mercoledì 12 luglio 2017

Omar Di Monopoli, "Nella perfida terra di Dio", Adelphi


 Quando pubblica autori italiani, Adelphi punta solitamente su sofisticati creatori di callide geometrie intellettuali, oppure sull'asprezza vernacolare di scrittori che sappiano restituire in maniera fascinosamente pittoresca l'eccentricità avventurosa e talvolta sinistra della provincia italiana - della parte meridionale della Penisola soprattutto.
 A questo secondo filone è senz'altro riconducibile Omar Di Monopoli, il cui ultimo romanzo è ambientato a Rocca Bardata, località di fantasia della campagna tarantina. La storia è imperniata sul ritorno a casa di Tore Della Cucchiara, ruvido malavitoso che, fino ad alcuni anni prima, gestiva tutti i loschi affari che si svolgevano in paese - estorsioni, traffico di stupefacenti, traffico di rifiuti tossici - insieme a Carmine Capumalata, divenuto poi, con un colpo di mano, capomandamento unico per conto della storica famiglia mafiosa dei Modeo.
 Di Tore si dice che fosse sparito dalla circolazione (forse emigrando in Germania) per sottrarsi all'arresto dopo avere ucciso, in un accesso d'ira, la moglie Antonia (il cui corpo però non è mai stato ritrovato), lasciando i due figli orfani al solo parente superstite, il suocero Nuzzo, un bizzarro esemplare di fanatico religioso con pose da santone e fama di guaritore, la cui popolarità e dabbenaggine veniva sfruttata dalle monache del vicino convento delle Sorelle del Martirio: le suore godevano infatti dei lauti contributi economici elargiti dai disperati che a Nuzzo si rivolgevano, sperando nel suo miracoloso intervento per trovare un rimedio a mali incurabili.
 Ma ora Nuzzo è morto, e i due ragazzi - Gimmo ormai è quasi un uomo, mentre Michele, abbandonato quando era in fasce, è ancora poco più che un bambino - sono davvero soli. E il padre, che sentono di conoscere appena, non si capisce bene perché sia tornato: vuole forse impadronirsi dei soldi che si favoleggia che il suocero - che pure viveva in una baracca malandata, in mezzo a un terreno pieno di ciarpame - abbia accumulato per sé con la sua attività da guaritore? O ha intenzione di rivendicare qualche diritto sul controllo delle attività illecite che si svolgono a Rocca Bardata? O magari progetta di consumare qualche oscura vendetta per uno sgarbo subito tempo prima?
 Di certo - pensa Gimmo - non è tornato per prendersi cura dei suoi figli, che per anni ha dimenticato in fondo a quella campagna maledetta da Dio, come se non fossero mai venuti al mondo.
 La realtà, però, seppur disperatamente crudele, è spesso diversa e talvolta più complessa di come appare: Tore è tornato effettivamente per vendicarsi, ma la vendetta che vuole mettere in atto è concepita anche a nome e per conto dei suoi figli. E' una vendetta contro la memoria del suocero, per una vita sciocco burattino nelle mani d'altri, eppure capace di comportarsi con esecrabile cattiveria nei confronti dei suoi famigliari. E' una vendetta contro le monache, che per anni si sono arricchite alle spalle del vecchio Nuzzo, hanno tollerato - insieme agli altri notabili della zona - che sul territorio venissero stoccati segretamente rifiuti tossici provenienti dalle acciaierie tarantine, mettendo a repentaglio la salute di tutti gli abitanti del luogo, e non si sono fatte scrupoli di concludere buoni affari con le mafie locali, ottenendone in cambio protezione e copertura, affinché non emergessero le atrocità e i veri e propri crimini commessi dentro le mura del convento in nome dell'egoismo, dell'avidità e della superstizione. E' una vendetta, soprattutto, nei confronti dell'ex compagno di delinquenza Carmine, che ha tradito Tore, in parte per ambizione, in parte per protervia, in parte, forse, per gelosia, ed è il vero responsabile della morte di Antonia.

 Omar Di Monopoli

 Nella perfida terra di Dio è un romanzo di fortissime contrapposizioni, di chiaroscuri violenti: l'episodio cardine della morte di Antonia (le cui reali dinamiche verranno rivelate solo alla fine del libro) e della "partenza" di Tore fa da spartiacque tra un Prima e un Dopo che, a capitoli alterni, rappresentano i due poli temporali intorno a cui si sviluppa l'intera narrazione; la sgrammaticatura iperrealistica di una lingua impastata nel dialetto tarantino (tanto nel lessico quanto nella sintassi) convive e contrasta con una costruzione del periodo talvolta estremamente elaborata, fantasiosa, chiaramente di derivazione colta - e il costrasto diventa vieppiù evidente laddove graficamente non esiste soluzione di continuità tra dialogato in prevalenza dialettale e narrato di derivazione autoriale (ad esempio, tra scambi di battute in dialetto stretto tra Tore e Antonia si può trovare una simile descrizione della madre di Antonia, ridotta dalla malattia su una sedia a rotelle: "Immota, silente, restò ferma al suo posto, quasi solo rivelata nella penombra del portico dal funereo baluginare del casco di capelli bianchicci, persa nel suo mondo come una monade rotodotata").
 Il carattere più spiccato del libro, però, è l'assenza praticamente totale di figure positive: la malvagità risulta il vero motore del mondo raccontato da Omar Di Monopoli, e le vittime sono sempre destinate a diventare a loro volta carnefici, a meno che non siano troppo deboli o troppo stupide per fare del male a chiunque, o a meno che non intervenga qualche agente esterno a ridurle definitivamente all'impotenza.
 Nuzzo, ad esempio, è un povero diavolo invasato e con poco cervello, viene sfruttato dalle suore e inizialmente sbeffeggiato dai compaesani, ma nello stesso tempo abbandona a se stessa la moglie devastata dalla malattia e sfoga le proprie segrete perversioni in molestie sessuali ai danni della figlia Antonia e anche di alcune fra le sue "pazienti". Tore ama Antonia e i loro due bambini, ma non si perita di farcire di rifiuti tossici il terreno su cui sorge la loro casa, e alla fine sa esprimere il suo istinto di protezione nei confronti dei suoi cari solo attraverso il ricorso alla violenza estrema e indiscriminata verso il prossimo. Suor Narcissa, la priora del convento - il personaggio forse più terribile del romanzo -, è stata vittima da giovane di una violenza carnale perpetrata ai suoi danni da un gruppo di teppisti, e ne è rimasta incinta, ma a sua volta, per una vita intera, ha coltivato l'esercizio senza scrupoli del potere, e si è personalmente spinta fino a commettere un omicidio (per coprire i turpi appetiti nei confronti delle novizie di Agostino, suo figlio, il frutto dello stupro subito, un minorato mentale dalla forza fisica inaudita, rimasto a fianco della madre come una sorta di tuttofare al servizio delle Sorelle del Martirio).
 Solo il poliziotto in pensione a cui Tore affida i figli alla fine della narrazione appare una figura priva di caratteri negativi, ma il suo personaggio ha così poco rilievo da non incidere per nulla sull'agghiacciante impressione destata nel complesso dalla realtà che Di Monopoli descrive.
 La lettura risulta così sicuramente avvincente: si è come storditi e quasi travolti dall'abbagliante naturalismo espressionistico della scrittura, dai colori accesi delle descrizioni, e dal fortissimo sentore di violenza e di morte che emana quasi da ogni pagina, tanto da creare un effetto ipnotico su chi si immerge in questo libro.
 Le sole perplessità riguardo al valore del testo derivano dalla residua sensazione, mai del tutto fugata, di trovarsi di fronte a un ultrarealismo artefatto, laddove il tentativo di ricreare e di restituire, attraverso un approccio ostentatamente mimetico, un mondo profondamente degradato non riesce a liberarsi completamente di un certo sapore di laboratorio.

Voto: 7-     

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