domenica 12 febbraio 2017

Michele Mari, "Rosso Floyd", Einaudi


 In un periodo in cui, in Italia, la scrittura narrativa sembra dominata da un diffuso manierismo, per trovare opere caratterizzate da un tratto di autentica originalità tocca rivolgersi a quei pochi autori che portano avanti uno sperimentalismo letterario degno di questo nome; magari prediligendo, nella loro produzione, la qualità all’abbondanza.
 Per questo oggi ho deciso di parlare di uno dei miei scrittori preferiti, Michele Mari, presentando un libro da lui pubblicato nel 2010: Rosso Floyd.
 Mimando ironicamente il titolo di un libro di Roberto Calasso (Il rosa Tiepolo) pubblicato poco prima del suo, Mari reinterpreta in chiave fantastica e misterica la carriera dei Pink Floyd, il gruppo musicale che ha portato la musica psichedelica a toccare vertici altissimi, e che ha creato pezzi che ne hanno fatto la band forse più nobile della storia del rock.
 Il libro è impostato come un’inchiesta, o meglio un’istruttoria – coordinata da un giudice invisibile –, alla quale danno il loro contributo le voci di vari personaggi, celebri o sconosciuti, reali o immaginari, viventi o trapassati.
 Ciascuno di essi, con la propria testimonianza, con la propria confessione, con la propria lamentazione, con le proprie esortazioni o con i quesiti che pone, cerca di mettere a fuoco alcune questioni essenziali: da dove deriva l’irripetibile magia della musica dei Pink Floyd? Quale straordinaria amalgama ha portato a una fusione tanto perfetta di testi e musica, rendendoli capaci di mantenere i medesimi, inarrivabili standard anche quando gli autori dei pezzi cambiavano? Da dove provengono i sottili riferimenti culturali, i tic, gli scherzi, i polisemici appigli interpretativi che le loro canzoni presentano?

Michele Mari

 La tesi che sembra emergere dai tanti punti di vista e dalle tante opinioni che si sommano, si scontrano e si rincorrono è sbalorditiva, affascinante e inquietante al contempo: a ispirare tutta la produzione dei Pink Floyd sarebbe stato Syd Barrett, “diamante pazzo”, colui che fu l’anima del gruppo ai suoi esordi, ma ne fu in seguito escluso dopo aver perso la ragione, si dice, per via dell’abuso di acidi.
 Alla sua presenza-assenza i Pink Floyd ritornano continuamente nelle loro canzoni; a lui è palesemente dedicato il loro album capolavoro, Wish you were here, e la canzone capolavoro di quell’album, Shine on you crazy diamond; lui avrebbe guidato quasi telepaticamente David Gilmour e Roger Waters, i “gemelli siamesi” − il Lirico e il Musico dei Pink Floyd −, dettando loro, secondo le proprie inclinazioni, musica e testi. Altrimenti, come spiegare il fatto che l’immaginario dei Pink Floyd è rimasto, per oltre vent’anni dopo l’uscita di scena di Syd Barrett, puramente, incontestabilmente barrettiano?
 Nell'ottica di Mari, l'ipotesi impossibile, sconfinante nel paranormale, si trasforma infine in una visione tipicamente floydiana: due creature infernali, il "mostro fluido" e il "mostro rosa", unite in un unico corpo, che si tormentano, si azzannano, si graffiano reciprocamente, facendo scorrere un sangue che è passione e vita.

Voto: 8

Nessun commento:

Posta un commento