domenica 26 febbraio 2017

Marilynne Robinson, "Gilead", Einaudi


 La letteratura può anche essere una forma molto intelligente di resistenza politica; per questo oggi ho deciso di proporre questo incantevole libro di Marilynne Robinson (di cui Lila, che ho già avuto modo di recensire, è il prequel), uscito pochi anni fa e capace di dare un'immagine del ventre degli Stati Uniti d'America molto diversa da quella gaglioffa rappresentata e incarnata da Donald Trump, e data per scontata da molti giornalisti.
 Gilead è una cittadina dell’Iowa, America profonda; qui John Ames, pastore della locale chiesa congregazionalista, ha passato tutta la vita e, a settantasei anni, malato di cuore, scrive al figlio ancora bambino che non vedrà crescere affinché da adulto sappia chi era suo padre.
 Siamo nel 1956, Dwight Eisenhower si appresta a essere eletto per la seconda volta Presidente degli Stati Uniti, ma il divagante racconto del reverendo Ames si spinge assai più indietro nel tempo, fino all’epoca della sua infanzia e oltre. Nelle pagine del suo lungo scritto, che è insieme una lettera e un diario, egli parla del padre e del nonno, anch’essi uomini di chiesa: il nonno, una mitica figura di predicatore ascetico e visionario, capace di salire sul pulpito con la pistola alla cintola ai tempi della Guerra di secessione per spingere i suoi concittadini a combattere per l’abolizione della schiavitù; il padre, un pacifista convinto, in eterna lotta con il bellicoso e irrequieto genitore.
 In un continuo confronto con i suoi avi e con i testi sacri, Ames ripercorre le tappe importanti e i momenti difficili della sua esistenza e di quella della sua comunità, e insieme affronta sottili questioni teologiche e morali calandole nella concretezza della propria esperienza; così facendo precisa la sua fede in Dio e cerca di prepararsi alla morte, ma nello stesso tempo non perde occasione per esprimere la sua meraviglia di fronte allo spettacolo di questo mondo e della vita: guarda con gioia la bellezza della natura, osserva con emozione suo figlio che gioca, contempla con amore la sua dolce mitissima moglie, molto più giovane di lui e conosciuta quando non sperava più di poter avere una famiglia sua. In ogni sua parola c’è una grande serenità e un pizzico di nostalgia per la realtà sensibile che è destinato a lasciare.

Marilynne Robinson

 Sarebbe il lungo congedo dagli affetti terreni di un uomo giusto in pace con se stesso e con i suoi simili, se non intervenisse un elemento disturbante: l’arrivo in città di Jack Boughton, il figlio del migliore amico del reverendo Ames. La diffidenza nei confronti dell’uomo, che è stato un giovane irresponsabile e scapestrato, il timore che questi possa prendere il suo posto accanto alla moglie e al figlio, e la gelosia che tale pensiero suscita in lui, inquietano Ames. Il tentativo di deporre il proprio risentimento e di giudicare con maggiore onestà ed equanimità Jack Boughton costituirà l’ultima prova dell’anziano pastore, e l’ultima occasione per testimoniare a suo figlio cosa sia lo spirito cristiano.
 Con John Ames, Marilynne Robinson riesce a forgiare con spettacolare perizia un personaggio come pochi se ne vedono nella letteratura contemporanea, plasmando alla perfezione una mentalità e un modo di esprimersi che le permettono di presentare al lettore un’immagine in tutto e per tutto coerente – e profondamente affascinante – del mondo in cui il reverendo vive e del mondo in cui hanno vissuto suo padre e suo nonno. In questo modo non solo costruisce una splendida cattedrale letteraria, ma entra anche fin nel cuore dell’America che meno si conosce, l’America puritana, l’America che sente ancora viva l’eredità dei Padri Pellegrini.
 Un romanzo da leggere e da conservare.

Voto: 8,5

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