sabato 17 dicembre 2016

Paolo Cognetti, "Le otto montagne", Einaudi


E' banale affermare che la montagna è, metaforicamente, una scuola di vita; più vero è che, per chi se ne innamora, la montagna finisce per essere il polo emotivo di una vita intera.
Pietro detto Berio ha imparato a conoscere e ad amare la montagna grazie ai suoi genitori - lei assistente sociale, lui chimico - che, veneti di origine, si sono trasferiti a Milano all'inizio degli anni settanta, dopo il matrimonio celebrato presso un rifugio sulle Dolomiti, davanti alle Tre cime di Lavaredo.
Da Milano, nelle belle giornate, le Alpi e le Prealpi appaiono a fare da corona all'orizzonte, e permettono di immaginare un mondo lontano da una quotidianità acre e difficile.
Per i genitori di Pietro le Dolomiti sono le montagne dei ricordi di gioventù, gioiosi e anche dolorosi; le Alpi occidentali - e il Monte Rosa in particolare, il cui imponente massiccio è ben visibile dal capoluogo lombardo - diventano invece il regno del sogno e dell'evasione.
E' il 1984 l'anno in cui la famiglia di Pietro comincia a prendere in affitto, nei mesi estivi, una casa in cui passare le vacanze nel paesino di Grana, in una valle appartata ai piedi del Monte Rosa.
Mentre la madre aspetta i suoi uomini a casa, avendo trovato nel fondovalle con i suoi pascoli tranquilli una sorta di habitat naturale, Pietro - allora dodicenne - comincia a salire in alto con suo padre, che affronta sempre il cammino con furia, quasi volesse scrollarsi di dosso persino il ricordo della pianura, spingendo su il figlio lungo le linee di massima pendenza. Ma mentre il padre si sente perfettamente a suo agio nel brullo paesaggio dove dominano la roccia e il ghiaccio, Pietro, che soffre di mal di montagna, preferisce, a una quota inferiore, l'abbraccio misterioso dei boschi, la limpidezza dei laghi alpini, l'irrequieta rissosità dei torrenti.
E' proprio durante una delle sue esplorazioni lungo il torrente che scende a Grana che Pietro si imbatte per la prima volta in Bruno, un ragazzo biondo della sua stessa età che si occupa delle mucche dello zio, e resta tutto l'anno in quel borgo lontano da tutto, frequentando solo saltuariamente la scuola.
A Grana, con i suoi genitori e con Bruno, Pietro-Berio (è l'amico a dargli questo soprannome, modellato sul dialetto valligiano) passerà tutti le estati della sua adolescenza e della sua prima giovinezza.
Le trasformazioni del rapporto col padre e della duratura amicizia con Bruno, veicolate dall'amore un po' contraddittorio per le Alpi e dalla loro discontinua frequentazione, segneranno le tappe della crescita emotiva di Pietro.
Col padre si consumerà presto una dolorosa rottura - dovuta a una distanza caratteriale ben rappresentata dal diverso modo di "sentire" la montagna -, che solo alla morte del genitore (di infarto, a sessantadue anni, con Pietro ormai trentunenne) troverà una ideale ricomposizione.
Bruno invece, sostituendo Pietro accanto al padre di lui nelle ascensioni verso le vette, con la sua aspirazione forse anacronistica a restare puramente e semplicemente un montanaro, finirà per incarnare una sorta di alter ego del protagonista, vivendo la vita che, con una parte di sé, egli avrebbe voluto vivere.

Paolo Cognetti

Pietro diverrà un documentarista, girerà il mondo raccontando montagne splendide e lontanissime, e non fonderà mai una famiglia sua.
Bruno, lasciata la professione di muratore che aveva intrapreso, salirà in montagna a riaprire un alpeggio abbandonato anni prima dallo zio, si metterà con una ragazza presentatagli proprio da Pietro, avrà una figlia, andrà incontro a una serie di fallimenti economici ed esistenziali, ma non rinuncerà mai a vivere integralmente il suo sogno di interpretare la montagna come una dimensione totalizzante.
E alla fine, tragicamente, Bruno in montagna morirà: farà come il personaggio di un antico proverbio nepalese, restando per sempre sulla prima montagna, la più bella, quella posta al centro del suo mondo; mentre Pietro, lontano da essa, ormai incapace, dopo la scomparsa dell'amico, di attingere alla sua essenza originaria, sarà destinato a vagare per tutte le altre - le "otto montagne" del titolo - all'eterna ricerca della felicità perduta e ora dispersa per tutto l'universo.
"Le otto montagne" è un libro bello e complesso: partendo dall'apparente linearità di un racconto condotto famigliarmente in prima persona dal protagonista (Pietro è tecnicamente anche il narratore della storia), sviluppa una trama che contempla, in chiave insieme realistica e simbolica, la rappresentazione di relazioni umane basilari, quali il rapporto tra padre e figlio e l'amicizia maschile, esplorandole nell'appassionante tortuosità della loro evoluzione.
Lo stile è fresco, sobrio, piacevole, ugualmente alieno da banalità paraletterarie e da astruserie iperletterarie, adatto a supportare un intreccio narrativo privo di schematismi e dagli esiti non scontati.

Voto: 7

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