lunedì 31 luglio 2017

Cristina De Stefano, "Scandalose. Vite di donne libere", Rizzoli


 Una decina di anni fa, Cristina De Stefano pubblicò Americane avventurose, un'appassionante galleria di ritratti di donne capaci, grazie alla loro spregiudicatezza e creatività, di lasciare un segno originale nella loro epoca, entrando spesso a far parte dell'immaginario popolare statunitense, e trasformando la loro vita in un'avventura degna di essere ricordata: da Berenice Abbott a Dorothy Dandridge, da Dorothea Lange a Dorothy Parker, da Anne Sexton a Mae West.
 Un'operazione simile viene proposta ora, per i tipi di Rizzoli, con Scandalose; con la differenza che molto più marcato è in questo caso il tratto trasgressivo e ostentatamente anticonformista dei personaggi femminili raccontati, quasi che i tempi nuovi reclamassero caratteri "estremi" e storie epidermicamente più "forti" per conquistare l'attenzione dei lettori.
 Le biografie di cui consta il libro sono in tutto venti: scrittrici, ballerine, modelle, artiste o, a volte, tutte queste cose insieme. Venti donne libere abituate ad assumere atteggiamenti o a seguire comportamenti apertamente provocatori dal punto di vista sessuale (che si tratti di lesbiche dichiarate o di eterosessuali), professionale o politico, tanto da conferire alle loro figure una particolare rilevanza dal punto di vista sociale o, più semplicemente, del costume e del senso comune. Vorrei soffermarmi sinteticamente solo su alcune di queste biografie, quelle che mi hanno colpito di più, perché riguardano personaggi che conoscevo poco, o perché si staccano in qualche modo dagli "standard trasgressivi" definiti dalle altre eroine prese in considerazione.
 Ad esempio, molto efficace risulta il racconto della biografia di Nina Simone (1933-2003), musicista classica e poi cantante jazz cresciuta in un ambiente modesto (a differenza di quasi tutte le donne qui presenti, provenienti da famiglie ricchissime) nell'America della segregazione razziale, capace di farsi strada grazie a un talento fuori dal comune unito a una inesauribile rabbia nei confronti di tutto quello che la circondava, dal razzismo, agli uomini che le furono accanto, alle regole del mondo della musica; aggressiva e persino maleducata con gli spettatori dei suoi concerti, sostenitrice delle ragioni delle Pantere Nere, piena d'ira fino all'ultimo, persino nel corso della malattia che se la portò via a settant'anni.
 Meritevole di grande attenzione è la vita di Else Lasker-Schueler (1869-1945), singolare poetessa divenuta un personaggio di culto in Germania; espressionista e ossessionata dall'oriente - tanto da costruirsi una sorta di autobiografia immaginaria da "principessa di Baghdad" - eccentrica, esotica, rude e raffinatissima al contempo. Attaccata in maniera morbosa al figlio, morto di tubercolosi a 28 anni, fu scacciata dal nazismo perché ebrea e pacifista, e morì in esilio a Gerusalemme prima della fine della Seconda guerra mondiale.

Cristina De Stefano

 Da riscoprire è invece Pearl S.Buck (1892-1973), scrittrice premio Nobel nel 1938, che fra i primi fece conoscere agli americani la Cina - dove era nata e cresciuta, figlia di due missionari presbiteriani. Sebbene fosse poco letta dai suoi compatrioti, e spesso fosse avversata dai comunisti in Cina (perché le sue opere denunciavano le terribili condizioni di vita dei contadini cinesi), il suo romanzo più importante, La buona terra, ebbe il merito straordinario di far capire a tanti che l'Occidente non era il centro del mondo.
 Louise Bourgeois (1911-2010) ha bisogno di poche presentazioni perché è una delle maggiori artiste dell'ultimo secolo. Il ritratto che qui ne viene fatto, però, riesce a ricondurre alla perfezione la violenza terribile espressa nelle sue sculture - grandi insetti, statue falliche, maschili e femminili a un tempo - ai traumi e ai buchi neri della sua storia personale, relativi al rapporto col padre in particolare - amatissimo e odiato, subdolo nei suoi tradimenti verso la famiglia di appartenenza, la moglie, la figlia.
 Albertine Sarrazin (1937-1967) visse una vita commovente e degna di essere raccontata anche se non avesse avuto come sbocco la sua attività di scrittrice; figlia naturale di un medico dell'esercito di stanza ad Algeri, venne disconosciuta e poi adottata dal padre e dalla moglie di lui dopo anni passati in orfanotrofio. Durante la sua irrequieta adolescenza fuggì da casa e si mise a rubare, tanto da finire in riformatorio e da essere ripudiata dalla sua severissima famiglia di impronta tradizionalista. Fuggita dal carcere minorile, fu raccolta da un piccolo malavitoso destinato a diventare l'uomo della sua vita. Continuò per anni a entrare e a uscire dal carcere, prima di vedere pubblicati i suoi libri; morì giovanissima, per le conseguenze di un banale intervento chirurgico malriuscito.
 Infine, Elsa von Freytag-Loringhoven (1874-1927), meglio nota come la "baronessa Elsa", fu la prima dadaista d'America, e uno dei primi artisti della storia a fare della sua stessa persona un'opera d'arte. Come scrive Cristina De Stefano "Alleva topi domestici prima dei nichilisti di Berlino, si tinge i capelli di verde prima dei punk di Londra, si esibisce con un grande fallo di plastica prima delle artiste femministe, reinventa artisticamente le lattine prima di Andy Warhol". Poetessa, scultrice, capace di precorrere l'arte povera, fu la vera autrice di Fountain, l'orinatoio rovesciato che ancora oggi il grande pubblico attribuisce erroneamente a Duchamp. Morì sola, forse suicida, quando era ormai in disgrazia, per una fuga di gas dalla sua cucina.
 Il libro è estremamente godibile, come tutti i libri di questo tipo (per i quali, peraltro, io ho personalmente un debole): la curiosità per le vite degli altri è sempre di per sé un potentissimo elemento di attrazione, e Cristina De Stefano ci mette in più la sua intrigante capacità di riassumere in poche pagine i caratteri notevoli di un'intera parabola esistenziale.
 L'unico motivo di perplessità deriva dal fatto che, talvolta, leggendo una dopo l'altra le biografie di queste donne ciascuna a suo modo eccezionale, viene come l'impressione che la loro scandalosa straordinarietà sia riconducibile - con poche eccezioni - a una serie di cliché che si ripresentano sempre declinati secondo una gamma abbastanza ristretta di variazioni: l'appartenenza a un milieu privilegiato, per via dell'origine famigliare o dell'intervento di altre circostanze, l'inquietudine estrema, l'utilizzo del sesso come dirompente fattore trasgressivo, l'esibita bizzarria, l'indipendenza emotiva, il successo conseguito, la sprezzatura del successo, la vita movimentata, la fine estremamente triste, o drammatica, o grottesca.
 Come dire: a conti fatti finiscono per essere molto più originali (e per questo, a volte, anche più scandalose) le immaginarie Vite di uomini non illustri di Giuseppe Pontiggia. Forse allora possiamo concludere che, nel nostro mondo, lo scandalo conclamato è spesso affine al successo; e il successo, in qualche modo, è sempre figlio della banalità. O non è così?

Voto: 6+

Nessun commento:

Posta un commento