lunedì 12 giugno 2017

Rory Steele, "Il cuore e l'abisso. La vita di Felice Benuzzi", Alpine Studio


 Curiosamente siamo di fronte a un libro sulla vita di un diplomatico, scritto da un diplomatico, con la prefazione di un altro diplomatico. Si tratta della biografia di Felice Benuzzi, l'autore del celebre Fuga sul Kenya (nella versione inglese, di pugno dello stesso Benuzzi, il titolo è No picnic on Mount Kenya) - uno dei classici della letteratura di montagna -, che racconta la spettacolare evasione compiuta dal protagonista-narratore nel 1943, durante la Seconda guerra mondiale, dal campo di prigionia inglese di Nanyuki, al solo scopo di scalare la seconda montagna più alta dell'Africa.
 Benuzzi scappò dal campo di concentramento insieme a due compagni, Enzo Barsotti e Giuan Balletto e, in diciassette giorni, dopo una pericolosa marcia di avvicinamento all'interno di una foresta popolata da belve feroci, con provviste scarsissime e attrezzature di fortuna, diede l'assalto al Monte Kenya. Respinti dal picco Batian - la cima principale della montagna - Felice e Giuan (alpinisti più esperti di Enzo, che li aspettava al campo base) decisero di puntare al picco Lenana, sul quale piantarono finalmente un tricolore italiano fatto di stracci cuciti insieme. Portato a termine il compito che si erano prefissi, i tre compagni tornarono al campo di prigionia, vi rientrarono di nascosto e, dopo un breve sonno ristoratore, si presentarono a rapporto nella baracca dell'esterrefatto comandante.
 L'impresa ebbe vastissima eco sia sulla stampa italiana sia su quella inglese: non si trattava banalmente di un "bel gesto", declinato in chiave nazionalista a beneficio del fascismo agonizzante, bensì della dimostrazione di una irriducibile voglia di libertà attraverso l'amore per la montagna vissuto con disinvolta sportività. Tanto che la valenza universale (e intrinsecamente antifascista) di quella scalata è stato ben compreso anche da due autori ideologicamente lontanissimi dalla retorica del ventennio, come Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, che pochi anni fa hanno dedicato a questa storia una loro documentatissima opera, Point Lenana.
 Il cuore e l'abisso, a differenza di quel testo, nonostante dedichi il giusto spazio alla fuga sul Kenya, ha l'ambizione di soffermarsi sulla vita di Benuzzi nel suo complesso: dall'origine da una famiglia di Dro, in Trentino (villaggio che, quando Felice nacque, nel 1910, faceva ancora parte dell'Impero Austro-Ungarico), che un piede in Austria lo tenne sempre, sebbene si sentisse profondamente italiana (la madre di Felice era di nascita austriaca, e lui era perfettamente bilingue, parlando il tedesco bene come l'italiano); al trasferimento a Trieste alla fine della Grande guerra; all'adolescenza triestina vissuta proprio negli anni in cui il fascismo conquistava le menti e i cuori degli italiani e, nella sua città, "si respirava con l'aria". Fu in quel periodo che Felice Benuzzi si innamorò della montagna, durante le escursioni compiute sulle Alpi Giulie; numi tutelari della sua passione furono Emilio Comici e, più ancora, Julius Kugy.

Felice Benuzzi intorno ai quarant'anni

 Quella per l'alpinismo non fu però da subito una passione totalizzante, dato che a Trieste ugualmente forte era il richiamo del mare: il giovane Felice sognava di entrare a far parte dell'Accademia Navale di Livorno e, un giorno, di imbarcarsi. Ma le cose andarono diversamente da quanto previsto: scartato dall'Accademia Navale a causa delle troppe otturazioni dentarie, e impedito anche a entrare negli Alpini per via della statura eccessiva, Benuzzi si vide portato dal servizio militare in Fanteria a Roma, dove fu promosso sottotenente.
 A Roma Felice frequentò l'Università, si distinse nello sport (in particolare nel nuoto) e, soprattutto, incontrò Stefania Marx, una giovane ebrea tedesca destinata a diventare sua moglie. Felice e Stefania si sposarono proprio alla vigilia dell'entrata in vigore delle Leggi Razziali e, forse per sfuggire all'atmosfera divenuta irrespirabile per gli ebrei in Italia, Benuzzi decise di entrare a far parte del Servizio Coloniale trasferendosi nell'Etiopia appena ricompresa nell'"Impero". Prima a Dire Daua e poi ad Addis Abbeba, il giovane ufficiale si distinse per la sua precisione e affidabilità.
 Fu proprio nella capitale etiope che lo colse lo scoppio della guerra. Il seguito di quella fase è noto: la prigionia, la separazione dalla moglie Stefania e dalla figlioletta Daniela nata da poco, il trasferimento in Kenya, la fuga, la scalata, l'impresa che fece circolare il suo nome non solo negli ambienti alpinistici.

Rory Steele, ex ambasciatore australiano a Roma

 Dopo la guerra, col rientro in Italia, Benuzzi, nonostante l'età non più verdissima, provò a intraprendere una nuova carriera, quella diplomatica. La perfetta conoscenza di diverse lingue, le note di servizio sempre impeccabili, la piccola notorietà regalatagli dalla sua fuga e dal libro che la raccontava, un'affabilità e uno stile da perfetto gentiluomo furono i fattori che lo aiutarono nella sua nuova avventura. Per Felice e per sua moglie cominciò allora una vita affascinante, sempre in giro per il mondo, a occuparsi di questioni interessanti e talvolta anche piuttosto delicate: prima in Australia, a Brisbane (come vice-console), in una terra meta dell'emigrazione di parecchi italiani, poi a Karachi, in Pakistan, poi di nuovo in Australia. In seguito venne il ritorno in patria, affinché si potesse fare carico (grazie soprattutto alla sua conoscenza della lingua tedesca e delle terre austriache) della rovente questione dell'Alto Adige, percorso allora da pericolosissime tensioni interetniche.
 Fu anche grazie al buon lavoro svolto in Alto Adige che Benuzzi fu promosso e, nel 1963, in piena Guerra Fredda, ricevette l'incarico di Console Generale a Berlino Ovest. Berlino era la città d'origine di Stefania; così, anche se in quegli anni, vi ci si stava quasi come in una prigione, i Benuzzi trovarono gli anni berlinesi abbastanza gradevoli; più anonima e scostante parve loro Parigi, dove Felice fu trasferito nel 1969.
 Alcuni anni più tardi, il passaggio in America Latina (a Montevideo, in Uruguay) segnerà il balzo decisivo nella carriera di Benuzzi, finalmente promosso ambasciatore. L'ultimo importante servizio svolto da lui per l'Italia riguardò le trattative che coinvolsero il nostro Paese nella ricognizione scientifico-mineraria delle terre antartiche.
 Ormai ritiratosi dal servizio attivo negli anni ottanta, Felice morì per un improvviso attacco di cuore nel 1988, nella sua storica casa di Roma. L'eredità che il suo ricordo lascia a chi meglio lo conobbe è costituita dall'invito a dar seguito all'inestinguibile anelito che ci spinge a elevarci oltre tutto ciò che quotidianamente prostra e avvilisce il nostro spirito; un anelito  perfettamente esemplificato dalla sua impresa sul Monte Kenya.
 Il libro di Rory Steele è interessante, documentato, ordinato e ben scritto. Se devo dire la verità, però, non riesce a infiammare il lettore che porta nella memoria la gratificante esperienza costituita in precedenza dalla lettura sia di Fuga sul Kenya sia di Point Lenana.

Voto: 6     

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