domenica 4 giugno 2017

Chimamanda Ngozi Adichie, "Metà di un sole giallo", Einaudi


 Poco tempo fa leggevo che la nazionalità più rappresentata fra i richiedenti asilo sbarcati in Italia nell'ultimo anno è di gran lunga quella nigeriana. Credo che la maggior parte degli italiani, sebbene abbia quasi certamente sentito parlare di quella particolare declinazione dell'estremismo islamico radicata nell'Africa Nera che è Boko Haram, poco sappia della realtà dalla quale scappano i profughi che vengono da noi. 
 Può aiutare forse a chiarirsi le idee sul contesto nel quale i conflitti di oggi sono calati questo grandioso romanzo di alcuni anni fa, che ricostruisce con abbagliante realismo, attraverso le vicende dei suoi personaggi, la storia di una delle guerre più gravi che l’Africa conobbe nella seconda metà del Novecento: la guerra civile nigeriana.
 In un paese ancora giovane e tremendamente instabile, giunto all’indipendenza dai colonialisti britannici da meno di un decennio, a partire dal 1967 si fronteggiarono ferocemente le truppe del generale golpista Gowon – a maggioranza hausa e prevalentemente di religione musulmana – e quelle dello stato secessionista del Biafra, costituitosi nel sudest della Nigeria sulla base dell’etnia degli igbo, di religione cristiana e caratterizzato da una bandiera rosso-nero-verde su cui compariva la metà di un sole giallo. Il sogno del Biafra durò poco, e nonostante la strenua resistenza dei secessionisti l’avanzata dell’esercito di Gowon fu inesorabile e devastante, e indicibili le sofferenze della popolazione biafrana.
 La guerra e gli eventi che la prepararono fanno da sfondo e da filo conduttore al corso della vita dei magnifici personaggi che Chimamanda Adichie riesce a creare: il matematico rivoluzionario Odenigbo, espressione di quella classe intellettuale che sostenne con forza il progetto dello stato del Biafra, il cui nobile ardore e la cui sicurezza saranno annientati dalle perdite e dalle umiliazioni che sarà costretto a subire; la bellissima Olanna, moglie di Odenigbo, trasformata e indurita dall’orrore e dal dolore; sua sorella Kainene, che conserverà fino alla fine il suo pragmatismo e la sua indole ironica, ma non sarà risparmiata dal conflitto; l’amante bianco di Kainene, Richard Churchill, innamorato perdutamente della sua donna, dell’Africa, della cultura igbo; il giovane domestico di Odenigbo e Olanna, Ugwu, forse il vero protagonista del libro, che cresce proprio negli anni della guerra trasformandosi da ingenuo ragazzino originario di un villaggio rurale in un uomo fatto, serio consapevole e triste. E poi i moltissimi personaggi minori, tutti deliziosamente disegnati con spiccati accenti di verità.

Chimamanda Ngozi Adichie

 Non è un caso infatti che questo sia un libro senza eroi, perché anche i personaggi più positivi, nella loro profonda umanità, a contatto con la cruda realtà della guerra palesano i propri limiti, i propri difetti, e si macchiano delle colpe più gravi. Del resto, delle atrocità della guerra, nulla viene risparmiato al lettore: dal terrore che seminano i bombardamenti alla crudeltà gratuita verso i bimbi, dalla gente che muore di fame alle donne violentate dalla soldataglia, dal linciaggio dei sospetti “sabotatori” agli assurdi ed esorbitanti privilegi di cui gode la casta degli ufficiali dell’esercito, dall’ottusità della propaganda bellica al triste fenomeno dei bambini-soldato.
 Di fronte a tante vite sconvolte e distrutte, e a un intero popolo ridotto alla fame, il respiro epico del romanzo assume prima i toni drammatici della tragedia, poi quelli sommessi dell’elegia. Tuttavia non c’è mai affettazione o esibizionismo letterario nello stile della Adichie; ella sceglie invece di prendere in considerazione umilmente il punto di vista di ciascun personaggio, che ha una visione limitata della realtà e può esprimere giudizi solo dalla particolare angolatura dello spicchio di mondo che conosce. Il dramma che viene messo in scena, così, è valutato con gli occhi del contadino superstizioso, che attribuisce agli spiriti maligni la colpa delle proprie sofferenze, e con quelli del professore universitario, che conosce i giochi sporchi della politica internazionale; con gli occhi consapevoli di Kainene, che sa quali motivazioni economiche stanno dietro lo scontro tra Nigeria e Biafra, e con quelli di Eberechi, che bada solo al suo immediato benessere e non esita a donarsi al primo ufficiale che la guarda con interesse. Il mosaico che infine si compone ritrae con straordinaria chiarezza l’abisso senza fine che la bestialità e la violenza sistematica della guerra sempre comportano.
 Per sottolineare queste cose l’autrice alterna con sapienza i piani temporali, permettendo il confronto tra l’entusiasmo che animava la Nigeria nei primi anni sessanta, subito dopo la conquista dell’indipendenza, e il clima cupo della fine del decennio, quando la tensione monta fino a provocare lo scoppio del conflitto. Da questo confronto scaturisce anche un’analisi implicita delle molte responsabilità che portarono i nigeriani a impugnare le armi gli uni contro gli altri: il colpevole opportunismo dei britannici e delle altre potenze europee, che tentarono di sfruttare a proprio vantaggio le ataviche divisioni etniche e tribali fra i cittadini della neonata Nigeria; l’immaturità politica e la corruzione dei notabili locali; l’inesperienza e l’inettitudine della nuova classe dirigente e dell’intellighenzia nigeriana; il razzismo dei nigeriani stessi, pronti a spartirsi il potere sulla base dell’omogeneità dei gruppi etnici.
 Tutto ciò fa di Metà di un sole giallo un'opera di grande spessore, degna di essere collocata tranquillamente accanto ai più grandi romanzi prodotti dalla letteratura africana e, più in generale, alle opere migliori della letteratura contemporanea in lingua inglese.

voto: 9

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