello di sangue di Cristo. Era però un
uomo pervaso da un’energia impareggiabile, dotato di una retorica martellante e
di una incrollabile forza d’animo, che facevano sì che le sue prese di
posizione e la sua predicazione sfiorassero spesso il fanatismo. Di Paolo fu
l’intuizione di puntare sulla potenza che era intrinseca all’idea (non scontata)
della resurrezione; sua fu l’iniziativa di diffondere la “buona novella” fra i
gentili e anche quella di ritualizzare l’abitudine dell’agape, il banchetto eucaristico da tenersi nel giorno successivo al
sabato ebraico.
Fra gli accoliti di Paolo ci fu anche Luca, che è il vero
protagonista di questo libro. Luca – un uomo colto e curioso originario della
Macedonia, un intellettuale che esercitava la professione di medico itinerante
–, infatti, non solo fu l’autore del più bistrattato dei quattro Vangeli
(perché viene considerato quello con meno “carattere”), che invece Carrère
rivaluta enormemente; a lui lo scrittore francese attribuisce, sulla base di
analisi stilistiche e dell’individuazione di assonanze di tono e di contenuto
fra diversi passi di differenti libri del Nuovo Testamento, anche gli Atti degli Apostoli e la Lettera di Giacomo; a lui riconosce
soprattutto la capacità di fare da ponte fra il cristianesimo “palestinese”,
filoebraico, e quello “greco”, svincolato dalle antiche tradizioni giudaiche.
Luca, con cui Carrère intuisce una profonda affinità
caratteriale (che contempla anche una comune tendenza alla mediazione e al compromesso,
e un istintivo rifiuto delle posizioni intransigenti del tutto estraneo sia
all’insegnamento di Paolo sia all’atteggiamento di personaggi di primo piano
del cristianesimo delle origini come Giacomo o Giovanni) e che considera una
sorta di “collega” per l’abilità narrativa con cui imposta il racconto della
vita di Cristo, riuscì a suo modo a portare a compimento l’opera di Paolo,
rendendo il messaggio di Gesù “digeribile” anche per il romano medio.
Se il Vangelo di Marco è il più antico e probabilmente il più
aderente ai fatti (Marco conobbe appena Gesù, ma divenne poi una sorta di
“segretario” di Pietro, che di sicuro gli passò molte informazioni di prima
mano sulla vita del Maestro), se il Vangelo di Matteo è il più “ecclesiatico”
(non solo perché contempla i presupposti su cui si fonda la gerarchia interna
della Chiesa, ma anche perché l’esistenza del suo autore non è storicamente
accertata, e il suo testo è quasi certamente frutto del contributo collettivo
di un’intera comunità di individui), se il Vangelo di Giovanni – l’ultimo a
essere scritto − è il più profondo (e l’identità del suo autore rappresenta per
gli esegeti un vero e proprio enigma: dotato di vasta cultura filosofica, è
difficile identificarlo sia con “l’apostolo preferito dal Signore”, sia con il
vulcanico compilatore dell’Apocalisse), il Vangelo di Luca è il più piacevole da
leggere e il più fluido dal punto di vista narrativo: quello che può insegnare di più a chi provenga da una tradizione diversa da quella ebraica.
Emmanuel Carrère
Al termine del libro il lettore, da una parte, non può fare a
meno di stupirsi nel constatare dove il cristianesimo è arrivato, viste quelle
che furono le sue origini e quelle che erano le premesse della sua fondazione; dall’altra è indotto a seguire con attenzione fino
in fondo il suggestivo percorso esistenziale-filosofico che sta alla base della
ricerca di Carrère e ne è il propulsore.
Carrère, dal canto suo, si trova infine costretto a chiedersi
cosa rappresenti per lui quella religione da cui un tempo si sentì interamente
pervaso, che per tanti anni ha studiato, e che ora osserva dall’esterno con una
sorta di incanto. In tutto questo, la domanda decisiva è: in che cosa consiste
quello che Gesù stesso definì “il Regno dei cieli”, e quali sono le sue caratteristiche
essenziali?
Anche per un non credente il Regno resta qualcosa di
splendido e di paradossale: un luogo della mente dove tutti i valori della vita
terrena basati sulla logica e sull’esaltazione dell’individualità vengono
rovesciati; un luogo dove solo quella forma particolare di amore universale che
è la carità (che in un certo senso può ritenersi antitetica all’amore umano) ha
libero corso, e dove la sapienza, l’intelligenza, la ricchezza rappresentano
altrettanti handicap per chi vuole avvicinarsi al nocciolo della divinità con
purezza d’animo.
Difficile dire se un tentativo, come quello messo in atto in questo libro, di conoscere razionalmente la sostanza storica, morale, sentimentale della vicenda da cui questi stessi concetti ebbero origine, costituisca una sua onesta ricognizione o un suo radicale tradimento.
Voto: 8
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