venerdì 19 maggio 2017

Georges Simenon, "La casa dei Krull", Adelphi


 Spesso i romanzi di Simenon che esulano dalla serie dedicata al commissario Maigret, oltre a essere i più significativi dal punto di vista letterario, sono quelli che - pur imbevuti dell'intenso sentore della Francia di un tempo - conservano meglio un evidente tratto di modernità. Ne è un esempio perfetto Chez Krull (uscito una prima volta in Italia nel 1965 per i tipi di Mondadori con il titolo Casa Krull, e ora riproposto da Adelphi con il titolo La casa dei Krull), pubblicato dallo scrittore belga nel 1939, proprio alla vigilia della Seconda guerra mondiale.
 I Krull sono una famiglia di tedeschi naturalizzati francesi, e vivono da molti anni alla periferia della grande città nella quale si sono stabiliti, in quai Saint-Léonard, nei pressi di una chiusa sul canale che trasporta grandi chiatte cariche di legname e di altri materiali: il tram del servizio di trasporto pubblico urbano si spinge scampanellando proprio fino a lì, per poi tornare indietro.
 Al pian terreno della loro abitazione, i Krull gestiscono un emporio con annessa mescita per dare da bere ai marinai che si fermano alla chiusa; dietro al bancone, zia Maria si alterna con la figlia maggiore Anna - ormai trentenne -, mentre il padre Cornelius, silenzioso e solenne come una statua di San Giuseppe con la sua lunga barba, intreccia cesti di vimini con gesti lenti e precisi nel suo laboratorio da artigiano, in compagnia di un umile lavorante. L'altra figlia Elisabeth, di diciassette anni, passa lunghe ore a esercitarsi al pianoforte in soggiorno; invece Joseph, il figlio maschio, resta chiuso tutto il giorno nella sua stanza al piano superiore, impegnato nella stesura della tesi con la quale presto si laureerà in medicina.
 Così trova i suoi parenti il cugino Hans, quando giunge a casa loro proveniente dalla Germania, quasi senza conoscere il francese, portando con sé soltanto una lustra valigia in similpelle, e la sfacciataggine e la spregiudicatezza di un avventuriero. Hans non lo sa, ma il suo arrivo - per via di una serie di sfortunate coincidenze - contribuirà a spezzare per sempre la tranquillità e l'apparente serenità che regnano in quella casa e in quel piccolo negozio, scatenerà i fantasmi che albergano in seno alla famiglia e quelli annidati nelle pieghe di una società che guarda a chiunque sia straniero con sospetto preventivo, e sarà infine foriero di una terribile sventura per i Krull.

 Georges Simenon

 Hans, infatti, mente agli zii che lo ospitano riguardo alla sua condizione - dice di aver lasciato il Paese natale perché perseguitato per via delle sue idee politiche, mentre in realtà ha varcato la frontiera perché senza un soldo e senza prospettive -, e riguardo al suo stesso padre: il fratello di Cornelius, di cui il ragazzo porta con sé una falsa lettera di presentazione, è morto molti anni prima. Non si perita poi di sedurre la cugina Elisabeth, che ingenuamente si innamora di lui, rischiando di comprometterne irrimediabilmente il futuro. Soprattutto però, con la sua eccessiva disinvoltura e le sue "teutoniche bizzarrie", attira l'attenzione dei vicini sul resto della sua famiglia e sulle sue mai dimenticate origini straniere, scatenando i peggiori istinti xenofobi di chi è sempre alla ricerca di un comodo capro epiatorio su cui scaricare la responsabilità di qualsiasi disgrazia accada.
 Di conseguenza, quando nel canale viene ripescato il cadavere di Sidonie - la figlia adolescente di Pipì, un'ubriacona che vive lì vicino in un'imbarcazione mezza sfondata adagiata sul fondo fangoso del canale -, e dall'autopsia si scopre che la ragazza è stata violentata e poi strangolata, il malumore della gente del posto e dei marinai monta rapidamente in un cupo quanto immotivato risentimento nei confronti di coloro che più sentono estranei: i Krull. In particolare è su Joseph che si appuntano i sospetti di tutti, per via della sua indole introversa e del suo complicato rapporto con le donne.
 In una tremenda domenica, una folla si riunirà davanti alla casa dei Krull; e il tumulto si tradurrà in un assalto e in un vero e proprio tentativo di linciaggio nei confronti dei "tedeschi".
Il peggio verrà evitato solo grazie all'intervento della polizia, che fingerà di arrestare Joseph per placare gli animi dei più esagitati; ma l'apparentemente imperturbabile Cornelius non reggerà alla prostazione e alla vergogna e, senza dire nulla a nessuno, andrà a impiccarsi nel suo laboratorio.
 Il libro non è forse perfetto nello stile, così come nella definizione dei personaggi e dei quadri narrativi che si succedono, ma è costruito benissimo e a tratti è addirittura illuminante. La rabbia irrazionale della folla, per come viene descritta nel suo accumularsi e nel suo polarizzarsi, mostra plasticamente quanto sia facile e, nello stesso tempo, quanto sia imperdonabilmente stupido prendersela con il diverso solo in nome della sua diversità e della sua intrinseca fragilità: una lezione straordinariamente attuale nel 1939 (notevole, fra l'altro, il fatto che vi siano dei tedeschi dalla parte delle vittime), e invero assolutamente cogente ancora oggi.
 La morte del maturo capofamiglia, in questa fosca prospettiva, assume la drammaticità di un autentico sacrilegio: un sacrilegio contro la mitezza, l'innocenza e l'onestà. Tutte doti, queste, che Cornelius incarna icasticamente e che spiccano ancor di più per contrasto con la personalità di Hans - significativamente il vero protagonista del libro, e "l'occhio" attraverso il quale passa il punto di vista predominante nella narrazione -, che è una rappresentazione a tutto tondo della spregiudicatezza, dell'astuzia, dell'egoismo.

Voto: 7     

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