Poco tempo fa leggevo che la nazionalità più rappresentata fra i richiedenti asilo sbarcati in Italia nell'ultimo anno è di gran lunga quella nigeriana. Credo che la maggior parte degli italiani, sebbene abbia quasi certamente sentito parlare di quella particolare declinazione dell'estremismo islamico radicata nell'Africa Nera che è Boko Haram, poco sappia della realtà dalla quale scappano i profughi che vengono da noi.
Può aiutare forse a chiarirsi le idee sul contesto nel quale i conflitti di oggi sono calati questo grandioso romanzo di alcuni anni fa, che
ricostruisce con abbagliante realismo, attraverso le vicende dei suoi
personaggi, la storia di una delle guerre più gravi che l’Africa conobbe nella
seconda metà del Novecento: la guerra civile nigeriana.
In un paese ancora giovane e
tremendamente instabile, giunto all’indipendenza dai colonialisti britannici da
meno di un decennio, a partire dal 1967 si fronteggiarono ferocemente le truppe
del generale golpista Gowon – a maggioranza hausa e prevalentemente di
religione musulmana – e quelle dello stato secessionista del Biafra, costituitosi nel sudest della Nigeria sulla base dell’etnia degli igbo, di
religione cristiana e caratterizzato da una bandiera rosso-nero-verde su cui
compariva la metà di un sole giallo. Il sogno del Biafra durò poco, e
nonostante la strenua resistenza dei secessionisti l’avanzata dell’esercito di
Gowon fu inesorabile e devastante, e indicibili le sofferenze della popolazione
biafrana.
La guerra e gli eventi che la
prepararono fanno da sfondo e da filo conduttore al corso della vita dei
magnifici personaggi che Chimamanda Adichie riesce a creare: il matematico
rivoluzionario Odenigbo, espressione di quella classe intellettuale che sostenne
con forza il progetto dello stato del Biafra, il cui nobile ardore e la cui
sicurezza saranno annientati dalle perdite e dalle umiliazioni che sarà
costretto a subire; la bellissima Olanna, moglie di Odenigbo, trasformata e
indurita dall’orrore e dal dolore; sua sorella Kainene, che conserverà fino
alla fine il suo pragmatismo e la sua indole ironica, ma non sarà risparmiata
dal conflitto; l’amante bianco di Kainene, Richard Churchill, innamorato
perdutamente della sua donna, dell’Africa, della cultura igbo; il giovane
domestico di Odenigbo e Olanna, Ugwu, forse il vero protagonista del libro, che
cresce proprio negli anni della guerra trasformandosi da ingenuo ragazzino
originario di un villaggio rurale in un uomo fatto, serio consapevole e triste.
E poi i moltissimi personaggi minori, tutti deliziosamente disegnati con
spiccati accenti di verità.
Chimamanda Ngozi Adichie
Non è un caso infatti che questo
sia un libro senza eroi, perché anche i personaggi più positivi, nella loro
profonda umanità, a contatto con la cruda realtà della guerra palesano i propri
limiti, i propri difetti, e si macchiano delle colpe più gravi. Del resto,
delle atrocità della guerra, nulla viene risparmiato al lettore: dal terrore
che seminano i bombardamenti alla crudeltà gratuita verso i bimbi, dalla gente
che muore di fame alle donne violentate dalla soldataglia, dal linciaggio dei
sospetti “sabotatori” agli assurdi ed esorbitanti privilegi di cui gode la
casta degli ufficiali dell’esercito, dall’ottusità della propaganda bellica al
triste fenomeno dei bambini-soldato.
Di fronte a tante vite sconvolte
e distrutte, e a un intero popolo ridotto alla fame, il respiro epico del
romanzo assume prima i toni drammatici della tragedia, poi quelli sommessi
dell’elegia. Tuttavia non c’è mai affettazione o esibizionismo letterario nello
stile della Adichie; ella sceglie invece di prendere in considerazione
umilmente il punto di vista di ciascun personaggio, che ha una visione limitata
della realtà e può esprimere giudizi solo dalla particolare angolatura dello
spicchio di mondo che conosce. Il dramma che viene messo in scena, così, è
valutato con gli occhi del contadino superstizioso, che attribuisce agli
spiriti maligni la colpa delle proprie sofferenze, e con quelli del professore universitario,
che conosce i giochi sporchi della politica internazionale; con gli occhi
consapevoli di Kainene, che sa quali motivazioni economiche stanno dietro lo
scontro tra Nigeria e Biafra, e con quelli di Eberechi, che bada solo al suo
immediato benessere e non esita a donarsi al primo ufficiale che la guarda con
interesse. Il mosaico che infine si compone ritrae con straordinaria chiarezza
l’abisso senza fine che la bestialità e la violenza sistematica della guerra
sempre comportano.
Per sottolineare queste cose
l’autrice alterna con sapienza i piani temporali, permettendo il confronto tra
l’entusiasmo che animava la
Nigeria nei primi anni sessanta, subito dopo la conquista
dell’indipendenza, e il clima cupo della fine del decennio, quando la tensione
monta fino a provocare lo scoppio del conflitto. Da questo confronto scaturisce
anche un’analisi implicita delle molte responsabilità che portarono i nigeriani
a impugnare le armi gli uni contro gli altri: il colpevole opportunismo dei
britannici e delle altre potenze europee, che tentarono di sfruttare a proprio
vantaggio le ataviche divisioni etniche e tribali fra i cittadini della neonata
Nigeria; l’immaturità politica e la corruzione dei notabili locali;
l’inesperienza e l’inettitudine della nuova classe dirigente e dell’intellighenzia nigeriana; il razzismo
dei nigeriani stessi, pronti a spartirsi il potere sulla base dell’omogeneità
dei gruppi etnici.
Tutto ciò fa di Metà di un sole giallo un'opera di grande spessore, degna di essere collocata tranquillamente accanto ai più grandi romanzi prodotti dalla letteratura africana e, più in generale, alle opere migliori della letteratura contemporanea in lingua inglese.
voto: 9
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