domenica 14 maggio 2017

Orna Donath, "Pentirsi di essere madri", Bollati Boringhieri


 Giuro che è del tutto casuale la coincidenza fra la decisione di recensire questo libro e la ricorrenza della Festa della mamma in questa domenica 14 maggio 2017.
 La sociologa Orna Donath che, come sottolinea lei stessa, è una "non madre" per scelta, propone uno studio molto ponderoso e articolato su donne che hanno vissuto (o stanno vivendo) l'esperienza della maternità con estrema sofferenza o addirittura con angoscia, come fosse un peso insostenibile, e sono - razionalmente e in piena consapevolezza - arrivate alla conclusione che, per loro, sarebbe stato meglio non avere figli. 
 Lo studio è condotto su donne di tutte le età e di tutte le classi sociali, con figli piccolissimi o già adulti (alcune già nonne), sole o con a fianco un compagno premuroso ed affettuoso, eterosessuali o (in pochi casi) omosessuali, dotate di diversi livelli di istruzione, residenti per lo più nello Stato di Israele, ma anche negli Stati Uniti o in Europa (per la precisione in Germania); tutte accomunate soltanto dalla decisione di estrinsecare un "posizionamento emotivo" (per usare le parole dell'autrice) che, a quasi tutte le latitudini, costituisce un tabù - tanto che proprio Sociologia di un tabù è il sottotitolo del libro.
 Secondo la Donath, infatti, tutte le società contemporanee, che siano tendenzialmente laiche o intrise di religiosità, sono caratterizzate da un atteggiamento acriticamente pronatalista: le donne vengono sempre e comunque, implicitamente o esplicitamente incoraggiate a fare figli, e la maternità è considerata la compiuta realizzazione dell'essere femminile (anche quando viene chiesto alle donne di conciliarla con il lavoro e la carriera); mentre le donne che non fanno figli sono viste, in un certo senso, come menomate nella loro femminilità. Il senso comune ritiene che il bilancio dell'essere madri - con tutte le difficoltà e con tutta la fatica che quest'avventura comporta - non possa che essere positivo, e le donne che esprimono valutazioni diverse o sentimenti che esulano dalla gioia, dalla soddisfazione e dall'orgoglio di essere diventate mamme finiscono per essere guardate con sospetto, o addirittura vengono giudicate delle madri "snaturate" o "degenerate". 
 L'autrice, in realtà, chiarisce molto bene come il pentimento delle numerose madri intervistate nulla ha a che fare con l'amore che si nutre per i figli: le donne prese in esame amano dichiaratamente i propri figli. Il desiderio di "tornare indietro", tuttavia, persiste nonostante questo amore, ed è sostenuto da una serie di considerazioni che rendono incontrovertibile il fatto che, con il senno di poi, esse non intraprenderebbero più il cammino percorso.
 Fra i fattori che contribuiscono a determinare il pentimento, molto più della fatica e del disagio materiale che spesso l'essere madri comporta, pare incidano il senso di spossessamento di sé, l'impressione di essere sovrastate da un compito che non avrà mai fine e di divenirne schiave, a volte la paura o la sensazione angosciosa di non riuscire a soddisfare in maniera adeguata le aspettative che "la società", "gli altri" riversano sulle donne che diventano mamme.

La sociologa Orna Donath

 Mi sono chiesto se sui risultati di questo studio abbia pesato il fatto di essere stato condotto quasi interamente in Israele, dove il tasso di natalità ammonta a quasi tre figli per donna, e dove - per varie ragioni di ordine politico, religioso, geografico e prettamente demografico - le donne sono generalmente incoraggiate a estrinsecare la propria fertilità molto più di quanto lo siano in Europa. Forse, in parte, è effettivamente così: in Europa - e nell'Europa cattolica in particolare - è contemplata l'idea che le donne possano realizzarsi pienamente anche senza diventare madri. E tuttavia anche da noi la mentalità dominante porta a censurare qualsiasi considerazione volta a esprimere un giudizio che non sia sostanzialmente positivo sull'esperienza della maternità.  
 Così, un libro come questo può forse risultare urtante per qualcuno. Al contrario, secondo me costituisce un contributo importante perché si possa parlare liberamente di una questione controversa e problematica, che come tutte le questioni controverse e problematiche merita di essere affrontata con una discussione seria, aperta e approfondita.
 A mio parere, indubbiamente, in una società che si dice civile, diventare madri non può essere per le donne un obbligo, nemmeno un obbligo morale; deve essere invece una scelta libera e il più possibile consapevole, che le donne dovrebbero essere messe nelle condizioni di compiere più serenamente possibile, eliminando ogni ostacolo materiale alla realizzazione di un progetto come quello di mettere al mondo e di crescere un figlio, che da molte può essere sentito come una vocazione - e che per molti versi costituisce uno splendido gesto di generosità -, ma contemporaneamente senza imporre uno stigma a coloro che per la maternità non si sentono portate.
 In fondo, non occorre essere dei fiancheggiatori del femminismo più incallito per arrivare a capire e ad accettare che ogni donna è una persona dotata di una sua proteiforme complessità e custode esclusiva della propria libertà, e non invece un semplice incubatore di nuovi cuccioli d'uomo.

Voto: 6 +

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